Le terapie non convenzionali in Italia

Intervista a M. Giovanna Vicarelli
Dipartimento di Scienze Economiche e Sociali, Università Politecnica delle Marche

Periodicamente, in Italia, si accende il dibattito politico e sociale sull’uso delle Terapie non Convenzionali (TnC). E’ possibile quantificare il ricorso a tali terapie da parte della popolazione?

L’entità del fenomeno viene valutata dall’Istat da quasi venticinque anni ed i dati possono essere sorprendenti. Nel 2013 (data dell’ultima rilevazione) sono 4 milioni e 900 mila (8,1% della popolazione) le persone che hanno dichiarato di aver utilizzato metodi di cura non convenzionali nei tre anni precedenti l’intervista. L’omeopatia è la più diffusa ed è utilizzata dal 4,1% della popolazione residente; seguono i trattamenti manuali cui ricorre il 3,5% delle persone, la fitoterapia (1,9%), l’agopuntura (1,0%), altra terapia (0,2%). Ciò che va sottolineato è che il ricorso alle TnC sembra essere in netta diminuzione. L’Istat stima che il numero di persone che hanno fatto ricorso almeno una volta negli ultimi 3 anni a TnC si sia ridotto di circa 3 milioni dal 2005 al 2013. Nello stesso periodo il ricorso alle TnC si dimezza nella fascia di età 25-54 anni e diminuisce anche tra i bambini (passando da 9,6% nel 2005 al 6,5% nel 2013) (Istat, 2014).

E’ possibile individuare il profilo socioeconomico degli utilizzatori di tali terapie e per quali patologie vengono utilizzate?

Secondo l’indagine Istat del 2013 (ma ciò vale anche per tutte le indagini precedenti) gli utilizzatori delle TnC presentano caratteristiche ben definite sia in termini demografici, che territoriali e di classe sociale (Istat, 2014). In primo luogo, i rimedi non convenzionali vengono preferiti molto più dalle donne (9,3%) che dagli uomini (6,3%). Tale divergenza è particolarmente evidente nei riguardi dell’Omeopatia (5% donne; 3% uomini).

Una seconda diversità è relativa al territorio di appartenenza. I rimedi omeopatici sono molto più diffusi nel Nord-est (7,1%), mentre nelle regioni del Mezzogiorno la quota di persone è circa la metà della media nazionale. Un terzo fattore è relativo all’istruzione e all’appartenenza sociale. Per quanto riguarda il grado di istruzione, i dati dimostrano che, nel 2013, il 24,8% di persone in possesso di una Laurea o di un Diploma afferma di aver utilizzato TnC, contro l’11,7% di chi ha conseguito la Licenza media ed elementare. Per quel che concerne, invece, lo status sociale, i rimedi non convenzionali sono scelti soprattutto da chi appartiene alla classe borghese (22,2%) e alla classe media (18,2). A fronte del 15,7% dei Dirigenti-imprenditori-liberi professionisti e il 14% degli impiegati, sono solo il 6,6% degli operai e il 6,3% delle persone con risorse economiche insufficienti che vi fanno ricorso (Istat 2014). Rispetto alle patologie per cui si utilizzano le TnC, alcune ricerche dei nostri stessi colleghi della facoltà di medicina permettono di dire che si tratta quasi sempre di problematiche di tipo cronico-degenerativo e a forte componente psicosomatica (Barbadoro P., et al 2011).

Resta l’interrogativo più importante, quello del perché si sceglie di ricorrere a tali terapie.

Effettivamente è l’interrogativo più complesso su cui manca una vera base di ricerca, anche perché ci si sposta dal piano descrittivo a quello della causazione di un fenomeno sociale molto peculiare. Come faceva rilevare un mio collega qualche anno fa (Giarelli G., 2005) si possono individuare fattori di spinta (che tendono ad allontanare dalla medicina convenzionale) e fattori di attrazione. Sul primo versante si può porre l’ambivalenza delle tecnologie biomediche: esse sono fonte di nuove speranze per la salute, ma al tempo stesso fonte di preoccupazione per i rischi iatrogeni che possono implicare. Non è un caso che siano i ceti medi più istruiti a muoversi su questa lunghezza d’onda. Sul secondo versante, vanno posti alcuni trend sociali: l’enfasi sul self-care e sulla fitness, il movimento per una medicina olistica, l’attivazione del paziente-consumatore, la disaffezione e la sfiducia nei confronti della medicina convenzionale. Da questo punto di vista, è spiegabile la maggiore attrazione verso le TnC dimostrata dalle donne e dalla popolazione residente nelle aree più ricche del paese. Più in generale, la letteratura, soprattutto anglosassone (si veda Giarelli G., 2005), tende a sottolineare il carattere complementare e non alternativo di tali terapie e l’esistenza di un atteggiamento culturale pragmatico che farebbe sperimentare, di fronte all’evento malattia, scelte multiple, considerate, volta a volta, idonee. L’entità e le caratteristiche del fenomeno farebbero, comunque, escludere considerazioni apocalittiche come quelle di un “declino cognitivo dell’occidente” e rendere, invece, necessarie ricerche scientifiche mirate sul caso italiano.

Barbadoro P., et al Complementary and Alternative Medicine (CAM) among adults in Italy: Use and related satisfaction. European Journal of Integrative Medicine 3, e325–e332 2011.
Giarelli G., Medicine non convenzionali e pluralismo sanitario, Franco Angeli, Milano, 2005.
Istat, Tutela della salute e accesso alle cure. Anno 2013, Istat, Roma, 2014.

 

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