La valigetta del medico

La diagnosi in Pneumologia
Stefano Gasparini, Martina Bonifazi
Dipartimento di Scienze Biologiche e Sanità Pubblica
Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università Politecnica delle Marche
SOD di Pneumologia, AOU “Ospedali Riuniti”, Ancona
Claudia Duranti, Francesca Gonnelli, Martina Grilli, Maria Agnese Latini, Marco Umberto Scaramozzino, Giacomo Spurio Vennarucci
Medici in Formazione
Scuola di Specializzazione in Malattie dell’Apparato Respiratorio
Università Politecnica delle Marche

Spirometria ed ecografia toracica sono indagini non invasive, di semplice esecuzione ed estremamente informative nel percorso diagnostico del paziente con patologia respiratoria. Grazie ai progressi in ambito tecnologico, sono disponibili ad oggi anche in versione portatile, ed è, quindi, importante che essi siano parte integrante della valigetta del medico, come anche il bagaglio culturale necessario per una corretta interpretazione dei risultati ottenuti.

Spirometria semplice e globale e metodi di valutazione

La misura dei volumi polmonari e dei flussi respiratori è divenuta un’indagine di routine nella valutazione del paziente respiratorio. Basti pensare che solo nell’ultimo anno il nostro Servizio di Fisiopatologia Respiratoria ha effettuato ben 5000 spirometrie. La spirometria è un’ indagine non invasiva, poco costosa, di semplice esecuzione ed estremamente informativa. Essa consente di formulare diagnosi di patologie come broncopneumopatia cronica ostruttiva ed asma bronchiale, ovviamente nel giusto contesto clinico, senza ricorrere ad esami aggiuntivi. Viene da sé come sia indispensabile che nella valigetta del medico sia contenuto il bagaglio culturale sufficiente e necessario per una corretta interpretazione di tale esame. Inoltre, ad oggi sono disponibili spirometri portatili non costosi, di facile utilizzo, e di dimensioni tali da poter essere trasportati agevolmente nella borsa del medico. Gli spirometri portatili sono dotati di un flussometro a turbina connesso con uno pneumotacografo e consentono l’esecuzione di una spirometria semplice con emissione di referti dettagliati comprensivi di curva flusso/volume, grazie alla veloce stampante integrata. Così, per esempio, il medico chiamato a visitare un paziente dispnoico con esame obiettivo caratterizzato da un reperto broncostruttivo, in presenza di un deficit ventilatorio ostruttivo è in grado identificare una riacutizzazione di una BPCO già nota o formulare una nuova diagnosi di malattia o ancora, nel caso di pazienti allettati, i quali per problemi logistici potrebbero non sottoporsi alle visite di controllo consigliate, è possibile monitorare l’andamento della malattia e la risposta alle terapie direttamente a domicilio, riducendo il rischio di riacutizzazioni.

Le principali indicazioni all’esecuzione della spirometria sono formulare la diagnosi in relazione a sintomi e segni obiettivi compatibili, valutare longitudinalmente l’andamento della malattia e la risposta alla terapia, stimare il rischio preoperatorio, valutare il grado di invalidità a fini assicurativi.

Innanzitutto, però bisogna chiarire che la spirometria semplice misura solo i volumi polmonari mobilizzabili. Per lo studio completo dei volumi polmonari è necessario eseguire una spirometria globale, effettuabile solo con spirometri più sofisticati e non trasportabili. L’esame può essere, inoltre, approfondito con lo studio della diffusione del monossido di carbonio, laddove indicato.

Nel dettaglio, la spirometria semplice consente di misurare i volumi polmonari dinamici attraverso una manovra di espirazione forzata. Dopo aver fatto compiere al paziente un’inspirazione massimale, si fa espirare con la massima forza il maggior volume di aria possibile, misurando così il volume espiratorio massimo nel primo secondo (FEV1), la capacità vitale forzata (FVC) ovvero il volume totale che il paziente riesce a esalare in una espirazione massimale completa, il rapporto FEV1/FVC%. E’ possibile rappresentare la manovra di espirazione forzata con una curva flusso/volume: per ogni momento si riportano il flusso istantaneo ed il volume corrispondente. La spirometria semplice permette di rilevare con certezza un’insufficienza ventilatoria di tipo ostruttivo (più frequentemente asma, broncopenumopatia cronica ostruttiva), ma solo di sospettare un’insufficienza ventilatoria di tipo restrittivo (Figura 1), per la diagnosi della quale è necessaria la misura di tutti i volumi polmonari, incluso il volume residuo.

Si parla di insufficienza ventilatoria di tipo ostruttivo quando il rapporto FEV1/FVC sia diminuito oltre il limite inferiore di confidenza stabilito al 70%: il grado di severità del deficit ostruttivo avviene sulla base del FEV1 in termini di diminuzione percentuale rispetto al valore teorico. Ma i numeri non bastano. L’interpretazione della morfologia della curva flusso/volume è fondamentale per un corretto orientamento diagnostico. Una spirometria correttamente eseguita dovrebbe comprendere l’esecuzione delle curve inspiratorie, che, se caratterizzate da un andamento a plateau, permettono di ipotizzare ostruzione delle alte vie aeree (es. stenosi tracheali cicatriziali, neoplasie tracheali). Se questa morfologia della curva flusso-volume si associa al classico segno del cornage inspiratorio (rumore stridente durante l’inspirazione), la diagnosi di stenosi delle alte vie aeree è pressoché certa (non è evento eccezionale trovare pazienti con queste caratteristiche curati per anni erroneamente per asma). Nella figura 2 sono riportati alcuni esempi meritevoli di segnalazione. La morfologia della curva flusso/volume è inoltre un eccellente ausilio per verificare il grado di collaborazione del paziente, per una prima valutazione sull’accettabilità del test stesso, nonché l’immediata identificazione di errori di esecuzione o artefatti, come quelli riportati nella figura 3. Un altro indicatore del grado di collaborazione del paziente è il picco di flusso espiratorio (PEF) ovvero la massima velocità di flusso espiratoria raggiunta durante un’espirazione forzata. Esistono in commercio misuratori di PEF di poco costo e di semplice utilizzo costituiti da un boccaglio e da un tubo graduato con un indicatore che si sposta durante l’espirazione, molto utile, tra l’altro, per seguire l’andamento della malattia nel tempo con valutazione giornaliera.

Dopo avere eseguito un esame spirometrico è spesso indispensabile definire il grado di reversibilità dell’eventuale ostruzione presentata dal paziente. La misura della reversibilità, infatti, è di importanza fondamentale, tra l’altro, per la diagnosi differenziale tra asma, reversibile per definizione, e broncopneumopatia cronica ostruttiva, in cui l’ostruzione è spesso irreversibile o solo parzialmente reversibile. Vanno, inoltre, citati quei casi in cui in un soggetto con una storia personale fortemente suggestiva di asma (no abitudine tabagica, dispnea da sforzo, tosse persistente dopo un episodio infettivo, storia di allergia) e una spirometria al basale apparentemente normale, si ottiene invece un’insospettata reversibilità. Questo risulta molto comune per esempio negli atleti, che presentano dei valori teorici di riferimento molto più alti rispetto a quelli stabiliti per individui della stessa età. Tale presupposto suggerisce di procedere al test di broncodilatazione in tutti i casi in cui l’anamnesi personale del paziente suggerisce la possibilità di un’ostruzione reversibile, anche in presenza di un quadro di base apparentemente nei limiti della norma. Il test di di reversibilità della broncocostrizione può essere agevolmente effettuata da qualsiasi medico che abbia nella sua valigetta un broncodilatatore ad azione rapida (salbutamolo), somministrando al soggetto 400mcg di farmaco e ripetendo la manovra di espirazione forzata dopo circa quindici minuti. Un incremento del 12% del FEV1 rispetto al valore basale che corrisponda ad almeno 200mL è da considerarsi significativo, consentendo di fare diagnosi di asma bronchiale. Perché il test sia attendibile è importante che almeno dodici ore prima dell’esame il paziente non abbia assunto farmaci broncodilatatori.

Come precedentemente già accennato, la misurazione dei soli volumi mobilizzabili, seppur estremamente utile per una valutazione immediata del paziente, non sempre è sufficiente per una diagnosi specifica e accurata, per la quale il medico potrebbe aver bisogno di approfondimenti quali la spirometria globale o la misura della diffusione del monossido di carbonio, eseguibili solo presso un centro di fisiopatologia respiratoria con macchinari più sofisticati dello spirometro portatile e del misuratore del picco di flusso.

Ad esempio, se la spirometria semplice risulta nei limiti di norma ma il paziente riferisce tosse persistente e dispnea da sforzo, anche in assenza di un reperto obiettivo significativo, il medico è tenuto ad approfondire lo studio della funzione respiratoria con una spirometria globale, che potrebbe svelare un difetto di tipo restrittivo, compatibile per esempio con una pneumopatia infiltrativa.

La spirometria globale consente di misurare il volume di aria che rimane nel polmone alla fine di un’espirazione massimale, che in nessun modo può essere misurato direttamente. Tale volume, volume residuo (VR), deve essere necessariamente misurato per ottenere la capacità polmonare totale (CPT), ovvero il volume massimo di aria contenuto dai polmoni. Va ricordato in particolare come la misura dei volumi sia influenzata dalla metodica a seconda delle condizioni patologiche in cui viene applicata. I metodi più comunemente utilizzati sono di due tipi: la tecnica pletismografica e la tecnica della diluizione dell’He o del wash-out dell’N2. Il metodo pletismografico prevede che il paziente svolga l’esame all’interno di una cabina pressurizzata e consente la misurazione del volume gassoso toracico compresa la quota di aria non ventilabile, ovvero quella che non comunica con le vie aeree e rimane intrappolata nel polmone. Questo volume non ventilabile sfugge ai metodi non pletismografici della diluizione dell’Elio e del lavaggio dell’Azoto. Lo studio pletismografico è preferibile in tutti quei casi in cui sia sospettata la presenza di ostruzione e in cui siano presumibilmente presenti distretti aerei funzionalmente esclusi dalla comunicazione con l’esterno. Il paziente enfisematoso rappresenta l’esempio tipico: la misurazione del grado di iperinsufflazione polmonare non può prescindere dallo studio dei volumi con tecnica pletismografica. In questi soggetti il valore di VR determinato con le altre metodiche potrebbe essere sensibilmente sottostimato. Lo studio dei volumi polmonari permette di diagnosticare una compromissione funzionale di tipo restrittivo (più frequentemente pneumopatie infiltrative, lesioni occupanti spazio, versamento pleurico, patologie della gabbia toracica, patologie neuromuscolari, obesità). Si parla in generale di “insufficienza ventilatoria di tipo restrittivo” quando la CPT sia diminuita oltre il limite inferiore di confidenza stabilito all’80%. Quando alla restrizione non sia associata una componente ostruttiva, si potrà definire l’entità della alterazione funzionale sulla base dei livelli già impiegati per l’ostruzione, utilizzando ancora FEV1 come parametro di riferimento. Nel caso di compromissione mista, sia ostruttiva che restrittiva, va dato un giudizio su quale sia prevalente.

Nel caso in cui il quadro funzionale risulti nei limiti di norma, ma il paziente presenti una storia anamnestica fortemente suggestiva di asma bronchiale, è appropriato approfondire il quadro con il test di broncoprovocazione, che, per motivi di sicurezza si esegue solo in centri di fisiopatologia respiratoria. L’obiettivo di tale test è quello di rilevare la presenza di iperreattività bronchiale, ovvero un’alterata risposta delle vie aeree, in termini di broncocostrizione, a stimoli che sono del tutto inefficaci nel soggetto normale. Si sottopone il soggetto a un esame spirometrico semplice di base, e quindi a spirometrie successive, ciascuna preceduta dalla somministrazione di dosi progressivamente crescenti di uno stimolo farmacologico broncocostrittivo, usualmente metacolina, verificando la eventuale comparsa di ostruzione. È importante ricordare che il test di provocazione bronchiale con metacolina è molto sensibile (se negativo consente di escludere l’asma) ma poco specifico (la responsività bronchiale può essere presente in altre situazioni come ad esempio il reflusso gastroesofageo).

La misura della diffusione del monossido di carbonio (DLCO) rappresenta un indicatore affidabile della diffusione di un gas attraverso la membrana alveolo capillare. Una valutazione funzionale non può considerarsi completa e accurata se non include anche la misurazione della DLCO, poiché questa, essendo molto sensibile, è in grado di rilevare disfunzioni dell’apparato respiratorio e non, anche nelle fasi più iniziali.

Per esempio, in caso di pneumopatia infiltrativa diffusa fibrosante in fase iniziale o laddove sia presente contemporaneamente enfisema, i volumi polmonari possono risultare nella norma e l’unica alterazione apprezzabile è una riduzione della DLCO, che può essere anche di grado moderato.

Molteplici condizioni patologiche possono determinare alterazioni della DLCO, tra queste annoveriamo l’enfisema, l’embolia polmonare, le pneumopatie infiltrative diffuse, l’edema polmonare cardiogeno, l’ipertensione polmonare, e lesioni occupanti spazio come tumori estesi. Ricordiamo, inoltre, che questa può risultare ridotta anche nei soggetti sottoposti a resezioni di parenchima polmonare, in condizioni che impediscono la completa inflazione polmonare, come deformità della gabbia toracica o patologie neuromuscolari, ed in pazienti con anemia.

Se è vero che le indagini strumentali per la valutazione della funzione polmonare sono di facile esecuzione e assolutamente non invasive, ci sono alcune condizioni in cui risultano controindicate, ad esempio infarto del miocardio e ictus cerebri nelle sei settimane precedenti, emottisi, pneumotorace, fratture costali, ostruzione carotidea severa.

Ecografia toracica

La diagnostica ecografica del torace, basata sul principio degli ultrasuoni, è una metodica di sempre più di comune utilizzo, relativamente nuova nella disciplina pneumologica. Fino a qualche tempo fa, infatti, l’aria veniva definita come “nemica degli ultrasuoni”, e pertanto, fatta eccezione per lo studio dei versamenti pleurici, l’ecografia toracica non trovava ampia applicazione nello studio del parenchima polmonare.

Nell’ultimo decennio, l’attenzione crescente verso le numerose applicazioni cliniche degli ultrasuoni ha permesso di aumentarne le conoscenze, rendendo questa metodica in grado di identificare in tempi rapidi situazioni potenzialmente critiche come pneumotorace e versamento pleurico.

Si potrebbe quasi definire una “nuova semeiotica” da affiancare al “classico” esame obiettivo e, pur essendo un esame strumentale, si differenzia molto dalla classica diagnostica per immagini. Non invasiva, ripetibile, e, nella sua versione portatile, relativamente economica e di agevole utilizzo a letto del malato, l’ecografia è uno strumento sempre più importante per indirizzare l’orientamento diagnostico, e per dirimere, in condizioni di urgenza, tra versamento pleurico e pneumotorace.

Normalmente il cavo pleurico è virtuale, la pleura appare all’ecografia come una banda iperecogena immediatamente sotto il piano parietale e costale (Fig. 4). Solamente prestando attenzione alle immagini è possibile evidenziare lo scorrimento della porzione profonda della linea pleurica che corrisponde alla pleura viscerale contro quella superficiale (pleura parietale): questo rappresenta un segno fondamentale in ecografia toracica (Sliding sign) ed esprime la fisiologia dinamica del polmone in assenza di patologia.

Ecograficamente il versamento pleurico appare come una raccolta ecopriva, in modo analogo a come si osserva in altre cavità corporee. La presenza di fibrina, cellule o detriti in sospensione può creare echi mobili nel liquido con gli atti respiratori o veri e propri sepimenti strutturati, come nel caso dell’empiema. Una volta individuata la cupola diaframmatica è possibile individuare la zona anecogena e stimarne l’entità del versamento in senso craniale e laterale (Figg. 5,6).

Nello pnx una quantità variabile di aria intrapleurica (che acquisisce in genere la posizione antideclive, o anteriore nel paziente supino) impedisce di visualizzare il normale movimento pleurico (il sopraddetto sliding sign), che viene in quel punto sostituito da reverberi fissi di aria. Tutti gli elementi ecografici da ricercare in una pleura sana (sliding sign, linee B e white lung), non possono essere visionati nelle scansioni in corrispondenza della raccolta di aria intrapleurica, mentre riappariranno in corrispondenza del polmone sano.

Senza scendere in dettagli più specialistici, dobbiamo ribadire che l’ecografia si sta rilevando metodica sempre più utile nella diagnostica pneumologica. Vi sono pneumologi che dedicano gran parte del loro tempo nello studio di questa indagine, arrivando a riconoscere e sospettare con l’ausilio degli ultrasuoni anche patologie del parenchima polmonare (polmoniti, pnuemopatie fibrosanti, atelettasie). Al medico di base non è richiesta questa competenza ma, ad esempio, riconoscere l’aspetto ecografico di un versamento pleurico o di uno pneumotorace con l’ausilio di un ecografo tascabile, potrebbe essere di grande ausilio al letto del paziente per orientare il giudizio diagnostico ed indirizzare ulteriori approfondimenti.

Conclusioni

Al termine di questa revisione, possiamo dire che la valigetta del medico di oggi, rispetto a quella di chi si laureava 30 anni fa, è cambiata e si è arricchita di nuovi strumenti che possono essere di grande ausilio nell’approccio diagnostico al paziente con sintomi suggestivi per patologia dell’apparato respiratorio. Quello che non è cambiato è la necessità che assieme agli strumenti nella nostra valigetta debba essere presente anche la conoscenza della semeiotica, della clinica e la capacità di interpretare quello che i nostri strumenti rilevano. E se dentro alla borsa ci mettiamo anche tanta passione e amore per le persone che andremo a visitare, la valigetta del medico diventerà un contenitore magico che ci consentirà di capire, di diagnosticare, di suggerire, di curare e in ultima analisi di dare risposta a chi da quella borsa si aspetta rimedi e soluzioni.

 

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