I Quaderni di Lettere – 1° Scienza e Pseudoscienza

Medicina clinica

Gli anni che stiamo vivendo sembrano caratterizzati da una inattesa e sorprendente crisi di fiducia nel metodo scientifico. L’aumento senza precedenti dell’aspettativa di vita, la possibilità di curare e a volte guarire malattie che non lasciavano scampo solo pochi anni fa, la diffusione rapidissima di tecnologie dal sapore fantascientifico, la capacità di indagare i meccanismi più intimi della struttura della realtà fisica non sembrano sufficienti a garantire al metodo scientifico e agli scienziati un ruolo indiscusso come sorgente di dati oggettivi su cui fondare comportamenti e decisioni in campi tecnici (si pensi alla scelta di una terapia) o anche politici (si pensi alle politiche sul cambiamento climatico).

Assistiamo così al fiorire parallelo di opinioni, teorie, spiegazioni e nuove verità, ipotesi complottistiche e approcci metafisici che si propongono come nuovi paradigmi su cui fondare, in medicina, comportamenti diagnostici e terapeutici “alternativi”.

Ci si può chiedere allora: in cosa è consistita la rivoluzione scientifica che ha caratterizzato la Medicina clinica negli ultimi due secoli? Quali le ragioni della crisi attuale? Cosa distingue la Scienza dalle pseudoscienze? Perché questa fioritura? Cosa possono fare scienziati e politici? Come integrare la formazione medica e sanitaria con competenze decisionali critiche e razionali?

In questo dossier autorevoli esponenti del mondo culturale e scientifico rispondono ai quesiti posti.

1. Tappe nel cammino della scienza
La medicina sperimentale (e le sue basi fisiologiche)

Fiorenzo Conti
Dipartimento di Medicina Sperimentale e Clinica, Sezione Fisiologia, Università Politecnica delle Marche

All’inizio del XIX secolo, la fisiologia è una disciplina che ha pienamente conquistato un in- sostituibile ruolo nella medicina, ma che appare ancora mancante di una sua definita fisionomia, dibattuta com’è tra l’influenza sempre più importante, ma non chiara, esercitata dalla chimica, dalla fisica e dal ruolo della sperimentazione, la sua ancora tangibile dipendenza dall’anatomia e la sua “galenica” preoccupazione teleologica. Ma forse il problema culturalmente più importante era rappresentato dalla sua “pregalenica” vocazione metafisica alla ricerca della causa prima. La fisiologia della prima metà del XIX secolo è quindi un complesso puzzle che aspetta di essere sistematizzato, introducendo nuovi elementi ed eliminandone numerosi altri, retaggio del passato o testimonianza della crescita tumultuosa e incontrollata a cui era andata incontro. Entrambe le operazioni richiedevano una rivoluzione. Questa rivoluzione si verifica nella seconda metà del XIX secolo e ad essa ha significativamente contribuito la visione fisiologica di Claude Bernard, magistralmente riassunta nel sua opera più celebre, L’Introduction a l’étude de la médecine expérimentale, pubblicata nel 1865 a Parigi per i tipi di Bailliere.

Uno dei concetti cardini della concezione bernardiana è senza dubbio quello di determinismo, che Bernard eredita dai due secoli che l’hanno preceduto e pone al centro della sua fisiologia (e della sua medicina). A proposito, Bernard scrive: “In effetti (il fisico e il fisiologo) si propongono l’obiettivo di definire la causa prossima dei fenomeni che studiano…. Per noi pertanto la fisiologia è la scienza che ha per obiettivo di studiare i fenomeni degli esseri viventi e di definire le condizioni materiali che ne permettono la loro manifestazione….”. La fisiologia dunque deve stabilire ciò che determina la manifestazione di un fenomeno vitale. Il determinismo di Claude Bernard è assoluto, perché riguarda sia gli oggetti inanimati (les corps bruts) sia gli esseri viventi e perché un dato fenomeno deve verificarsi quando sono presenti le sue condizioni determinanti.

Teorizzando (e praticando) una fisiologia basata sul determinismo assoluto, orientata cioè a determinare le condizioni che determinano la manifestazione di un fenomeno vitale, Bernard realizza in un colpo solo il duplice scopo di determinare l’abbandono delle finalità teleologiche e della vocazione metafisica dalla fisiologia, trasformando la fisiologia da scienza che studia il perché la scienza che studia il come. Mentre la rinuncia alle finalità teleologiche sembra in qualche modo completare un millenario processo di maturazione della fisiologia e non occupa grande spazio nelle pagine di Bernard, la rinuncia alla vocazione metafisica ha rappresentato una rottura netta con il passato e con il suo presente ed è stata certamente uno dei più importanti risultati dell’intera opera di Claude Bernard.

Uno dei pilastri della fisiologia di Bernard è il superamento della fisiologia intesa come anatomia animata di halleriana memoria e la nascita di una nuova prospettiva. Secondo Bernard, qualunque spiegazione dei fenomeni vitali basata esclusivamente sull’anatomia è necessariamente incompleta.

Un altro pilastro della fisiologia di Claude Bernard è il concetto, celeberrimo, di milieu intérieur (ambiente interno), sul quale egli scrive numerose pagine sia nell’Introduction sia nelle Leçons sur les phénomènes de la vie communs aux animaux et végétaux. Bernard per primo ha posto l’accento sul fatto che nei metazoi esistono due ambienti: l’ambiente esterno, nel quale è posto l’organismo, e l’ambiente interno, nel quale vivono gli elementi che costituiscono l’organismo, e soprattutto che l’esistenza dell’animale non avviene nell’ambiente esterno ma in quello interno. L’ambiente interno è rappresentato dal plasma (e, in senso più ampio, da tutti i liquidi extracellulari, che sono a contatto con le cellule dell’organismo) ed è il plasma che possiede caratteristiche tali da permettere l’esistenza delle condizioni fisico-chimiche necessarie per il perfetto funzionamento delle cellule e quindi degli organismi. Concettualmente, è evidente lo stretto legame esistente tra le premesse teoriche (l’applicazione del determinismo e l’abbandono delle finalità metafisiche portano alla ricerca della causa prossima) e le conseguenze pratiche (la scoperta dell’ambiente interno, dove evidentemente deve trovarsi la causa prossima, ovvero le condizioni fisico-chimiche necessarie al perfetto funzionamento delle cellule). Se il perfetto funzionamento delle cellule dipende dalle condizioni fisico-chimiche ottimali dell’ambiente interno, queste dovranno necessariamente mantenersi costanti. Bernard infatti scrive: “La costanza del mezzo interno è la condizione della vita libera, indipendente: il meccanismo che la rende possibile è infatti quello che assicura al mezzo interno il mantenimento di tutte le condizioni necessarie alla vita degli elementi”. Inevitabilmente, dovranno allora esistere meccanismi che permettano il mantenimento di quelle condizioni, sostiene infatti Bernard, aprendo uno dei più affascinanti e fruttuosi campi dell’intera fisiologia, la fisiologia delle regolazioni, degli adattamenti e dei compensi.

La “nuova” fisiologia propugnata da Bernard deve dunque penetrare l’ambiente interno, capire le regolazioni e perciò farsi scienza dinamica, viva; non può più basarsi esclusivamente sulle conoscenze anatomiche, chimiche o fisiche, ma ha bisogno di studiare l’organismo vivente.
Per Claude Bernard ciò significa sperimentazione animale “Come è stato possibile scoprire le leggi della materia inanimata solo penetrando nei corpi o nelle macchine inerti, così si potrà arrivare a conoscere le leggi e le proprietà della materia vivente solo introducendosi nell’ambiente interno. Dopo aver sezionato i morti, si devono quindi necessariamente sezionare gli esseri viventi, per mettere allo scoperto e veder funzionare le parti interne o nascoste dell’organismo……”

Il nome di Claude Bernard è spesso associato al concetto di metodo sperimentale. E’ certo che egli abbia in qualche modo sublimato le esperienze dei due secoli precedenti e le abbia sistematizzate; a questo merito indubbio ne vanno aggiunti altri tre, che probabilmente caratterizzano il contributo epistemologico di Claude Bernard: l’enfasi sul concetto di ipotesi, il fallibilismo e l’applicazione del metodo sperimentale alla medicina. Schematicamente, si può dire che per Claude Bernard il metodo sperimentale si basa sulla sequenza: osservazione>ipotesi>esperimento. Osservazione ed esperimento non si distinguono per la loro natura, ma per la loro posizione nella sequenza sperimentale: l’esperimento è un’osservazione provocata allo scopo di verificare un’ipotesi e, fornendo fatti al ricercatore, diventa a sua volta osservazione, cioè punto di partenza di un’altra sequenza. La logica del ragionamento sperimentale è pertanto circolare.

Il ruolo che Claude Bernard ha avuto nello sviluppo della medicina clinica non è probabilmente inferiore a quello che ha avuto nella fisiologia. Il lavoro sperimentale di Bernard ha infatti contribuito in maniera fondamentale allo sviluppo di varie branche mediche, dall’anestesia alla chirurgia, dalla farmacologia alla medicina interna, dalla tossicologia alla neurologia. Questo è certamente molto significativo ma, al tempo stesso, secondario rispetto alle implicazioni che ha avuto il “discorso sul metodo”, discorso che plasma dalla base tutto lo spettro delle discipline biomediche, e di conseguenza ogni pagina di Claude Bernard può essere letta sia nella prospettiva biologica sia in quella clinica. Così, il determinismo vale anche per le malattie, che in alcuni casi possono riconoscere almeno in parte un’alterazione dei meccanismi omeostatici; il metodo sperimentale è valido sia per la fisiologia sia per la medicina clinica; la sperimentazione animale serve non solo a conoscere i meccanismi fisiologici ma anche quelli fisiopatologici e a mettere a punto procedimenti terapeutici; la rinuncia al legame con la filosofia vale anche per la medicina. Ancora una volta è importante sottolineare che queste considerazioni non rappresentano un’attribuzione a posteriori di meriti indiretti, ma sono tutte chiaramente presenti nelle pagine di Bernard.

La medicina basata sulle evidenze, ovvero: è davvero possibile fondare le decisioni cliniche (ed organizzative) su prove sperimentali?


Giovanni Pomponio
Clinica Medica , Azienda Ospedaliero Universitaria Ospedali Riuniti di Ancona

Il viaggio intorno al mondo del Capitano Anson fu un terribile successo. Nel 1744, al ritorno in patria, svuotate le stive dei pezzi di argento spagnolo e degli altri tesori raccolti, rimase solo il pianto delle madri e delle vedove. Più dei due terzi degli oltre 900 marinai partiti tre anni prima, infatti, era morto in mare, prevalentemente a causa dello Scorbuto, terribile e misterioso morbo che faceva marcire le bocche e svuotava di energie le persone malate fino ad ucciderle. I Medici apparivano impotenti e litigiosi. Ciascuno proponeva una sua terapia, che si rivelava generalmente inefficace, nonostante il supporto di dotte considerazioni fisiopatologiche e roboanti attestazioni provenienti dagli scritti degli Antichi Maestri. Ma l’Inghilterra non poteva permettersi di perdere in ogni viaggio un così alto numero di figli. Capire quale terapia tra le tante proposte fosse veramente efficace era divenuta una priorità nazionale.

Tre anni dopo il viaggio di Anson, James Lind, un ufficiale medico di bordo che aveva prestato servizio nelle Indie occidentali, ebbe un’idea rivoluzionaria. Invece di affidarsi a complessi ragionamenti deduttivi, pensò di sperimentare tutte le cure possibili su un campione di dodici marinai gravemente malati durante il viaggio sul suo brigantino. Formò così, scegliendo a caso, sei coppie di pazienti ai quali somministrò terapie diverse, rispettivamente: acqua di mare, «alcune gocce di elisir di vetriolo» (ossia di una soluzione a base di acido solforico), un’inquietante mistura di aglio, senape, rafano, chinino e mirra, un litro di sidro al giorno, due cucchiai di aceto a stomaco vuoto tre volte al giorno, due arance e un limone al dì a stomaco vuoto per sei giorni (poi la riserva disponibile sulla nave si esaurì). Tutti i soggetti arruolati seguivano la stessa dieta ed erano distesi nello stesso posto con lo stesso orientamento rispetto ai punti cardinali.

Gli unici effetti benefici furono osservati nei pazienti trattati con arance e limoni. In capo a sei giorni uno di questi era addirittura tornato alle sue mansioni.

I pregiudizi che la medicina degli umori allora imperante aveva contro le cure universali, considerate cose da ciarlatani, ritardarono di oltre cinquant’anni l’applicazione clinica di tale scoperta, ma il seme della decisione clinica fondata sulle prove era stato gettato.

Quasi 250 anni dopo, un gruppo di clinici ed epidemiologi anglo-canadesi annunciava provocatoriamente sulle pagine di JAMA la nascita di un nuovo paradigma per l’insegnamento e la pratica della Medicina. Il tradizionale approccio basato sull’esperienza personale aneddotica e sul ragionamento fisiopatologico veniva rimpiazzato dall’integrazione dell’esperienza del singolo clinico con la prova sperimentale di migliore qualità proveniente dalla sperimentazione clinica. La definizione di nuovi e più stringenti standard per la ricerca, la creazione di risorse editoriali capaci di sintetizzare le prove prodotte e di renderle maggiormente fruibili, la promozione della diffusione telematica dell’informazione medica, lo sviluppo di metodi sistematici di analisi e apprendimento critico degli studi clinici e la nascita delle tecniche a favorire il trasferimento nelle realtà cliniche ed organizzative dei risultati della ricerca divennero rapidamente il fulcro delle attività della nuova Medicina basata sulle prove (Evidence-based Medicine-EBM).

Due decadi di lavoro e di risorse investite hanno prodotto importanti acquisizioni. Sono migliaia le revisioni sistematiche e le linee guida oggi disponibili e soprattutto cominciano ad emergere dati sempre più convincenti che ne dimostrano l’impatto positivo su indicatori rilevanti per la salute delle persone malate. Per citare solo due esempi, le linee guida sull’asma prodotte negli anni ’90 con la nuova metodologia, hanno contribuito a migliorare l’impiego degli steroidi e dei broncodilatatori, determinando una riduzione della morbilità e mortalità chiaramente misurabile, mentre l’aderenza alle linee guida prodotte dal National Institute for Clinical Excellence inglese per la prevenzione delle trombosi venose post-chirurgiche correla strettamente e significativamente con la riduzione delle complicanze tromboemboliche nei centri dove vengono applicate.

Tuttavia non sono mancate critiche e perplessità intorno all’enfasi posta sulla EBM. Alcune di queste appaiono giustificate e portano a ritenere che la medicina basata sulle evidenze stia attraversando un momento di reale crisi.

Per prima cosa da più parti si è rilevato come la spinta alla produzione di studi clinici e l’importanza che ad essi viene attribuita non solo dai clinici, ma anche dai responsabili dei processi di autorizzazione all’impiego ed al finanziamento degli interventi diagnostici e terapeutici in sanità abbia portato ad una vera e propria alluvione di trial, spesso repliche l’uno dell’altro, disegnati per misurare differenze di entità piccola e spesso clinicamente (ma non statisticamente) trascurabile, ed afflitti dai più vari difetti metodologici che in generale conducono ad una sovrastima dell’efficacia dell’intervento sperimentato. Questo fenomeno è aggravato dal frequente inquinamento dai conflitti di interesse, finanziari e non, che sottostanno alla scelta degli interventi, delle popolazioni e degli esiti sottoposti ad indagine, nonché al modo stesso in cui gli esperimenti vengono disegnati e condotti. L’amplificazione e la ‘semplificazione’ operata dalle revisioni sistematiche con e senza metanalisi e dalle linee guida, oltre a far (erroneamente) ritenere superfluo un critico processo di apprendimento ed aggiornamento professionale, genera facilmente atteggiamenti e comportamenti opposti e paradossali, che vanno dall’impiego acritico delle raccomandazioni contenute nel documento più recente, o ‘più autorevole’ o anche semplicemente più facilmente raggiungibile (ad esempio perché più capillarmente diffuso a spese di qualche ‘generoso’ sponsor), al rifiuto in blocco dei risultati della ricerca clinica, ritenuta non affidabile, corrotta o non trasferibile nella pratica, con il conseguente ritorno alla medicina personalizzata fondata sulla libertà di opinione, di cura e di errore.

Una seconda critica consiste nell’accusare l’EBM di essere irrispettosa della variabilità individuale e delle preferenze del paziente, di mortificare l’esperienza dei professionisti e di preoccuparsi più di stimare delle probabilità che di garantire le certezze che ogni individuo vorrebbe conseguire per la propria salute. L’enfasi su strumenti come algoritmi decisionali, calcolatori di rischio o software per l’assistenza alla decisione diagnostica e terapeutica ha certamente contribuito a gettare benzina sul fuoco. Vi sono poi le sfide peculiari che pone il “paziente complesso”, poco descritto e studiato nei trial clinici, nel quale il sommarsi di una rigida applicazione delle evidenze scientifiche prodotte relativamente ad ogni singola patologia di cui è affetto, allo scopo di perseguire outcome (come la riduzione del rischio di eventi anche gravi, ma lontani nel tempo) che possono interessare poco persone che vogliono solo migliorare subito la qualità di vita, può tradursi in uno sfavorevole rapporto tra effetti avversi e benefici e in una inutile dispersione di risorse.

Infine vanno sottolineate l’organizzazione del sistema formativo universitario italiano, all’interno del quale le tecniche e gli strumenti della EBM trovano pochissimo spazio e la tendenza dei responsabili della politica sanitaria a tutti i livelli di piegare la terminologia propria della EBM al fine di praticare strategie di contenimento dei costi, cosa che produce tra i clinici lo sviluppo rapido di anticorpi specifici contro il metodo.

Affrontare queste difficili sfide è possibile ed i gruppi di ricerca che si muovono ed operano intorno alla EBM vi lavorano intensamente da anni, rivedendo ed aggiornando i criteri da impiegare per disegnare trial clinici maggiormente in linea con il mondo della pratica reale e più rispettosi dei valori e degli interessi dei pazienti, producendo documenti integrativi dedicati alle persone con importanti comorbidità e complessità assistenziali, promuovendo la diffusione delle competenze indispensabili per la comprensione e la pratica corretta del metodo. Ma è oggi soprattutto urgente individuare e respingere quei fenomeni di recente paragonati a “pirati” 1 da buttare fuori bordo dalla nave della EBM, quali medicina e ricerca basate solo su considerazioni di utile finanziario, conflitti di interesse a livello accademico, editoriale e di società scientifiche, pratiche di ricerca questionabili e la diffusa methodological illiteracy, abituale compagna della perdita del senso etico della Professione e della Ricerca.

Questi sforzi dovranno unirsi con quelli diretti all’integrazione dell’approccio proprio dell’epidemiologia clinica con quello di altre metodologie emergenti, dalla medicina predittiva fondata sull’impiego della genomica e dell’epigenomica, alle tecniche di analisi trasversale delle grandi banche dati (Big Data Analysis), che promettono di poter garantire una decisione il più possibile personalizzata (Precision medicine) e non più fondata sull’estrapolazione di risultati ottenuti su popolazioni.

Vigili sulle distorsioni e con un occhio a questi futuri possibili, però, la medicina basata sulle evidenze rimane ancora uno strumento imprescindibile per chiunque voglia offrire alle persone malate le decisioni cliniche ed assistenziali caratterizzate dal miglior rapporto tra benefici e rischi potenziali.

1. Ioannidis J Hijacked evidence-based medicine: stay the course and throw the pirates overboard. J Clin Epidemiol 2017; 84:11-13.

La Medicina di precisione tra sfide ed opportunità

Armando Gabrielli, Devis Benfaremo
Dipartimento di Scienze Cliniche e Molecolari, Sezione Clinica Medica, Università Politecnica delle Marche

Introduzione

I termini medicina di precisione, medicina personalizzata e medicina individualizzata sono spesso usati in maniera intercambiabile. Tuttavia, poiché in ambito medico molti aspetti sia a livello diagnostico che terapeutico sono già riconducibili ad una medicina personalizzata e individualizzata (ad esempio, la tipizzazione dei gruppi sanguigni prima della trasfusione, la controindicazione all’utilizzo di determinati farmaci in pazienti con deficit enzimatici, ecc), il termine medicina di precisione (MP) viene attualmente preferito per sottolineare le novità che caratterizzano questo campo a partire dai primi anni 2000, sulla scorta del progetto Genoma, cui hanno fatto seguito numerosi studi volti ad individuare le caratteristiche genomiche e molecolari delle malattie, che potrebbero costituire target specifici di terapie mirate.

Il termine medicina di precisione compare nella letteratura medica nel 1952, ma l’interesse intorno a questo tema è esploso solamente negli anni 2000 e in particolare nel 2014, quando si è registrato un aumento delle pubblicazioni scientifiche inerenti all’argomento. Nel 2015 il presidente americano Barak Obama ha annunciato la Precision Medicine Initiative, con lo stanziamento di oltre duecento milioni di dollari per sostenere progetti di raccolta dei dati genetici, clinici ed ambientali di milioni di persone in modo da determinare la loro interrelazione, ed ottenere così una risorsa per migliorare l’assistenza e la modalità di gestione del sistema sanitario. I benefici attesi di tale approccio sono la razionalizzazione delle risorse e dei costi, grazie al principio della cura giusta, per la persona giusta, al tempo giusto (the right treatment for the right patient at the right time), in aperto contrasto con il “vecchio” paradigma della medicina che tiene conto della media dei pazienti (one-size-fits-all).

In questi termini la medicina di precisione è attualmente definita come “un approccio emergente di prevenzione e trattamento delle malattie che tiene conto della variabilità individuale di geni, ambiente e stili di vita di ciascuna persona”. Tale approccio dovrebbe consentire ai medici di predire più accuratamente quali interventi funzioneranno per il singolo paziente, con l’obiettivo di migliorare i risultati clinici, riducendo al minimo gli effetti avversi per coloro con una minore probabilità di rispondere al trattamento o di trarre giovamento dalle misure di prevenzione.

Strumenti della Medicina di precisione

Il concetto di medicina di precisione presuppone, quindi, che la caratterizzazione della malattia a livello molecolare permetta poi di prevenirne l’insorgenza in pazienti sani o di ritardarne l’evoluzione clinica mediante un trattamento precoce. Le misure preventive, ad esempio il cambiamento dello stile di vita o il sottoporsi a screening periodici, dovrebbero essere messe in atto solo nel gruppo di pazienti con un rischio significativo di sviluppare la malattia, per evitare che la medicina di precisione si traduca in diagnosticare malattie che non saranno causa di morbidità/mortalità (overdiagnosis) o prescrivere trattamenti senza una reale efficacia clinica (overtreatment).

Si va quindi affermando un concetto di medicina cucito (tailored) sulle differenze individuali,

che tiene conto della variabilità genetica, dell’ambiente, delle caratteristiche del microbioma e dello stile di vita delle singole persone. Se il primo passo è stato il sequenziamento del genoma umano, i meccanismi cellulari sono ora più in dettaglio precisati con le informazioni derivanti dall’epigenomica, dalla transcrittomica, dalla proteomica e dalla metabolomica (i cosiddetti omics).

La proteomica riguarda lo studio su grande scala delle proteine, in particolare delle loro strutture e funzione. Mentre il genoma rappresenta il set completo di geni di una cellula, il proteoma rappresenta il set completo di proteine. La proteomica si occupa dell’intero corredo proteico contenuto in una cellula in un dato momento.

L’epigenetica (dal greco επι, epì = “sopra” e γεννετικoς, gennetikòs = “relativo all’eredità familiare”) si riferisce ai cambiamenti che influenzano il fenotipo senza alterare il genotipo. Queste mutazioni, dette epimutazioni, durano per il resto della vita della cellula e possono trasmettersi a generazioni successive delle cellule attraverso le divisioni cellulari, senza tuttavia che le corrispondenti sequenze di DNA siano mutate.

Il metaboloma rappresenta l’insieme di tutti i metaboliti di un organismo biologico, ovvero i prodotti finali della sua espressione genica

Il trascrittoma, termine analogo a genoma, proteoma e metaboloma, è l’insieme di tutti i trascritti (RNA messaggeri o mRNA) di un dato organismo o tipo cellulare.

Microbioma: l’analisi del DNA dei microrganismi che vivono nel tratto intestinale umano, realizzata con i metodi della metagenomica.

Queste, insieme con quelle derivanti dalla storia sanitaria del paziente, quali quelle provenienti dai sistemi di supporto alle decisioni cliniche (note e prescrizioni dei medici, imaging, dati di laboratorio, e altri dati amministrativi), quelle delle cartelle cliniche elettroniche e quelle generate da strumenti preposti al monitoraggio dei parametri vitali, nonché le informazioni provenienti dai social media e altre piattaforme web, costituiscono una mole di dati (big data), il cui obiettivo è di permettere una caratterizzazione diagnostica, prognostica e terapeutica sempre più precisa del singolo individuo.

Una conseguenza di tale rivoluzione è la difficoltà di procedere alla validazione di determinate varianti poco frequenti o rare, perché specifiche di un singolo individuo, con strumenti attuali come i trial randomizzati e controllati (RCT), questo alla luce del difficile reclutamento di un numero adeguato di pazienti. Da qui la necessità di approntare nuovi strumenti di indagine. Ad esempio, se la variante in questione è un biomarcatore molecolare presente nel 1% della popolazione in studio, due nuovi disegni sperimentali potrebbero essere più appropriati: lo studio a ombrello (umbrella trial) e lo studio a canestro (basket trial). Nel primo, i pazienti con un tipo di tumore (cioè con lo stesso istotipo) sono esaminati per la presenza di una serie di biomarcatori e su questa base allocati ai bracci di trattamento con i farmaci corrispondenti (ciascun farmaco è accoppiato allo specifico biomarcatore). Nel secondo, i pazienti sono reclutati solo sulla base delle caratteristiche molecolari, e quindi anche tumori che hanno origine in organi diversi possono essere allocati negli stessi bracci di trattamento. Questi disegni di studio possono essere anche adattativi, ovvero possono essere modificati in corso di studio secondo modalità definite a priori in base ai risultati preliminari.

Il trial N-of-1 è una ulteriore modalità di condurre sperimentazioni cliniche che sta assumendo un ruolo sempre più rilevante. Tali trial vengono condotti sul paziente individuale, sottoposto a periodi in cui si alternano trattamento sperimentale e controllo, assegnati in maniera random.

A questo proposito, valga come esempio la decisione dell’ US Food and Drug Administration (FDA) di approvare l’impiego del pembrolizumab per tumori metastatici caratterizzati da instabilità microsatellitare o deficit di riparazione mismatch indipendentemente dall’ istotipo della neoplasia primitiva, nonché ricordare come l’imatinib mesilato, che ha come target la tirosin chinasi Bcr/Abl, responsabile dello sviluppo della leucemia mieloide cronica, è approvato non solo per il trattamento della malattia mieloproliferativa ma anche per le forme di tumore dello stroma gastrointestinale (GIST) che esprimono c-kit.

Le sfide della Medicina di precisione

La medicina di precisione, oltre alle grandi opportunità di migliorare l’assistenza per i pazienti, pone il sistema sanitario nel suo complesso di fronte ad una serie di sfide che non possono essere ignorate.

L’accesso alle grandi omiche (genomica, transcriptomica, proteomica, epigenomica, metagenomica, metabolomica, nutriomica, ecc.) ha portato all’emergere della biologia dei sistemi, che mira a modellare le complesse interazioni biologiche in maniera olistica, integrando le informazioni provenienti da più discipline. L’epidemiologia osservazionale tradizionale o la sola biologia non sono infatti più sufficienti a chiarire completamente l’eziopatogenesi di malattie complesse ed eterogenee e questo limita in maniera incisiva le possibilità di prevenzione e trattamento. Tra le criticità di questo approccio, parallelamente ad una salute globale “a due livelli”, vi è l’emergere di un simile fenomeno a due livelli per quanto riguarda la generazione e l’analisi dei big data, che risulta ancora estremamente costosa nonostante il progresso tecnologico continuo. Un’altra sfida per l’integrazione dei diversi tipi di omics è data inoltre dall’interpretazione delle interazioni tra i fattori in gioco. Infatti, l’eterogeneità dei processi biologici, parallelamente alla natura di per sé “rumorosa” dei big data e alla difficoltà di condurre analisi statistiche sempre più complesse, rende spesso difficoltoso rilevare le interazioni veramente significative. Ad esempio, individuare una correlazione diretta tra i profili di trascrittomica e di proteomica negli organismi eucarioti potrebbe non essere così semplice a causa di potenziali modifiche post-trascrizionali e post-translazionali. L’elevata variabilità intrinseca di questo tipo di ricerca limita l’affidabilità e la riproducibilità dei risultati e diventa sempre più evidente che il collo di bottiglia è passato dalla generazione di dati alla loro gestione e interpretazione. Quando si gestiscono dati omics, quindi, è importante minimizzare le fonti di errore con metodiche statistiche avanzate, dal momento che è difficile distinguere tra errori casuali e vere interazioni. Tutto ciò mette in evidenza la crescente esigenza di istituire banche di “metadati” (ovvero dati sui dati) o di ricorrere ad una serie di modelli di reti (networks models) in grado di generare numerose ipotesi sui fenomeni biologici, il tutto attraverso dei sistemi di calcolo ben più potenti di quelli attualmente a disposizione per la pratica clinica o per la ricerca di laboratorio.

Medicina di precisione ed Evidence Based Medicine

Con le nuove acquisizioni della genetica, della biologia molecolare e di tutte le omiche, la MP sposterà la medicina clinica dagli studi di popolazione, che sono alla base della medicina basata sulle evidenze (EBM), ad una medicina in cui il trattamento sarà deciso sulla base delle caratteristiche molecolari specifiche del singolo individuo.

Sarà quindi necessario acquisire una dettagliata analisi di ciò che rende un paziente dissimile da un altro pur essendo entrambi affetti dalla stessa patologia.

Per raggiungere questo saranno opportuni: un diverso patrimonio di conoscenza/cultura medica; nuovi metodi con cui raccogliere tale conoscenza (vedi sopra), e approcci nuovi per la loro applicazione alla pratica di tutti i giorni. In ogni caso un ragionamento basato su meccanismi patogenetici sarà più importante di un ragionamento basato sull’epidemiologia.

La MP darà pertanto priorità alla personalizzazione della pratica medica, focalizzandosi sulle caratteristiche biomolecolari peculiari dell’individuo, a differenza dalla EBM che si prefigge di stabilire il percorso migliore per l’individuo con il ricorso alla conoscenza estrapolata da studi di popolazione. Importante quindi la pratica del ragionamento medico in senso meccanicistico anziché probabilistico sia nella fase diagnostica, che terapeutica, che di valutazione del rischio.

La conoscenza derivante da studi di popolazione sarà ugualmente istruttiva e complementare, quanto meno per distinguere salute da malattia, ma non avrà una preferenza incondizionata rispetto alla conoscenza basata su metodologie e analisi meccanicistiche.

La sfida che ha di fronte la MP è, però, di non limitarsi alla incorporazione delle omiche ma di andare oltre, includendo problematiche derivanti dall’ambiente e dagli stili di vita. Se così non fosse, ci si limiterebbe ad una medicina genomica, certamente importante ma insufficiente per una ottima medicina clinica.

La medicina del futuro sembra andare nella direzione di ciò che sosteneva Ippocrate: “è più importante sapere che tipo di persona abbia una malattia piuttosto che sapere che tipo di malattia abbia una persona”.

2. Pseudoscienza, una sfida alla razionalità
Pseudoscienza e medicine non convenzionali

Giuseppe Realdi
Università degli Studi di Padova

Cosa si intende per pseudoscienza

Il termine pseudoscienza è riferito ad ogni teoria o metodologia o pratica che afferma di essere scientifica, ma che non dimostra i criteri della scientificità. Le teorie scientifiche infatti sono costruite in modo da poter essere smentite dai fatti e, quando questo succede, finiscono per essere abbandonate. Nella scienza, le teorie che non superano la prova dei fatti vengono sostituite, prima o poi, da altre che descrivono meglio la realtà. E’ questo il criterio proposto da Popper della falsificazione (1972)1, chiamato anche criterio di demarcazione, per distinguere la scienza da ciò che scienza non è. Nella pseudoscienza questo criterio non trova adozione: per esempio, ci sono ormai molti studi che mostrano come gli effetti dell’omeopatia siano pari a quelli del placebo, ma gli omeopati non hanno rinunciato alla loro teoria e si sono solo limitati a puntellarla con ipotesi ad hoc, come quella secondo cui a causa della sua natura altamente personalizzata, l’omeopatia non potrebbe essere studiata con metodi scientifici (EASAC, 2017)2. Le pseudoscienze sono definite “pseudo” non tanto per i loro settori di studio, alcuni interessanti, ma per la loro modalità di proporsi, in quanto fondano i loro risultati su metodologie che sono prive di riproducibilità, trasferibilità, falsificabilità e verificabilità, proprietà peraltro mai assolute neppure per le teorie scientifiche. Scienza e pseudoscienza sono pertanto molto diverse quanto al rapporto tra fatti e teorie. Mentre le teorie scientifiche discendono dall’osservazione dei fatti e si evolvono, spesso in modo imprevedibile, per adeguarsi ai fatti nuovi che vengono scoperti, le pseudoscienze nascono intorno a basi teoriche proposte come irrinunciabili, e cercano solo i fatti che possano confermarle, ignorando o manipolando gli altri. I concetti chiave delle pseudoscienze spesso assomigliano di più a quelli del paranormale che a quelli della scienza vera e propria. Anche l’impossibilità di rinunciare alle proprie basi teoriche rende le pseudoscienze più simili nella sostanza alle credenze paranormali e religiose che alle teorie scientifiche, a cui somigliano solo in superficie. Basi teoriche come queste, tra l’altro, aiutano a spiegare il successo popolare di alcune pseudoscienze: sono intuitive e rassicuranti ed è comprensibile che vi siano persone chi le difendono e le adottano come valide per gli auspicati effetti favorevoli sul loro stato di salute e per la frequente mancanza di effetti collaterali.

Medicine non-convenzionali o complementari e alternative

La distinzione tra scienza e pseudoscienza ha importanti ripercussioni su molte decisioni, nella vita privata e pubblica, come la cura e il mantenimento della salute, il settore giudiziario, la politica dell’ambiente, i contenuti dell’educazione, le modalità della comunicazione attraverso i media. Nel campo medico, il problema riguarda le medicine non convenzionali o medicine complementari e alternative. Per medicina alternativa s’intende un variegato e disomogeneo sistema di pratiche proposte per la cura di varie patologie, per le quali non esistono dimostrate prove di efficacia. Per tali motivi non vengono ricomprese nella medicina scientifica. La loro genesi è diversa: pratiche mediche tradizionali, aneddoti, credenze popolari o spirituali. Queste pratiche sono spesso raggruppate sotto il termine di “medicina complementare”, e si parla perciò di medicine alternative e complementari (CAM). Il termine medicina complementare descrive quelle pratiche usate in associazione o come complemento di terapie tradizionali. Analogamente si parla di “medicina integrativa” per quella medicina che usa pratiche tradizionali e alternative insieme (Harrison, 2012)3. La mancata accettazione delle medicine alternative dalla comunità scientifica non è assoluta: nel momento in cui le ricerche effettuate con il metodo scientifico consentono di misurare l’efficacia del trattamento alternativo, questo esce dall’alveo della medicina alternativa per confluire nel contesto della medicina scientifica. In Italia, la legislazione che regola l’uso delle medicine non convenzionali è ricca e in continuo aggiornamento. Essa prevede le prioritarie approvazioni da parte di FNOMCeO e della Conferenza Stato-Regioni4-6. L’ultima normativa di FNOMCeO “per la formazione nelle medicine e pratiche non convenzionali riservate ai medici chirurghi e agli odontoiatri” è del novembre 2015 e stabilisce l’istituzione di sette discipline, integrando le linee guida della Federazione del dicembre 2009. La tabella riassume tali discipline e ne riporta la definizione data dalle due normative citate. Altre due discipline, l’osteopatia e la chiropratica, sono attualmente oggetto di dibattito parlamentare in corso di approvazione7. Esse sono fatte rientrare nelle professioni sanitarie e per esse è prevista la laurea abilitante o titolo equipollente7. In Italia, l’esercizio di queste pratiche non convenzionali è regolamentato da decreti, delibere e accordi bilaterali e la loro pratica viene definita come un atto medico di esclusiva competenza e responsabilità professionale del medico, dell’odontoiatra, del veterinario e del farmacista, ciascuno per le rispettive competenze. Chi le pratica senza questo requisito commette un atto illegale, punibile penalmente. Esse sono considerate sistemi di diagnosi, di cura e prevenzione che affiancano la medicina ufficiale. Questa posizione si fonda sul principio che qualunque intervento terapeutico debba essere preceduto da una diagnosi corretta. Casi particolarmente eclatanti di medicina alternativa alle cure mediche ufficiali sono stati, in Italia, il Siero Bonifacio, la cura Di Bella e il metodo Stamina, tutti bocciati a livello scientifico e non consentiti. Sempre nell’ambito della deontologia medica, anche il problema recente sui vaccini ha trovato dibattito non solo in Italia, ma in ambito internazionale, a causa del rifiuto da parte di alcuni settori della popolazione, perché considerati, senza alcuna prova plausibile, pericolosi.

Il malato è il vero destinatario di ogni cura medica

Le teorie scientifiche sulle quali si basa ogni decisione razionale si limitano a descrivere la realtà dei fatti e degli oggetti. Spetta all’uomo applicare la conoscenza alla soluzione dei problemi che la persona malata gli pone dinnanzi. Per attuare questo scopo, il medico traferisce conoscenze e competenze al singolo malato, facendo ricorso al metodo clinico, definibile come una procedura adeguata a risolvere problemi e prendere decisioni. Questa azione o prassi si fonda su elementi descrittivi (la conoscenza e la competenza), e su principi prescrittivi e normativi (le regole del ragionamento). Pertanto è il singolo malato il vero e unico scopo del lavoro del medico. Ogni persona umana ha una sua individualità e complessità e la comprensione di questa realtà, non essendo pienamente descrivibile e contenibile in leggi scientifiche, richiede un approccio globale, olistico, evitando ogni dicotomia tra mente e corpo. E’ per questo che al medico è lasciata, a livello istituzionale e personale, piena libertà di adottare ogni rimedio, allo scopo di restituire salute e dignità, come recita anche il Codice di Deontologia Medica della FNOMCeO (art. 15-16) (2014)8.
La prescrizione è concessa al medico sotto la sua piena responsabilità e con il totale consenso e coinvolgimento del paziente. Questa raccomandazione è ribadita con forza anche da un recente contributo dell’EASAC, un Comitato di scienziati accademici afferenti agli Stati dell’Unione Europea (2017). Il Comitato sottolinea sia la necessità di chiarezza del medico nello spiegare la prescrizione di prodotti non convenzionali sia l’importanza dell’adozione di requisiti regolatori per tutti gli stati dell’EU.

L’effetto placebo delle medicine non convenzionali

Già si è accennato al possibile effetto placebo (dal latino: io piacerò) delle medicine non convenzionali . Un placebo può essere definito come un intervento medico inerte o vano o inattivo (sia esso medico o chirurgico), che viene tuttavia somministrato come se fosse un intervento attivo. Gli aggettivi “inerte e vano” sono riferiti alla decisione del medico, che è anche colui che somministra l’intervento; la parola “attivo” è l’aggettivo specifico attribuito dal paziente all’intervento stesso. Si parla anche di “effetto placebo” per intendere le variazioni dello stato di salute del paziente, intese come esiti di malattia, o effetti clinici, funzionali o psicologici, positivi o negativi, a seguito dell’intervento sopradetto, piuttosto che riferiti a specifiche modificazioni biochimiche o anatomiche o funzionali attribuibili all’intervento attivo. In realtà l’effetto placebo sta a indicare la comparsa di alcuni effetti su chi lo usa, significando quindi che pur essendo farmacologicamente inerte, in realtà mantiene una sua attività. Quindi il placebo costituisce di per sé un’entità paradossa: è definito inerte, ma può risultare capace di qualche effetto. Come accennato, il placebo non si limita ad essere un composto materiale, ma può essere qualsiasi azione o intervento non farmacologico: un’attenzione particolare nei confronti del malato, l’uso di un linguaggio incoraggiante o rassicurante, la partecipazione ad uno stato emotivo, di disagio o di sofferenza, un consiglio di natura esistenziale, una motivazione ad uno stile di vita o a un cambio di cura, una spiegazione con l’utilizzo di materiale didattico, la proposta di partecipare ad una sperimentazione clinica, un coinvolgimento di natura religiosa. Così dicasi per l’impatto già in ambulatorio di alcuni dispositivi diagnostici, quali l’ elettrocardiografo, il manometro, il pulsossimetro, l’ ecografo. Anche un atto chirurgico finto può essere un placebo particolarmente incisivo9. Chi propone un placebo può essere consapevole di somministrare un preparato privo di attività specifica, ma può essere anche ignaro di ciò, convinto lui stesso di prescrivere un farmaco realmente dotato di attività specifica. E’ chiaro che il medico non solo deve essere informato di ciò che prescrive, ma anche informare adeguatamente il paziente, evitando ogni sotterfugio o inganno.

Diverso è il caso degli studi clinici controllati randomizzati (RCT), effettuati allo scopo di ottenere prove di efficacia nei confronti di nuovi farmaci, confrontati con farmaci considerati di efficacia inferiore, o con non farmaci. In questi casi si tratta di attività di ricerca nella quale il malato viene informato che, per sorteggio, potrebbe ricevere o il farmaco vero o un placebo, cioè un prodotto presumibilmente meno attivo rispetto al farmaco con il quale viene confrontato, ma da esso indistinguibile per forma, colore, dimensioni, somministrazione. L’informazione al paziente non sarà in questi casi solo adeguata, ma anche scritta, come definito dalla vigente normativa (consenso informato). Quanto descritto in merito al placebo è utile per comprendere il suo accostamento ai prodotti non convenzionali, in particolare ai prodotti omeopatici. Il problema va fatto risalire a quanto detto in precedenza sul malato, un essere umano dotato di corpo e di mente, cioè di organi e apparati, ma anche di emozioni, intelligenza e cultura. Il malato si aspetta dal medico non solo una diagnosi di malattia, ma anche comprensione del suo alterato equilibrio psico-fisico, fonte non solo di dolore o ridotta funzione, ma anche di perdita di autonomia, alterate relazioni con gli altri e con il mondo esterno, isolamento, emarginazione. La comprensione richiede relazione attiva da parte del medico, empatia, partecipazione, motivazione. Il paziente ha bisogno non solo di una diagnosi e di una cura, ma anche di essere compreso e riconosciuto nel suo squilibrio relazionale. Il malato ha delle aspettative e il medico è chiamato a dare risposte a queste aspettative globali, risposte che devono essere vere, comprese e accettate dal malato, fatte proprie. E’ da una visita medica effettuata nella sua completezza, che scaturisce non solo una diagnosi adeguata, ma anche la trasmissione di fiducia, di serenità e di conforto, spesso traducibili in un senso di iniziale guarigione. In questo atto medico, l’attività professionale clinica del medico si embrica con l’effetto placebo del suo agire, e le due azioni sono spesso indistinguibili, in quanto l’insieme degli effetti psicologici e fisiologici prodotti dalla relazione empatica medico-paziente si sovrappongono con gli effetti prodotti dall’eventuale trattamento farmacologico o dall’effetto placebo. Pertanto le variazioni attribuite al placebo non sono variazioni che avvengono per caso9, ma proprio come la conseguenza dell’atto medico nella sua globalità, compreso il contesto nel quale si realizza (Dobrilla, 2017). E’ per questo motivo che gli effetti clinici osservati con l’uso dei prodotti omeopatici sono stati considerati come effetto placebo (Shang, 2005)10.

Medicine e pratiche non convenzionali previste dalla normativa italiana e loro definizione

1.AGOPUNTURA: metodo diagnostico, clinico e terapeutico che si avvale dell’infissione di aghi metallici in ben determinate zone cutanee per ristabilire l’equilibrio di uno stato di salute alterato

2.FITOTERAPIA: metodo terapeutico basato sull’uso delle piante medicinali o di loro derivati ed estratti opportunamente trattati, uso che può avvenire secondo codici epistemologici appartenenti alla medicina tradizionale oppure anche all’interno di un sistema diagnostico-terapeutico sovrapponibile a quello utilizzato dalla medicina ufficiale

3.OMEOPATIA: metodo diagnostico, clinico e terapeutico, basato sulla “Legge dei Simili”, che afferma la possibilità di curare un malato somministrandogli una o più sostanze in diluizione che, assunte da una persona sana, riproducono i sintomi caratteristici del suo stato patologico, e sulla prescrizione, strettamente individualizzata sul paziente, di medicinali sperimentati secondo la metodologia omeopatica e prodotti per successive diluizioni e succussioni, “unitari” (monocomponente) o “complessi”, composti da più ceppi unitari in preparazione magistrale.

4.OMOTOSSICOLOGIA: metodo diagnostico, clinico e terapeutico, derivato dalla Medicina Omeopatica, che si avvale di una sua caratteristica base teorica e metodologica e di una sua peculiare strategia terapeutica… La Omotossicologia si avvale di una farmacologia costituita da medicinali omeopatici a bassa ed alta diluizione, sia unitari, sia complessi in formulazioni standard.

5.ANTROPOSOFIA: metodo diagnostico, clinico e terapeutico definito come “ampliamento dell’Arte Medica”, … che si avvale di un metodo conoscitivo, fondato su una propria epistemologia, che guida la ricerca delle leggi che stanno a fondamento delle manifestazioni della vita.

6.AYURVEDICA: metodo diagnostico, clinico e terapeutico che comprende i principi generali della Tradizione medica dell’India, lo studio delle costituzioni dell’uomo (Vata, Pitta e Kapha) e la peculiare farmacoterapia.

7.MEDICINA TRADIZIONALE CINESE: metodo diagnostico, clinico e terapeutico che comprende i principi generali della Medicina Tradizionale Cinese e la peculiare farmacoterapia

Definizione di Osteopatia e di Chiropratica. Le due discipline sono oggetto di un disegno di legge in corso di approvazione in Parlamento (ottobre 2017)

OSTEOPATIA: disciplina clinica, ora incorporata nel contesto della medicina, che comprende tecniche di manipolazione della colonna, per ridurre il dolore, ripristinare la funzione e promuovere uno stato di benessere generale

CHIROPRATICA: manovre terapeutiche compiute sulle vertebre, sulla colonna vertebrale e sulle articolazioni, con lo scopo di alleviare il dolore e migliorare lo stato generale di salute; primariamente impiegata per il trattamento di problemi della schiena, disturbi muscoloscheletrici e cefalea

(da: FNOMCeO; 2009, 2015, 2017)

Se le medicine non convenzionali sono considerate non far parte della scienza, questo non significa che se ne debba invocare una loro proibizione. Nella realtà dei fatti il loro utilizzo, anche in Italia, risulta assai diffuso. E questo in nome di un principio di libertà che viene riconosciuto ai malati e ai medici nella scelta di come e dove curarsi ed essere curati. Ciò che maggiormente importa è definire l’aspetto medico e professionale del problema, allo scopo di assicurare una scelta informata da parte del paziente, fornendo al paziente stesso e alla popolazione gli elementi di base per una informazione appropriata e aggiornata alle conoscenze scientifiche del momento, affinché la decisione dei consumatori sia ponderata e razionale, nella salvaguardia della loro salute, nel rispetto dei principi etici e nel maggior contenimento della spesa individuale e collettiva2. Del resto se il paziente migliora anche solo soggettivamente con un trattamento non convenzionale e se la scelta di questo trattamento non sostituisce o non ritarda una cura con farmaci convenzionali dimostratasi efficaci, né ritarda una diagnosi importante di patologie anche a rischio di vita o di disabilità, né costituisce per il paziente costi eccessivi, né crea speranze di salute immotivate, in questo caso, sussistendo queste condizioni, si può affermare l’assenza di riserve per la prescrizione di tale trattamento. Ma anche in tale evenienza, chi decide deve essere un medico preparato, che ha escluso patologie di rilievo e che conosce bene le potenzialità e i limiti del prodotto-placebo che intende usare (EASAC,2017).

Bibliografia

  1. Popper HR. Congetture e confutazioni. Società Editrice Il Mulino, Bologna 1972
  2. EASAC European Academies Science Advisory Council. Homeopathic products and practices: assessing the evidence and ensuring consistency in regulating medical claims in the EU. September 2017. http://www.easac.eu/
  3. Briggs JP, Strauss SE. Medicina complementare, alternativa e integrativa. In: Harrison, Principi di Medicina Interna, 18° Ed., Casa Editrice Ambrosiana,e2,2012
  4. FNOMCeO Linee guida per la formazione nelle medicine e pratiche non convenzionali riservate ai medici chirurghi e odontoiatri della FNOMCeO. Consiglio Nazionale FNOMCeO, 12.12.2009 https://portale.fnomceo.it/
  5. FONOMCeO Nuova Normativa per La Formazione nelle Medicine e Pratiche Non Convenzionali; 11/2015; https://www.ordinemedici.al.it/index.php/
  6. Accordo Stato Regioni su formazione ed esercizio dell’agopuntura, della fitoterapia e dell’ omeopatia. http://www.statoregioni.it/Documenti/DOC_039731_46 csr punto 8.pdf
  7. Disegno di legge Lorenzin al voto del Parlamento (25.10.2017) http://www.quotidianosanita.it/allegati/allegato1706853.pdf
  8. Codice di Deontologia Medica. https://portale.fnomceo.it/fnomceo/
  9. Dobrilla G. Cinquemila anni di effetto placebo, Ed EDRA S.p.A. Milano, 2017
  10. Shang A, Muntener KH, Juni P, et al. Are the clinical effects of homeopathy placebo effects? Comparative study of placebo-controlled trials of homeopathy and allopathy. Lancet 2005; 366: 726-732

Le terapie non convenzionali in Italia

Intervista a M. Giovanna Vicarelli
Dipartimento di Scienze Economiche e Sociali, Università Politecnica delle Marche

Periodicamente, in Italia, si accende il dibattito politico e sociale sull’uso delle Terapie non Convenzionali (TnC). E’ possibile quantificare il ricorso a tali terapie da parte della popolazione?

L’entità del fenomeno viene valutata dall’Istat da quasi venticinque anni ed i dati possono essere sorprendenti. Nel 2013 (data dell’ultima rilevazione) sono 4 milioni e 900 mila (8,1% della popolazione) le persone che hanno dichiarato di aver utilizzato metodi di cura non convenzionali nei tre anni precedenti l’intervista. L’omeopatia è la più diffusa ed è utilizzata dal 4,1% della popolazione residente; seguono i trattamenti manuali cui ricorre il 3,5% delle persone, la fitoterapia (1,9%), l’agopuntura (1,0%), altra terapia (0,2%). Ciò che va sottolineato è che il ricorso alle TnC sembra essere in netta diminuzione. L’Istat stima che il numero di persone che hanno fatto ricorso almeno una volta negli ultimi 3 anni a TnC si sia ridotto di circa 3 milioni dal 2005 al 2013. Nello stesso periodo il ricorso alle TnC si dimezza nella fascia di età 25-54 anni e diminuisce anche tra i bambini (passando da 9,6% nel 2005 al 6,5% nel 2013) (Istat, 2014)1.

E’ possibile individuare il profilo socioeconomico degli utilizzatori di tali terapie e per quali patologie vengono utilizzate?

Secondo l’indagine Istat del 2013 (ma ciò vale anche per tutte le indagini precedenti) gli utilizzatori delle TnC presentano caratteristiche ben definite sia in termini demografici, che territoriali e di classe sociale (Istat, 2014)1. In primo luogo, i rimedi non convenzionali vengono preferiti molto più dalle donne (9,3%) che dagli uomini (6,3%). Tale divergenza è particolarmente evidente nei riguardi dell’Omeopatia (5% donne; 3% uomini).

Una seconda diversità è relativa al territorio di appartenenza. I rimedi omeopatici sono molto più diffusi nel Nord-est (7,1%), mentre nelle regioni del Mezzogiorno la quota di persone è circa la metà della media nazionale. Un terzo fattore è relativo all’istruzione e all’appartenenza sociale. Per quanto riguarda il grado di istruzione, i dati dimostrano che, nel 2013, il 24,8% di persone in possesso di una Laurea o di un Diploma afferma di aver utilizzato TnC, contro l’11,7% di chi ha conseguito la Licenza media ed elementare. Per quel che concerne, invece, lo status sociale, i rimedi non convenzionali sono scelti soprattutto da chi appartiene alla classe borghese (22,2%) e alla classe media (18,2). A fronte del 15,7% dei Dirigenti-imprenditori-liberi professionisti e il 14% degli impiegati, sono solo il 6,6% degli operai e il 6,3% delle persone con risorse economiche insufficienti che vi fanno ricorso (Istat 2014)1. Rispetto alle patologie per cui si utilizzano le TnC, alcune ricerche dei nostri stessi colleghi della facoltà di medicina permettono di dire che si tratta quasi sempre di problematiche di tipo cronico-degenerativo e a forte componente psicosomatica (Barbadoro P., et al 2011)2.

Resta l’interrogativo più importante, quello del perché si sceglie di ricorrere a tali terapie.

Effettivamente è l’interrogativo più complesso su cui manca una vera base di ricerca, anche perché ci si sposta dal piano descrittivo a quello della causazione di un fenomeno sociale molto peculiare. Come faceva rilevare un mio collega qualche anno fa (Giarelli G., 20053) si possono individuare fattori di spinta (che tendono ad allontanare dalla medicina convenzionale) e fattori di attrazione. Sul primo versante si può porre l’ambivalenza delle tecnologie biomediche: esse sono fonte di nuove speranze per la salute, ma al tempo stesso fonte di preoccupazione per i rischi iatrogeni che possono implicare. Non è un caso che siano i ceti medi più istruiti a muoversi su questa lunghezza d’onda. Sul secondo versante, vanno posti alcuni trend sociali: l’enfasi sul self-care e sulla fitness, il movimento per una medicina olistica, l’attivazione del paziente-consumatore, la disaffezione e la sfiducia nei confronti della medicina convenzionale. Da questo punto di vista, è spiegabile la maggiore attrazione verso le TnC dimostrata dalle donne e dalla popolazione residente nelle aree più ricche del paese. Più in generale, la letteratura, soprattutto anglosassone (si veda Giarelli G., 20053), tende a sottolineare il carattere complementare e non alternativo di tali terapie e l’esistenza di un atteggiamento culturale pragmatico che farebbe sperimentare, di fronte all’evento malattia, scelte multiple, considerate, volta a volta, idonee. L’entità e le caratteristiche del fenomeno farebbero, comunque, escludere considerazioni apocalittiche come quelle di un “declino cognitivo dell’occidente” e rendere, invece, necessarie ricerche scientifiche mirate sul caso italiano.

Bibliografia

  1. Istat, Tutela della salute e accesso alle cure. Anno 2013, Istat, Roma, 2014
  2. Barbadoro P., et al Complementary and Alternative Medicine (CAM) among adults in Italy: Use and related satisfaction. European Journal of Integrative Medicine 3, e325–e332 2011
  3. Giarelli G., Medicine non convenzionali e pluralismo sanitario, Franco Angeli, Milano, 2005

Pseudoscienza, come riconoscerla


Guido Silvestri
Department of Pathology and Laboratory Medicine,
Emory University School of Medicine, Atlanta USA

La Scienza è senza dubbio una delle attività più entusiasmanti e produttive dell’umanità. In particolare, la ricerca scientifica in campo biomedico da un lato permette di aumentare la nostra conoscenza teorica dei fenomeni della vita, dall’altro ci aiuta ad allungare la nostra esistenza ed a migliorarne la qualità. Basti pensare al fatto che vaccini, antibiotici e la disponibilità di acqua e cibi puliti hanno ridotto, nel giro di un secolo, la mortalità infantile dal 30% a <0.1%. In questo senso la Scienza è uno strumento fondamentale per difendere i diritti dei più deboli, come poveri, malati, anziani, disabili e così via. Eppure, nonostante la sua indiscutibile utilità, la Scienza non è esente da attacchi. Tra questi attacchi c’è quello portato dalla cosiddetta “pseudoscienza”.

E qui le domande da porsi sono queste: “che cosa è la pseudoscienza?” e “come la si riconosce?” Durante una chiacchierata tra amici scienziati, una risposta semiseria che emerse fu che la pseudoscienza sia un po’ come la pornografia. Che, notoriamente, non è facile a definirsi, ma quando la si vede la si riconosce piuttosto rapidamente. Una definizione di “pseudo-scienza” potrebbe essere la seguente: un’attività teorica o pratica che vuole apparire scientifica, ma che tuttavia non mostra i criteri tipici della scientificità, soprattutto a livello metodologico. Il filosofo e matematico americano Martin Gardner propose di definire la pseudoscienza come “una teoria interpretativa della natura che, partendo da osservazioni empiriche per lo più fortemente soggettive, tramite procedimenti solo apparentemente logici, giunge a una arbitraria sintesi, in stridente contrasto con idee comunemente condivise”. E qui è importante notare che le pseudoscienze sono definite tali non in base al soggetto di cui si occupano, ma a causa di specifici problemi metodologici. Tra le caratteristiche tipiche della pseudoscienza ci sono la presenza di affermazioni vaghe ed imprecise o impossibili da confutare (la cosiddetta non-falsificabilità); il richiamo al cosiddetto principio di autorità che spesso si fa prevalere sul risultato dell’esperimento; la tendenza a modificare continuamente il senso delle proprie asserzioni allo scopo di evitare ogni critica; la mancanza di appropriati controlli positivi e negativi durante la fase di sperimentazione; la eccessiva importanza attribuita ad esperienze personale o aneddoti anziché a trials clinici randomizzati e a doppio-cieco; la pubblicazione dei “dati” su riviste in cui non si deve passare al vaglio

della peer-review (ad esempio le cosiddette riviste predatorie a pagamento); la mancanza di progresso ed evoluzione nel tempo (tipico il caso della omeopatia, disciplina che e’ rimasta fondamentalmente la stessa da 200 anni a questa parte). Poiché le pseudoscienze sono combattute (o, nella migliore delle ipotesi, ignorate) dagli scienziati, è tipico, da parte di chi pratica la pseudoscienza, l’accusa di ostracismo da parte della comunità scientifica ufficiale – ostracismo che si attribuisce a ristrettezza di vedute o a conflitti di interesse di tipo economico.

Claude Bernard (1813-1878), padre della Medicina scientifica – Académie nationale de médecine, Parigi

Due esempi tipici di pseudoscienza su cui vale la pena spendere alcune parole sono il negazionismo dell’AIDS e l’anti-vaccinismo. Il negazionismo dell’AIDS è una teoria secondo la quale lo Human Immunodeficiency Virus (HIV) non esiste, e che se anche esistesse non sarebbe comunque la causa l’AIDS, e che invece sono i farmaci antivirali a causare la malattia. E’ importante ricordare che negli anni ‘90 i negazionisti dell’AIDS convinsero il presidente Sudafricano Thabo Mbeki a ritardare la implementazione delle terapie anti-HIV, così causando la morte di 350,000 persone. In questo senso il negazionismo dell’AIDS va considerate non solo una assoluta aberrazione dal punto di vista scientifico, ma anche una ideologia ad alta pericolosità sociale. Lo stesso si può dire dell’antivaccinismo, che è una teoria – o meglio, una galassia di teorie – secondo le quali i vaccini comunemente usati per proteggere I bambini da un numero di malattie infettive (tetano, poliomielite, morbillo, etc) sono inutile e/o tossici e/o in grado di causare effetti collaterali gravi come lo sviluppo di autismo o di gravi malattie autoimmune. E’ facile immaginare come queste teorie possano causare una riduzione della copertura vaccinale in una certa popolazione, così riducendo la protezione, attraverso il cosiddetto “effetto gregge”, per coloro che non possono essere vaccinati per motivi medici (ad esempio perché portatori di immunodeficienze).

Ed è proprio a causa di questa potenziale pericolosità delle teorie pseudo-scientifiche che Scienza e Medicina ufficiali hanno il dovere morale di fare una costante e capillare opera di debunking. In questo senso sarebbe anche importante che le principali forze politiche italiane sottoscrivano un patto trasversale per proteggere e sostenere la Scienza e limitare l’operato delle pseudoscienze. Al contempo, rimane indiscutibile l’importanza di promuovere programmi capillari di formazione e informazione sulla Scienza a livello scolastico, sociale e professionale.

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