Alberto Pellegrino
Sociologo
La violenza sulle donne è stata definita dall’ONU “un flagello mondiale” al causa della sua diffusione in tutti i Paesi compresa l’Italia. Gli aggressori appartengono a tutte le classi e compiono abusi fisici e sessuali su soggetti adulti e su minori, sul lavoro e in famiglia. Per combattere questa forma di violenza, oltre alle leggi, servono adeguate forme di prevenzione e di educazione.
Le Nazioni Unite hanno votato nel 1993 la Dichiarazione sull’eliminazione della violenza contro le donne, nella quale questo tipo di violenza viene così definita: « Qualsiasi atto di violenza per motivi di genere che provochi o possa verosimilmente provocare danno fisico, sessuale o psicologico, comprese le minacce di violenza, la coercizione o privazione arbitraria della libertà personale, sianella vita pubblica che privata ». Siamo di fronte a una delle tante violazioni dei diritti umani, al radicamento di un rapporto tra esseri umani che ha condotto gli uomini a prevaricare e discriminare le donne, a un meccanismo sociale che costringe le donne a vivere in una posizione subordinata rispetto agli uomini. Purtroppo la violenza contro le donne sta diventando un fenomeno sempre più diffuso nell’ambito della famiglia e in tutta la società, per cui è indispensabile affrontare seriamente il problema per eliminare o almeno ridurre gli effetti negativi prodotti da questo tipo di violenza, che va punita non solo quando si presenta sotto le forme più brutali e disumane, ma anche quando assume l’aspetto del ricatto morale e della violenza psicologica. In un’epoca che si professa civilizzata come la nostra, le Nazioni Unite hanno giustamente definito la violenza sulle donne “un flagello mondiale”, un fenomeno barbarico che sta raggiungendo dimensioni preoccupanti, perché non comprende solo l’aggressione fisica ma include anche vessazioni psicologiche, ricatti economici, minacce, violenze e persecuzioni di vario genere, fino a sfociare nella forma estrema e drammatica del femminicidio. Basti pensare che, secondo i dati ufficiali del 2016, sei milioni e 788 mila donne hanno subìto nel mondo una qualche forma di violenza fisica o sessuale. In Italia, nonostante la legge del 2013 che inasprisce le pene e le misure cautelari, la violenza contro le donne sta assumendo dimensioni veramente preoccupanti, se si pensa che, sempre nel 2016, sono stati commessi 3.984 reati sessuali, 13.117 delitti di stalking, 14.247 maltrattamenti in famiglia e 149 omicidi.
È ormai dimostrato che la violenza contro le donne è diventata endemica sia nei paesi industrializzati sia in quelli in via di sviluppo. Le vittime e i loro aggressori appartengono a tutte le classi sociali, a tutti i ceti economici e culturali; sono spesso mariti, fidanzati, compagni di vita e padri, seguiti dagli amici, vicini di casa, conoscenti stretti, colleghi di lavoro o di studio. Bisogna inoltre precisare, per evitare stereotipi devianti e socialmente dannosi, che queste violenze non sono commesse solo da uomini sbandati, malati di mente, tossicodipendenti, migranti, persone che vivono ai limiti della società, ma anche da individui cosiddetti “normali”. In molti paesi le giovani sono vittime di matrimoni coatti, matrimoni riparatori e/o sono costrette alla schiavitù sessuale, mentre altre vengono indotte alla prostituzione forzata. Altre forme di violenza sono le mutilazioni genitali femminili o altri tipi di mutilazioni come lo stiramento del seno, le morti a causa della dote, lo stupro di guerra ed etnico. Il fenomeno sta assumendo dimensioni mondiali e non è sufficiente cercarne le cause nella frustrazione maschile, nella mancata realizzazione personale dell’uomo, nelle difficoltà sul lavoro o nella vita, nell’insoddisfazione, ma bisogna andare più in profondità per cercare le cause nel mancato riconoscimento dell’identità delle donne da parte degli uomini e nella non realizzata parità di diritti tra uomini e donne, nel negare alle donne la possibilità di realizzarsi e di decidere secondo quanto ritengono sia meglio per loro stesse.
Varie forme di violenza contro le donne
Esiste la violenza domestica esercitata soprattutto nell’ambito familiare o nella cerchia di conoscenti, attraverso minacce, maltrattamenti fisici e psicologici, atti persecutori, stalking, percosse, abusi sessuali, delitti d’onore, uxoricidi passionali o premeditati. Una forma particolare di violenza familiare è la violenza economica, che consiste nel controllo del denaro da parte del partner, nel divieto d’intraprendere attività lavorative esterne all’ambiente domestico, nel controllo delle proprietà e nel divieto ad ogni iniziativa autonoma rispetto al patrimonio della donna. La violenza nella famiglia non avviene solo nei confronti di individui adulti ma anche con abusi sessuali su minorenni che, coinvolti nella relazione sessuale, non sono in grado di cogliere il significato di quanto viene effettuato su di loro. Il minore non è nelle condizioni di comprendere le conseguenze anche gravi cui sarà esposto, perché in questi casi la vittima è solo in grado di percepire di essere oggetto di attenzioni particolari da parte dell’abusante rispetto agli altri componenti della famiglia, per cui vive questa condizione come un pesante segreto, il quale produce un trauma dissociativo che ostacola i processi d’integrazione e di crescita del minore. Gli abusi sessuali intra familiari avvengono soprattutto sulle figlie da parte delle figure maschili della famiglia (padri, nonni, zii, amici che godono di grande considerazione e fiducia da parte della famiglia) e questi abusi, di cui sono vittime le bambine e le ragazze adolescenti possono arrivare alla violenza estrema dell’incesto. L’abuso familiare è spesso compiuto con strategie di manipolazione e di violenza psicologica diretta o indiretta, con strategie di seduzione. Il legame incestuoso con la figlia tiene il padre al riparo dalla propria fragilità, dalla paura di confrontarsi alla pari con una donna adulta; gli consente inoltre di usare questa relazione incestuosa per affermare la propria autorità sulla famiglia e il proprio potere sulle donne, scegliendo la più debole e la più dipendente per dominarla completamente. Dalla distruzione psicologica di una figlia il padre guadagna una sensazione emozionale autocentrata e sganciata da un reale scambio affettivo e questo sfocia spesso in comportamenti possessivi e in gelosie patologiche che si manifestano anche con un marcato dirigismo sulla vita esterna della figlia.
Un tipo particolare di violenza sessuale si sta diffondendo nella Rete con forme di adescamento che sfuggono al controllo dei genitori e rendono difficoltosi gli interventi della polizia postale a causa dell’uso incontrollato di Internet, dove ragazzine adolescenti o preadolescenti postano sui social network le loro immagini in abiti succinti o addirittura mostrano le loro nudità ad amici e compagni, si scambiano foto intime per un malinteso senso di libertà sessuale. Purtroppo questi profili sono aperti e permettono l’ingresso di sconosciuti o addirittura di cybermaniaci, i quali procedono a forme di adescamento che sfociano in incontri pericolosi, che fanno scattare minacce e ricatti di tipo sessuale. A volte ragazze minorenni o anche giovani adulte compiono rapporti sessuali con il proprio compagno dinanzi a una telecamera e quando la relazione s’interrompe le immagini finiscono in rete e diventano oggetto di ricatto psicologico da parte del loro ex o da parte di sconosciuti con forme di persecuzione che possono sfociare con preoccupante frequenza in suicidi da parte di ragazze terrorizzate dal fatto che quei video possano fare il giro del web.
Esiste poi una violenza esercitata sul posto di lavoro, dove le donne sono esposte ad abusi e ricatti sessuali. Si tratta di una sopraffazione molto sottostimata nelle sue manifestazioni fisiche e sessuali che va da una forma di maschilismo soft basato su battute, offerte di protezione, tentativi di seduzione, per arrivare alle violenze fisiche e a tutti i tipi di molestie sessuali. Ci sono forme di maltrattamenti psicologici che entrano a far parte dei rapporti di lavoro e che finiscono per essere considerati come inevitabili, pur provocando uno stato d’insofferenza e di disagio nelle donne che sentono di essere considerate come un oggetto, caricate di eccessive responsabilità e di paure con minacce vaghe o palesi. Molte donne vittime di queste molestie soffrono di disturbi psicologici e fisici di vario genere, di turbe caratteriali, perché il mantenere un costante stato di sorveglianza finisce per compromettere gli equilibri psicofisici, oppure porta ad accettare la violenza come normale o addirittura necessaria per conservare il posto di lavoro o per fare carriera.
Lo stupro non è solo un grave reato
Tra le forme più gravi di violenza contro le donne rientra lo stupro, una pratica maschile attuata fin dall’antichità da parte dei vincitori sulle donne dei vinti, nel corso delle guerre dal medioevo all’età moderna, durante le guerre coloniali, nella prima e nella seconda guerra mondiale fino a diventare un’arma bellica nel corso della guerra serbo-croata-bosniaca con gli stupri di massa contro le donne del nemico. Si tratta della forma di violenza più abbietta, perché pone la donna in una condizione di assoluta incapacità di difesa sia quando lo stupro è commesso da un gruppo o da una singola persona con l’uso della forza fisica, dell’alcol o di sostante stupefacenti che debilitano la volontà di reazione del soggetto femminile. Al di là di possibili motivazioni psicologiche o sociali, siamo sempre e comunque di fronte a un reato che deve essere punito con la massima severità senza indulgere in giustificazioni che riguardino una eventuale provocazione, forme di abbigliamento, atteggiamenti di seduzione da parte della donna, presunte e non dimostrate forme di consenso. Alla base dello stupro c’è la convinzione che riduce la donna a oggetto, a strumento di godimento, a un pezzo di carne destinato a soddisfare gli appetiti sessuali del maschio in una società che favorisce lo scatenamento di fantasie sadico-aggressive, la regressione dell’individuo a un animale disinibito. “Una delle scoperte più importanti, emerse negli ultimi dieci anni sugli stupratori, è che per questi individui, per nulla ipersessuati, lo stupro è più una manifestazione di forza, prevaricazione e rabbia che di desiderio sessuale. Va notato che la maggior parte dei violentatori non soffre del problema di non avere un partner sessuale disponibile. Ciò non significa che lo stupro non abbia alcuna connotazione o motivazione sessuale; ma nella maggior parte dei casi le componenti di aggressività sono talmente predominanti da far passare in secondo piano l’aspetto sessuale dell’azione” (W. H. Masters e V. E, Johnson, 1987).
Le caratteristiche della violenza maschile
La violenza maschile nelle espressioni più drammatiche (percosse, stupri, omicidi) non è un fenomeno socialmente isolato; essa nasce in un sistema di relazioni molto ampio e capillare che riguarda l’organizzazione sociale dei rapporti tra i sessi, in forme di sessismo che pongono il maschio in una condizione dominante, sulla tendenza a occultare la violenza o a riconoscerla solo in gruppi sociali considerati socialmente ed economicamente inferiori. La violenza sessuale non riguarda solo l’uccisione di una donna da parte di un uomo (“femminicidio”), ma anche il giudizio estetico e morale sui corpi e sulle scelte delle donne, i condizionamenti psichici, le pratiche di negazione e di controllo, le minacce, gli insulti, le offese sotto gli occhi di tutti e per lunghi periodi di tempo. Una forma particolarmente drammatica di violenza è l’uso dell’acido contro le donne per deformarne l’aspetto fisico, per cancellarne la bellezza e la grazia, perché la logica perversa dello sfregio non è solo una punizione, ma è anche un modo per affermare il proprio possesso per impedire a una donna di potersi unire ad altri, perché si pensa che sfigurare il corpo della donna possa toglierle ogni valore, ogni possibilità di affermazione nella società, possa essere una condanna alla cancellazione sociale.
La violenza maschile nelle espressioni più drammatiche (percosse, stupri, omicidi) non è un fenomeno socialmente isolato, ma nasce in un sistema di relazioni molto ampio e capillare che riguarda l’organizzazione sociale dei rapporti tra i sessi, che giustifica forme di sessismo destinate a porre il maschio in una condizione dominante, a consolidare la tendenza a occultare la violenza o a riconoscerla solo in gruppi sociali considerati socialmente ed economicamente inferiori. Da questo deriva, anche nell’universo mentale femminile, quella introiezione inconscia delle strutture androcentriche su cui si è costruito nel tempo il potere maschile, secondo paradigmi culturali e schemi di valore che si trasmettono alle successive generazioni e che contribuiscono a consolidare e perpetrare l’impianto sociale dominante. Quest’assimilazione/interiorizzazione del dominio maschile come elemento acquisito è una delle cause che producono e rafforzano l’inclinazione alla subalternità e alla sottomissione su cui poggia la “mitologia androcentrica” che un tempo aveva le sue fondamenta sull’egemonia patriarcale esercitata nella famiglia e che è ancora presente, con le dovute differenze culturali, in diverse aree geopolitiche. Bisogna pertanto smascherare ideologicamente quei meccanismi concettuali che trasformano un arbitrio culturale in una condizione naturale che parte dalle differenze biologiche tra uomo e donna per arrivare a una costruzione sociale posta a fondamento di una divisione arbitraria dei due sessi.
Come intervenire contro la violenza maschile
Non è sufficiente considerare la violenza maschile contro le donne soltanto un reato da punire con pene anche severe, perché bisogna collocare il fenomeno all’interno di un contesto sociale e culturale per procedere sul piano dell’educazione e sulla costruzione di nuovi modelli culturali. In questo modo si sarebbe possibile smontare determinati stereotipi che sono un retaggio del passato e sono privi di ogni fondamento scientifico: il mito maschilista della virilità, secondo il quale le donne desiderano, più o meno coscientemente, di essere possedute con la violenza e possono indurre alla violenza, provocando la reazione maschile attraverso il loro abbigliamento o atteggiamenti invitanti; la riduzione della sessualità alla genitalità, che riduce la donna da “soggetto” a “oggetto” sessuale; la desensibilizzazione rispetto all’immoralità e alla violenza, che comporta una progressiva perdita delle resistenze morali. Per evitare che il problema della violenza sulle donne rimanga ai margini della società, per mettere in gioco il modo di stare al mondo degli uomini, per cambiare le rappresentazioni che i maschi hanno di loro stessi e delle donne, è necessario ricorrere alla prevenzione: quando si vede che nel rapporto di coppia, nel rapporto familiare, nel rapporto con gli amici o con giovani conoscenti qualcosa inizia a non andare per il verso giusto, bisogna agire immediatamente in qualunque contesto sociale ci si trovi a vivere. Si deve tenere presente che quelle frasi, quelle avances, quei comportamenti, che nonrispettano né la persona né la donna, possono costituire il primo passo verso brutte avventure, per cui è necessario prendere provvedimenti a questo livello prima che certi “segnali” degenerino in forme di vera e propria violenza fisica e psicologica. Le donne, che subiscono violenza, devono subito rivolgersi ai centri antiviolenza, presenti in molte città, perché da sole non è possibile uscire da certe situazioni, per cui c’è bisogno di un sostegno psicologico e di un aiuto legale. Nello stesso tempo occorrono una maggiore severità e una maggiore rapidità nell’emettere le sentenze da parte della magistratura, visto il 44,6 per cento delle donne assassinate avevano denunciato i loro uccisori, che molte delle denunce presentate contro partener violenti vengono archiviate (il 45%), che per arrivare a una sentenza di condanna passano almeno tre anni. Bisogna evitare il fenomeno delle violenze sommerse, che spesso sono compiute tra le mura domestiche e che non vengono denunciate. Dice il sociologo Marzio Barbagli: “A differenza di altri reati, come quelli contro il patrimonio, le denunce per stupro non raccontano adeguatamente la realtà. Le violenze sessuali denunciate sono infatti solo una piccola parte di quelle davvero compiute molte violenze avvengono in famiglia per opera del partner o comunque di una persona conosciuta e questo è un fenomeno che resta in gran parte sommerso. Ancora meno sappiano degli stupri di immigrati a danno di donne loro connazionali”.
La battaglia culturale contro la violenza sessuale deve passare attraverso un’educazione alla sessualità e all’amore, per valorizzare l’incontro tra i sessi come un incontro tra differenze. Questo tipo di formazione non può prescindere da un’educazione al rispetto dell’altro, dalla convinzione che la domanda d’amore non può mai coincidere con il sorpruso e con l’annientamento della libertà dell’altro, ma come un dono di libertà. La forma più alta d’amore è amare la libertà del proprio partner, amare la sua differenza di cui la donna è il simbolo. Coloro che scelgono la strada della violenza, preferiscono “il dominico cieco al rischio dell’esposizione, l’affermazione narcisistica del fallo all’incontro con l’alterità di un corpo, come quello femminile, fatto di segreti. Se l’amore è sempre un salto nel vuoto è perché esso implica la rinuncia a rendere l’altro una nostra proprietà, la rinuncia alla violenza come soluzione (impossibile) del problema della libertà” (Massimo Recalcati).