Il nostro racconto del Servizio Sanitario Regionale

Terza parte. Agenzie Sanitarie Regionali, Governo Clinico, Livelli Essenziali di Assistenza

Francesco Di Stanislao e Claudio Maria Maffei
Dipartimento di Scienze Biomediche e Sanità Pubblica, Sezione Igiene
Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università Politecnica delle Marche

In questa terza parte del racconto si trattano tre questioni relative al Servizio Sanitario Regionale che sembrano particolarmente significative: la Regionalizzazione della Sanità, lo sviluppo di forme di Governo clinico, la definizione dei Livelli Essenziali di Assistenza.

Breve riassunto delle due parti precedenti. Gli autori (FDS e CMM) con un comune passato di lavoro e ricerca presso l’Istituto di Igiene dell’allora Università degli Studi di Ancona hanno nella prima parte del loro racconto descritto la nascita nel 1978 del Servizio Sanitario Nazionale (SSN). Con la istituzione del SSN si sono poggiate le basi di un sistema globale, equo e solidaristico della tutela della salute che seppure con qualche difficoltà è arrivato sino ad oggi. Nella seconda parte il racconto ha riguardato prevalentemente la nascita delle Aziende Sanitarie come risposta ad una esigenza di managerialità del SSN. Questa fase è stata anche l’occasione per trattare due movimenti la cui vitalità si è mantenuta nel tempo, pur se tra tante difficoltà: la rivoluzione pedagogica nella formazione del personale sanitario e il miglioramento della qualità dell’assistenza.

Ma il racconto delle vicende del SSN si intreccia nella nostra ricostruzione con le vicende umane e professionali dei due autori che a questo punto del racconto (che collochiamo nella seconda metà degli anni ’90) si trovano uno (FDS) a fare il professore ordinario di Igiene (nell’Università di Torino prima e del Piemonte Orientale “A. Avogadro” poi) e l’altro (CMM) a fare nelle Marche il Direttore Sanitario di una ASL prima e di una Azienda Ospedaliera poi.

Il racconto in questa terza parte ricostruisce “a modo suo” (anzi “nostro”) una fase che va più o meno (nel nostro racconto la cronologia degli avvenimenti non è proprio rigidissima) dalla metà degli anni ’90 alla fine della prima decade del nuovo millennio. Di questa fase abbiamo scelto di trattare tre questioni che ci sembrano particolarmente significative e che comunque ci hanno coinvolto particolarmente: la regionalizzazione della sanità, lo sviluppo di forme di governo clinico, la definizione dei Livelli Essenziali di Assistenza. Vediamo ciascuno di questi punti.

Già pochi anni dopo la nascita delle Aziende (avvenuta nelle Marche nel 1995) ci si rende conto che la sanità va “fortemente” governata ad un livello territoriale sovraordinato rispetto a quello delle Aziende e che questo livello non può che essere quello regionale. Perché un governo regionale forte della sanità? Perché una buona sanità non può essere fornita da Aziende in competizione tra loro, ma ha bisogno di un indirizzo e coordinamento continuo che assicuri l’integrazione armonica tra le varie Aziende e omogeneizzi i modelli culturali ed organizzativi. Facciamo alcuni esempi. Lo sviluppo della assistenza territoriale in integrazione e continuità con quella ospedaliera ha bisogno di modelli operativi nuovi e occorre una spinta centrale perché questo sviluppo avvenga in modo omogeneo e coerente in ambito regionale. Oppure occorre fissare le regole per l’accreditamento delle strutture sanitarie in modo che le stesse funzionino in modo da perseguire il miglioramento continuo della qualità. O ancora occorre fare in modo che ci sia un sistema di emergenza territoriale che copra tutto il territorio regionale con un modello operativo sostanzialmente omogeneo. Insomma, ci si rende conto che non si può lasciare che spontaneamente il sistema delle aziende si allinei su una operatività comune e condivisa, ma occorre governare questo processo di messa a sistema delle azioni delle diverse Aziende.

Ci si rende anche conto che per assolvere a questo nuovo ruolo serve avere al livello Regionale competenze tecniche specifiche di estrazione sanitaria. Vengono create così le Agenzie Sanitarie Regionali come organi tecnici di consulenza e supporto all’Assessorato alla Sanità. In Italia, anche in seguito alla istituzione[1] dell’ Agenzia per i Servizi Sanitari Regionali (oggi AGENAS) nascono (a partire dal 1995) le Agenzie in 9 regioni: ad oggi ne rimangono “autonome” 6 (Liguria Emilia-Romagna, Toscana, Marche, Abruzzo, Puglia), 1 è stata accorpata in altre strutture (Veneto – Azienda Zero), 2 sono state chiuse (Campania e Piemonte) e le funzioni ricondotte all’interno degli assessorati.

L’Agenzia Sanitaria Regionale (ARS) nasce nel 1997 e uno di noi (FDS) viene chiamato a dirigerla, anche perché sta partecipando in modo importante alla redazione del secondo Piano Sanitario Regionale ( quello del 1998, uscito 15 anni dopo il primo). Il lavoro (per quanto faticoso) in ARS è una specie di paese dei balocchi per chi si occupa di sanità pubblica. Puoi mettere mano in supporto alla politica a tutto quello che ti sembra nuovo ed importante. E così in largo anticipo sui tempi l’Agenzia delle Marche introduce nelle Regione i profili di assistenza, uno strumento tipico del governo clinico. Di cui possiamo a questo punto parlare.

Con il termine governo clinico intendiamo quello specificato nelle prime pubblicazioni sull’argomento[2],[3] una serie di strumenti “clinici” evidence-based come le linee guida e, appunto, i profili di assistenza e l’adozione di modelli di relazione tra “amministratori/manager” e clinici tali da consentire di utilizzare quegli strumenti per erogare un’assistenza più efficace e cost-effective. Quindi il governo clinico è l’alleanza tra clinici ed “amministratori/manager” centrata sulla considerazione che una assistenza di buona qualità non può essere pianificata, organizzata, gestita e valutata senza il contributo evidence based dei tecnici. Come sempre cerchiamo aiuto in un esempio. Come si può migliorare a livello di sistema e non solo di singola unità operativa la risposta assistenziale all’ictus, patologia dai così elevati costi sociali? Risposta: mettendo attorno ad un tavolo i professionisti ed invitandoli a costruire percorsi assistenziali integrati tra discipline e tra livelli operativi in modo da gestire in una concreta realtà tutto il processo (dall’acuzie alla riabilitazione) utilizzando al meglio le risorse e le evidenze disponibili. In questo modo al paziente si garantisce una risposta qualitativamente omogenea e globale su tutta la storia naturale della malattia. Bene: i profili di assistenza sono questi. Quelli che oggi chiamiamo PDTA (Percorsi Diagnostico-Terapeutici Assistenziali).

Dunque ci è stata consentita una formidabile esperienza: provare a rendere la funzione di governo regionale della sanità permeata dalle logiche e dagli strumenti evidence-based della clinica. Quanto alla logica sottostante gli strumenti evidence based su queste stesse pagine Giovanni Pomponio ha di recente scritto cose che condividiamo e a cui rimandiamo.

Dunque la Regione diventa attorno al 2000 sempre più uno snodo fondamentale del Servizio Sanitario Nazionale e anche il secondo autore di questo racconto (CMM) nel 2002 ci approda, questa volta nel Servizio Salute dove dirige il settore di Assistenza Ospedaliera. Interessante la combinazione che si viene a creare in quegli anni ai vertici della sanità della Regione Marche: l’Assessore è un medico (Augusto Melappioni), come medici siamo noi e medico è Giuseppe Zuccatelli il direttore del Servizio Salute. Dunque per qualche anno si salda in Regione l’alleanza tra politica e tecnica. Vorremmo scrivere che cambiammo il mondo e vissero tutti felici e contenti … Ma non fu proprio così. Certo è che alcuni degli strumenti messi a punto allora (i manuali di autorizzazione ed accreditamento, il budget delle Aziende con obiettivi di carattere sanitario, la creazione di una sorta di controllo di gestione strategico regionale con l’utilizzo di sistemi di indicatori economici e sanitari per la valutazione della performance regionale ed aziendale e molto altro ancora) confortano su questo punto che giudichiamo fondamentale: la gestione della sanità non può prescindere da una integrazione tra il punto di vista del politico e quello del tecnico. Per chiudere il cerchio ci vuole l’integrazione col punto di vista del cittadino. Ma forse questo è un punto che è giunto a maturazione successivamente. O, meglio ancora, che non è ancora maturato abbastanza.

Intanto nel 1999 ci fu la riforma della riforma della riforma sanitaria. Ricapitolando: con la Legge 833/1978 si fece la riforma vera e propria, con i decreti 502/92 e 517/93 si fece la prima riforma della riforma con la Aziendalizzazione e con il Decreto Bindi 229/99 (la seconda riforma della riforma, non perdiamo il conto) vengono ridefiniti tutti gli articoli dei decreti del 1992 e 1993, e si fanno alcune scelte:

  1. si accentuano la regionalizzazione e la aziendalizzazione della sanità;
  2. si obbligano i medici a scegliere tra rapporto di lavoro esclusivo e libera professione;
  3. si introduce l’istituto della autorizzazione alla realizzazione (foriero negli anni di continui ricorsi alla Corte Costituzionale[4] e al Consiglio di Stato[5])
  4. si abolisce la contabilità finanziaria e si adotta la contabilità economica (su questo limitiamoci a dire che questa seconda tipologia di contabilità consente di riconoscere molto meglio le conseguenze economiche delle scelte effettuate).

Ma in termini normativi è il 2001 a segnare un anno di svolta o quantomeno a portare due grandi novità: con una legge costituzionale si consente alle Regioni di legiferare in sanità (la tutela della salute è oggetto di legislazione concorrente da parte delle Regioni) e con un DPCM[6] vengono fissati i Livelli Essenziali di Assistenza (LEA).

E qui ci vuole una piccola pausa nel racconto. La storia dei primi 40 anni del Servizio Sanitario Nazionale può essere raccontata in molti modi e da molti punti di vista. In questi anni le professioni sono cambiate (che ricordo la Scuola Infermieri della direttrice Conte!), la tecnologia è mutata radicalmente, la medicina generale è evoluta, gli ospedali sono cambiati, il rapporto con pazienti e familiari si è modificato … Insomma, qui ci sono solo alcuni frammenti di una storia complessa. Li abbiamo scelti perché li abbiamo vissuti di più e perché ci sembrano che abbiano un valore che si è mantenuto nel tempo. E questo vale, digressione finita, per i Livelli Essenziali di Assistenza. Ormai nessuno li chiama più così: tutti li chiamano confidenzialmente LEA. Ma cosa sono in realtà?

I LEA sono quelle prestazioni/interventi che i cittadini hanno diritto di richiedere e il Servizio Sanitario Nazionale ha il dovere di garantire. La lettura del Decreto non rende ragione di quanto ricchi siano i nostri LEA. C’è tutto: dalla prevenzione, alla assistenza territoriale, a quella ospedaliera per arrivare alla integrazione socio-sanitaria e all’emergenza territoriale. E tutto free, ticket a parte per i non esenti per alcuni farmaci a domicilio e per le prestazioni ambulatoriali.

Se i LEA del SSN sono ricchi (e con il loro aggiornamento del 2017 lo sono diventati ancora di più) si aprono due problemi (tra i tanti):

1. Come si fa a verificare che in tutte le Regioni essi vengano garantiti ad un livello adeguato?
2. Come si fa a garantirli dentro un SSN sottofinanziato rispetto alla media degli altri paesi europei?

Per rispondere alla prima domanda si è sviluppato un importante movimento per cercare di misurare la performance dei vari Servizi Sanitari Regionali. Allo stesso tempo il livello centrale compie annualmente una verifica sul mantenimento dell’erogazione dei LEA ad un livello adeguato. Partner del Ministero della Salute in questa attività di verifica è l’AGENAS (Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali), Agenzia con la quale uno di noi collabora (al solito FDS). A queste verifiche risultano importanti disomogeneità tra le diverse Regioni e la stessa regione Marche presenta diverse significative criticità. Non è questa la sede per entrare nel merito, ma una cosa la vogliamo sottolineare riprendendo un tema affrontato nella seconda parte del nostro racconto: la valutazione continua della qualità è indispensabile per fornire ai nostri cittadini ed ai nostri pazienti una assistenza adeguata. In sanità pubblica come nella pratica clinica ci servono dati e l’abitudine ad utilizzarli per prendere decisioni sulla base quanto più possibile di evidenze scientifiche. Ricetta facile a scriversi, ma difficile da realizzare sul campo.

Quanto alla seconda domanda (che riguarda in definitiva la sostenibilità del SSN), cercheremo di dare una risposta più sistematica in occasione della quarta ed ultima parte. Qui ci interessa recuperare ancora una volta il governo clinico, ovvero la possibilità che la gestione politico-amministrativa della sanità possa essere supportata dalla partecipazione dei professionisti. Uno (certo solo uno, ce ne sono molti altri a partire da un maggiore finanziamento della sanità) degli strumenti per aiutare la sostenibilità del sistema è quello della appropriatezza. Il termine di appropriatezza è da anni largamente in uso ed è uno dei modi con cui si è cominciato a ragionare sui costi crescenti in sanità e sul modo di contenerli. Il rischio è che termini come questo usati di continuo senza riferimenti a cosa vogliano dire in pratica creino una sorta di assuefazione che toglie loro parte del significato. In realtà l’appropriatezza (e l’inappropriatezza, termine che i correttori non riconoscono tant’è che qui è sottolineato in rosso!) è una cosa molto seria perché rimanda alla necessità di scegliere per ogni decisione clinicamente ed organizzativamente la cosa giusta da fare. E questo può riguardare un farmaco, un test diagnostico, il livello di erogazione dell’ intervento (ricovero, ambulatorio, domicilio) o la organizzazione stessa delle attività in termini di organizzazione del lavoro e professionalità coinvolte. L’appropriatezza è in buona parte questione sotto il “dominio” dei professionisti che praticandola possono aiutare la sostenibilità del sistema.

Non a caso nel primo decennio del 2000 sono nati in Italia movimenti come quello di Slow Medicine (2011) che già nel nome rende l’idea della sua mission: contribuire a far crescere una sanità sobria, rispettosa e giusta. E qui c’è di nuovo un grande intreccio sta la storia del SSN e quello di alcuni movimenti culturali che ci hanno profondamente coinvolto (FDS, sempre lui, è tra i soci fondatori di Slow Medicine). Il SSN, questo è il nostro messaggio, ha bisogno di professionisti con una cultura che si adatta alle sue esigenze ed alla sua evoluzione. Qui ci piace richiamare l’importanza che tutto questo poi comporta sul piano della ricerca e della formazione della nostra Facoltà (CMM si sente cooptato d’ufficio).

Piccola parentesi personale: l’idillio tra noi e il lavoro in Regione a un certo punto è finito, anche se (o nonostante il fatto che) l’ARS Marche il 29 dicembre 2005 fosse stata designata dal WHO come WHO Collaborating Centre for Institutionalization and Development of Quality in Health System (designazione revocata il 4 gennaio 2010).

Ma rimane la convinzione che la Regione con il supporto di tecnici qualificati sia centrale nel governo di una buona sanità.

Citazione finale che vuole rimarcare ancora una volta l’importanza dei dati e della attenzione alla dimensione della valutazione per il mantenimento di un SSN adeguato.

Nella scienza (leggere: nella politica sanitaria), come nella vita, vige il metodo dell’apprendimento per prove ed errori, cioè di apprendimento dagli errori. L’ameba ed Einstein procedono allo stesso modo:  per tentativi ed errori e la sola differenza rilevabile nella logica che guida le loro azioni è data dal fatto  che i loro atteggiamenti nei confronti dell’errore sono profondamente diversi.  Einstein, infatti, diversamente dall’ameba cerca consapevolmente di fare di tutto, ogni qualvolta gli capiti una nuova soluzione, per coglierla in fallo e di scoprire in essa un errore: egli tratta o si avvicina alle proprie soluzioni criticamente.  Egli cioè assume un atteggiamento consapevolmente critico nei confronti delle proprie idee, cosicché mentre l’ameba morirà a causa dei suoi errori, Einstein sopravviverà proprio grazie ai suoi errori.”  (Karl Raimund Popper, da Epistemologia, razionalità e libertà, 1972.

Nella quarta ed ultima parte: reti cliniche, le evidenze delle innovazioni organizzative, la gestione della cronicità, prospettive future del SSN e, dentro di queste, ruolo della ricerca e della formazione .

  1. DECRETO LEGISLATIVO 30 GIUGNO 1993, n. 266 Riordinamento del ministero della sanità…. ART. 5. Agenzia per i servizi sanitari regionali. E’ istituita una agenzia dotata di personalità giuridica e sottoposta alla vigilanza del ministero della sanità, con compiti di supporto delle attività regionali, di valutazione comparativa dei costi e dei rendimenti dei servizi resi ai cittadini e di segnalazione di disfunzioni e sprechi nella gestione delle risorse personali e materiali e nelle forniture, di trasferimento dell’innovazione e delle sperimentazioni in materia sanitaria
  2. Scally G, Donaldson LJ – Clinical governance and the drive for quality improvement in the new NHS in England. BMJ, 1998 Jul 4; 317(7150): 61–65. La Clinical Governance è un sistema attraverso cui le organizzazioni sanitarie sono responsabili del continuo miglioramento della qualità dei loro servizi e della salvaguardia di elevati standard di assistenza attraverso la creazione di un ambiente in cui possa svilupparsi l’eccellenza dell’assistenza sanitaria».
  3. Buetow SA, Roland M. – Clinical governance: bridging the gap between managerial and clinical approaches to quality of care. Qual Health Care 1999;8:184-90.
  4. Corte Costituzionale: Sentenze n. 361 del 7 novembre 2008 e n. 132 del 7 giugno 2013
  5. Consiglio di Stato, Sez. III Sentenze n. 2452 del 6 maggio 2013 e n. 4574 del 16 settembre 2013; Sez. IV, Sentenza n. 23 del 7 gennaio 2013
  6. Decreto Presidente Consiglio Ministri del 29 novembre 2001 “Definizione dei livelli essenziali di assistenza”

 

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