Dai manuali di una pratica empirica alle diagnosi infermieristiche, la trasmissione e codificazione del sapere assistenziale

Giordano Cotichelli
Corso di Laurea in Infermieristica
Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università Politecnica delle Marche

Il 25 maggio scorso (Il riferimento è per l’anno 2016) si è tenuta a Padova la 3° Conferenza nazionale sulla tassonomia Nic, Noc e Nanda con una partecipazione di circa 300 infermieri provenienti da varie parti d’Italia (43 dalle Marche) e afferenti a differenti aree di impiego: formazione, direzione, clinica, assistenza territoriale, ricerca. Diversi gli ospiti di rilievo in rappresentanza della professione, fra i quali: Marisa Cantarelli, che ha aperto i lavori con una sua lectio magistralis sulla disciplina infermieristica; Edoardo Manzoni sul legame intrinseco fra l’epistemologia della disciplina e il simbolismo del suo linguaggio scientifico; Beatrice Mazzoleni, segretaria della Federazione Nazionale dei Collegi Ipasvi, la quale ha illustrato il lavoro portato avanti dalla federazione al fine di dare una dimensione dinamica ai linguaggi standardizzati, non solo riguardo quelli della tassonomia NNN, ma anche rispetto a quelli realizzati dall’ICN (International Council of Nurse), il quale, in un lavoro ampio di equipe transnazionale ha sviluppato in questi anni l’ICNP (International classification for nurses practice).

Fig. 1. La Maga, olio su tela (61 x 51), 1911, di John William Waterhouse. Ritratto associato in molti testi alla figura di Trotula de Ruggiero

Al di là del suo portato intrinseco, la giornata assume il peso di una testimonianza importante per la stessa dimensione identitaria della professione. Nei fatti una tassonomia degli interventi assistenziali segna la strutturazione di un sapere che si proietta verso il futuro, raccogliendo l’eredità del passato e della pratica del presente in una valutazione continua di applicabilità delle teorie infermieristiche. Qualcosa che però appartiene alla professione da più tempo di quanto non si creda, ancor prima della stessa pubblicazione di Notes of nursing nel XIX secolo ad opera di Florence Nightingale, quando già in età moderna inizia a farsi strada una nuova concezione della Scienza Medica e di conseguenza anche della pratica assistenziale.

In merito la storia della manualistica infermieristica è tutta da scrivere e da indagare. Uno tra i riferimenti più remoti è rappresentato dalla raccolta di testi ad opera di Trotula de Ruggiero (Fig.1), che la tradizione vuole legata alla Scuola delle mulieres salernitanae, donne esperte che derivavano le loro conoscenze in misura maggiore dalla tradizione da guaritrici, erbuarie, levatrici e infermiere. I testi di maggior rilievo erano il De passionibus Mulierum Curandarum – (noto come Trotula major) con indicazioni in tema di ostetricia, controllo delle nascite, sessualità, infertilità, e il De Ornatu Mulierum (noto come Trotula minor) riguardante trattamenti cosmetici e curativi della pelle. Sull’identità di chi fosse Trotula, più autori hanno sollevato interrogativi, evidenziando che il nome di Trotula era un appellativo molto comune al tempo (XI secolo) e quindi potrebbe essere più uno pseudonimo comprensivo dell’identità di più autrici [1] [2].

L'Ospedale_Maggiore_di_Milano_nel_giorno_della_Festa_del_Perdono_(fine_del_XVII_secolo)

Fig. 2. Il cortile dell’Ospedale Maggiore di Milano, nel quadro “Festa del Perdono e vita ospedaliera” di Anonimo milanese del XVII secolo. Olio su tela, cm 194×344.

I lavori maggiormente di rilievo si ritrovano qualche secolo più tardi, prodotti tra la fine dell’Evo Moderno e l’inizio dell’Età Contemporanea. Per la precisione nel XVII secolo comincia a farsi strada una visione nuova dell’Ospedale, non più inteso come semplice luogo di rifugio ed accoglienza, ma come vera e propria fabbrica della salute [3], in cui, come ricorda il medico ed economista inglese del tempo, William Petty (1623 – 1685): “Si potranno soccorrere qui (cioè in ospedale) 1000 persone con una spesa minore di quella necessaria per 100” [4].

Fig. 3. Frontespizio del manuale di Frà Francesco Dal Bosco, nell’edizione del 1664

In questo la figura dell’infermiere diventa sempre più oggetto di precetti, corsi, indicazioni e istruzioni di vario tipo con mansioni sempre più definite. Interessante ciò che si ritrova nel regolamento del 1687 dell’Ospedale Maggiore di Milano (Fig. 2): “ai serventi viene fatto obbligo che siano iscritti alla scuola di anatomia e non possano ottenere promozioni se non l’abbiano frequentata con assiduità e profitto e che non sia nominato servente chi non sappia leggere e scrivere”, ricordando, ad esempio, l’importanza del: rifare i letti non solo al mattino ma anche alla sera e profumare le infermerie ogni mattina con essenza di ginepro. [5]. In questo si capisce l’inizio della comparsa di manuali riportanti nozioni e istruzioni di pratica infermieristica. In merito è interessante la testimonianza dell’analisi fatta di testi del tempo a cura di Filippo Festini e Angela del Nigro [6]. I due autori iniziano con il testo La prattica dell’infermiero di Frà Francesco Dal Bosco (Fig.3), pubblicato postumo per la prima volta nel 1664 (con ristampe continue fino al 1702 e fonte di ispirazione ulteriore ancora nel XIX secolo), e suddiviso in sei capitoli riguardanti vari argomenti fra cui la valutazione del polso, le urine, sangue, le tecniche per il salasso, le affezioni dell’anima, il sonno, la veglia, l’alimentazione e l’eliminazione. Il secondo testo preso in considerazione è L’Infermiero istruito, scritto dal medico napoletano Filippo Baldini nel 1790 e composto di 152 pagine in cui si prendono in considerazione vari argomenti suddivisi in capitoli fra cui si ricordano: la qualità degli infermieri, il regolamento degli ammalati, il governo dei malati (aria, pulizia, letti, gli alimenti, l’esercizio, il sonno, le passioni d’animo, i medicamenti, i bagni), la cura dei malati (le febbri, le infiammazioni, le convulsioni, gli svenimenti, le morti apparenti, il dolore, le emorragie), il regime delle partorienti, la farmacia. Il Baldini oltre le indicazioni di tipo pratico, sottolinea come il lavoro degli infermieri debba essere esercitato quale una vera e propria arte dato che: “è dovere che gli infermieri sieno altresì istruiti di principi medici, affinché possano conoscere le malattie. L’arte di assistere gli ammalati non puossi apprendere d’una maniera empirica, avvegnachè i fatti son più delle volte difettosi” [7]. Oltre le due opere citate se ne ritrovano molte altre minori, redatte all’interno del micro – mondo degli ospedali di provincia (Napoli, Milano, Venezia, Pesaro, Palermo, Firenze, Roma) o relative ai regolamenti militari che forniscono indicazioni, informazioni, raccomandazioni, e conoscenze di vario tipo, lungo una visione professionale ancora abbastanza semplicistica e sintetizzabile dal pensiero che Giovanni Dansi [8] esternava nella sua dissertazione fatta in Pavia per il Dottorato in Medicina, in cui raccomanda per la centralità dei diversi aspetti della carità e dell’istruzione e la necessità di una formazione e conservazione dei buoni infermieri. Con l’inizio dell’era moderna si ricordano altri due manuali importanti presi in considerazione dal lavoro di Festini e Nigro, redatti rispettivamente nel 1833 da Ernesto Rusca e nel 1846 da Giuseppe Cattaneo dove l’obiettivo pedagogico di formare un professionista moderno al passo con i tempi è ulteriormente sviluppato,4 in linea con quel percorso di crescita che verrà ulteriormente codificato da Florence Nightingale. La manualistica infermieristica continuerà a conservare ancora per quasi tutto il XX secolo un taglio maggiormente pratico per coniugarsi alle soglie del III millennio con una prospettiva teorica assistenziale, declinata nelle sue varie espressioni, lungo un’assunzione di responsabilità e di autonomia che ormai supera la desueta divisione di compiti e funzioni e organizza l’intervento in maniera progettuale, partecipata e multidisciplinare. E questo è il presente, storia di tutti i giorni, in cui la Conferenza di Padova, citata all’inizio, la tassonomia degli interventi infermieristici, sono ulteriori tasselli di un filo identitario in continua crescita e definizione.

Riferimenti bibliografici

  1. Cavallo, P. B., Nubié, M., & Tocco, A. (1979). Trotula de Ruggiero, Sulle malattie delle donne, Ed. La rosa, Torino;
  2. Petrocelli, C. (2010). La donna nella storia della medicina. Quad. Soc. Ital. Farmacol, 23, 55-59.
  3. Paolo F. (1984) Ospedali, malati e medici dal risorgimento all’età giolittiana, in Storia d’Italia, Annali 7, cit., pp. 299-324.
  4. Carlo Calamandrei, (1983) L’assistenza infermieristica, storia teoria, metodi, La Nuova Italia Scientifica, Roma 1993, p. 26.
  5. Cosmacini, G. (1987). Storia della medicina e della sanità in Italia: dalla peste europea alla guerra mondiale, 1348-1918. Laterza, p. 199;
  6. Festini, F., & Nigro, A. (2012). Prima di Florence Nightingale: la letteratura infermieristica italiana 1676-1846. Libreria universitaria. it ed;
  7. Dimonte, V. (1995). Da servente ad infermiere: una storia dell’assistenza infermieristica ospedaliera in Italia. Centro studi delle professioni infermieristiche, p.41;
  8. Dansi G. (1828) Dell’infermiere caritatevole ed illuminato, Stamperia Fusi, Pavia, pp. 20;
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