Inquinamento atmosferico: il killer silenzioso

Aurora Luciani1, Elena Bianchi1, Luca Formenti1, Pamela Barbadoro2

  1. Scuola di Specializzazione in Igiene e Medicina Preventiva
  2. Dipartimento di Scienze Biomediche e Sanità Pubblica, Sezione Igiene
    Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università Politecnica delle Marche

Respirare aria pulita è considerato un requisito fondamentale per la salute ed il benessere degli esseri viventi. L’OMS ha stabilito che circa il 92% della popolazione globale non sia attualmente esposto ad aria sicura e che l’inquinamento atmosferico rappresenti una delle principali cause di morte nel mondo, con stime che attribuiscono oltre 6 milioni di morti premature all’esposizione a questo fattore di rischio nel 2012; impressionante ancora di più se consideriamo che tale cifra era pari a 2 milioni nel 2005. Di questo problema e delle sue possibili soluzioni, si parlerà dal 30 ottobre al 1° novembre 2018 nella prima “WHO Global Conference on air pollution and health” presso il WHO Headquarters a Ginevra, che riunirà in un’unica sede i diversi Governi e partners dell’OMS, in uno sforzo collettivo di miglioramento della qualità dell’aria e lotta ai cambiamenti climatici.

“… non appena mi allontanavo dall’aria pesante di Roma e dal fetore dei suoi camini
che riversano sulla città pestilenziali vapori e fuliggine,
percepivo una sensazione di benessere…”

Seneca, 61 a.C.

Introduzione

Sebbene il ruolo patogenetico dell’inquinamento atmosferico sia giunto all’attenzione dei mass media solo negli ultimi anni, il fenomeno ha una storia che nasce e viaggia di pari passo con il processo di urbanizzazione ed industrializzazione.

Era la mattina del 5 dicembre 1952 quando i londinesi si svegliarono in una città avvolta nella tradizionale e pittoresca nebbia della capitale. Ci vollero alcuni giorni per capire le proporzioni eccezionali dell’evento: si trattava, difatti, di quello che poi venne ricordato come il “Grande Smog”.
La nebbia tossica, che colpì la città di Londra, uccise in cinque giorni 12 mila persone e determinò problemi alle vie respiratorie e l’ospedalizzazione di oltre 150 mila abitanti.
Il fenomeno causò un risveglio nelle coscienze dei londinesi, che prima del 1952, consideravano lo smog come il prezzo naturale da pagare in cambio dei posti di lavoro legati all’industria, degli elettrodomestici e del comfort nelle case, ottenuto grazie al riscaldamento con carbone.

L’OMS riconosce che l’inquinamento atmosferico è un fattore di rischio critico per le malattie non trasmissibili, causando circa un quarto (24%) di tutti i decessi causati da malattie cardiache ed il 25% di quelli causati da ictus nella popolazione adulta.
È, inoltre, stato indicato come fattore causale nel 43% dei decessi per broncopneumopatia cronico-ostruttiva e nel 29% delle morti da cancro polmonare (OMS, 2018: http://www.who.int/news-room/detail/02-05-2018-9-out-of-10-peopleworldwide-breathe-pollutedair-but-more-countries-aretaking-action).
Nel 2016, si stima che i morti attribuibili all’esposizione ad il solo inquinamento atmosferico ambientale esterno siano stati 4,2 milioni. Nello stesso periodo si stima che i decessi causati dagli inquinanti indoor siano stati 3,8 milioni. Più del 90% dei decessi correlabili ad inquinamento atmosferico avvengono nei paesi a basso e medio reddito, principalmente di Asia e Africa e dei Paesi del bacino mediterraneo dell’Europa dell’Est, dell’Europa e dell’America. Si ritiene, inoltre, che, in realtà, il numero preciso di morti e disabilità dovuto alle patologie correlate ad inquinamento atmosferico, non sia attualmente quantificato nelle stime.
I rischi per la salute associati a PM10 e PM2,5 sono particolarmente ben documentati.
Il particolato è in grado di penetrare nelle vie respiratorie e nel circolo sanguigno e l’esposizione è stata associata a diverse complicanze per la salute dalla irritazione oculare, a patologie della pelle, cardiovascolari, cerebrovascolari, metaboliche, neurodegenerative, a complicanze della gravidanza e patologie respiratorie, tanto che nel 2013 l’Agenzia di Ricerca per il Cancro (IARC) lo ha definito come cancerogeno certo, in particolare per il cancro al polmone. L’OMS ha dichiarato che nel solo Vecchio Continente, l’esposizione a particolato (PM) ha ridotto l’aspettativa di vita di ogni persona di circa un anno, principalmente a causa dell’aumentato rischio di malattie dell’apparato cardiovascolare e respiratorio e di tumore al polmone.

Inoltre, l’inquinamento da ozono è associato a circa 21.000 morti premature l’anno in Europa (Fig. 1).

I trasporti e il riscaldamento domestico sono responsabili della emissione di inquinanti di interesse tossicologico che destano molta preoccupazione in termini di impatto sanitario a causa dell’elevato numero di persone esposte, in ambito urbano ed extraurbano. Inoltre, le emissioni di tipo industriale contribuiscono a peggiorare ulteriormente la qualità dell’aria, prevalentemente nelle aree periferiche (Fig. 2).

Accanto a quello outdoor, sono ormai noti gli effetti negativi dell’inquinamento indoor (Fig. 3); primo fra tutti quelli del fumo passivo sulla salute umana, a ci si associa una moltitudine di sostanze tossiche presenti nell’ambiente domestico. Circa 3,8 milioni di persone, ad esempio, muoiono prematuramente ogni anno a seguito della esposizione ad inquinanti prodotti in cucina, principalmente a seguito dell’utilizzo di cherosene e carburanti solidi, come stufe a legna, caminetti non isolati e lampade. Accanto alla presenza di sostanze chimiche, non va trascurato il ruolo dell’inquinamento indoor causato da agenti biologici e correlato ad umidità e muffa, associato ad un aumento del rischio di malattie respiratorie del 50% in bambini ed adulti.
Il richiamo al pericolo legato all’uso di combustibili fossili in ambiente domestico, ci riporta ad allargare il nostro sguardo; anche se tutte le popolazioni sono colpite dagli effetti dell’inquinamento, il carico in termini di malattia attribuibile non è uniformemente distribuito a livello globale. Infatti, se nei Paesi ad alto reddito, l’OMS stima come circa il 40% della popolazione sia esposta a livelli medi annui di PM10 e PM2,5 conformi ai livelli della direttiva sulla qualità dell’aria, questa cifra scende a meno del 20% nei paesi a basso e medio reddito.

La maggior parte degli effetti dell’esposizione al rischio è, quindi, a carico di paesi in via di sviluppo e delle popolazioni più povere e ai margini. Si riscontrano, infatti, 84 morti/100.000 abitanti nei paesi in via di sviluppo, incidenza doppia rispetto a quanto registrato nei paesi maggiormente sviluppati.

Che cosa succede in Italia?
Dati recenti relativi all’Italia, prodotti nell’ambito del progetto CCM VIIAS (Valutazione Integrata dell’Impatto dell’inquinamento atmosferico sull’ Ambiente e la Salute), finanziato dal Centro Controllo Malattie(CCM) del Ministero della Salute del Ministero della Salute e coordinato dal Dipartimento di Epidemiologia del Servizio Sanitario Regionale del Lazio, hanno consentito di stimare come nel 2005 siano stati 34.552 i decessi attribuibili ad esposizione a PM2,5 e 23.387 decessi per esposizione a biossido di azoto. Sono, inoltre, attribuibili all’esposizione ad ozono 1.707 decessi per patologie a carico dell’apparato respiratorio. Anche all’interno del territorio italiano sono emerse considerevoli disuguaglianze nella distribuzione degli effetti sulla salute.
A causa dell’esposizione a PM2.5 ogni persona residente in Italia perde 9.7 mesi di vita (14 mesi al Nord, 6.6 al Centro e 5.7 al Sud e isole). Nei residenti nei centri urbani questa perdita è pari a 1 anno e 5 mesi.

Prevenzione e salute in tutte le politiche: la prospettiva OMS.
A questo enorme impatto in termini di salute globale, sta corrispondendo una presa di coscienza ed un impulso all’azione da parte dei principali Governi ed Istituzioni del mondo.

Nel maggio 2015 l’Assemblea Mondiale della Sanità (World Health Assembly), corpo decisionale dell’OMS, ha adottato la risoluzione WHA68.8 sulla salute e l’ambiente.
In essa, è stato definito l’impatto dell’inquinamento atmosferico sulla salute e sottolineata l’urgenza di raddoppiare gli sforzi da parte degli Stati Membri e dell’OMS per proteggere la popolazione dai rischi dovuti ad inquinamento e per eliminare, o ridurre al minimo, quei contaminanti riconosciuti come agenti dannosi, probabili o certi, per la salute umana. Nella risoluzione è stato riconosciuto per la prima volta il ruolo delle Linee Guida sulla Qualità dell’Aria dell’OMS (Air Quality Guidelines – AQGs) nel fornire raccomandazioni per mantenere l’aria pulita, al fine di proteggere la salute umana.
Nello specifico, sono sette i livelli su cui i governi possono agire per limitare l’inquinamento atmosferico: città, trasporti, abitazioni, smaltimento dei rifiuti, industria, agricoltura e scelta delle fonti energetiche. In generale, l’OMS sottolinea che la riduzione dell’emissione di inquinanti atmosferici dannosi per la salute risulta essere il modo più efficace per migliorare la qualità dell’aria e proteggere la popolazione dagli effetti nocivi che ne derivano, in associazione a politiche energetiche sostenibili.

È necessaria, quindi, una nuova ed integrata pianificazione a livello nazionale e regionale, che ponga la salute al centro di tutte le politiche, secondo le indicazioni dell’OMS.

Autorevoli stime ed evidenze empiriche mostrano come la diminuzione della concentrazione media annuale degli inquinanti, avrebbe ricadute positive sulla salute pubblica e sull’economia. Interessanti e positivi sono, ad esempio, alcuni dati della letteratura circa gli effetti sulla limitazione degli inquinanti, in seguito a interventi volti a ridurre i livelli di inquinamento atmosferico.
Nel 1990, a Dublino fu proibito l’uso del carbone come combustibile per il riscaldamento domestico: ne conseguì una riduzione immediata del particolato carbonioso (Black Smoke) da 50µg/m3 a 15µg/m3. Si registrò, inoltre, una diminuzione della mortalità (in 6 anni) del 5,7%, in particolare del 15,5 % per cause respiratorie e del 10,3% per cause cardiovascolari (Clancy, 2002). Nello stesso anno, a Hong Kong, in seguito alla decisione di impiegare carburanti con meno dello 0,5% di ossidi di zolfo (SOx), si ebbe una diminuzione dei SO2 da 44 µg/m3 a 21 µg/m3 e un calo della mortalità (entro l’anno) del 2,1%, nello specifico del 3,9% da cause respiratorie e del 2,1% da cause cardiovascolari (Hedley, 2002; Wong, 2012). Scenari simili sono stati ipotizzati per la città di Londra (Kelly, 2011) e rappresentano area di ricerca attuale (Henneman, 2017; Boogaard, 2017). Lo scenario dipinto sempre da stime dello studio VIIAS relativamente al 2020, mostra come il mantenimento della attuale normativa porterebbe, nel nostro Paese, ad un risparmio di circa 6.000 decessi rispetto al 2005, ma un guadagno sanitario più importante si potrebbe ottenere con una riduzione del 20% delle concentrazioni che farebbe risparmiare addirittura altri 10.000 decessi.
Ad incoraggiarci lungo questo cammino il dato secondo cui se è vero che i livelli di inquinamento atmosferico sono aumentati dell’8% globalmente tra il 2008 e il 2013, in un terzo delle città in cui si è eseguito un monitoraggio routinario, gli stessi sono diminuiti del 5%; il cambiamento è, quindi, possibile ed attuabile.

Bibliografia e sitografia

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