Cosmopolitismo e tolleranza in Amato Lusitano, medico portoghese ad Ancona (1547-1555)

In memoria di Mario Santoro

Stefania Fortuna

Dipartimento di Scienze Cliniche e Molecolari, Storia della Medicina
Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università Politecnica delle Marche

Si pubblica qui il testo della lezione tenuta il 13 dicembre 2018 presso la Biblioteca Civica Romolo Spezioli di Fermo, di cui è direttrice Maria Chiara Leonori, nell’ambito di una collaborazione tra l’Università Politecnica delle Marche e la Biblioteca che ha preso avvio nel 2015, con cadenza annuale. Per l’occasione è stata allestita una mostra delle opere di Amato Lusitano e dei suoi maestri, colleghi e rivali, a cura di Natalia Tizi (cf. infra, l’elenco delle opere esposte dal 13 dicembre 2018 all’8 gennaio 2019).

 

Fig 1 – Amato Lusitano (1511-1568)

Amato Lusitano (1511-1568) è un grande medico ebreo converso o marrano del Cinquecento, nato in Portogallo e conosciuto con il nome cristiano di João Rodrigues o Iohannes Rodericus, che si sposta in tutta Europa per sfuggire ovunque alle persecuzioni dell’Inquisizione, finché giunge a Salonicco, dove gode della tolleranza religiosa garantita dall’impero ottomano e vive finalmente con libertà l’identità ebraica. Per otto anni, dalla primavera 1547 all’estate 1555, Amato soggiorna ad Ancona e ad Ancona scrive la versione completa del commento al De materia medica di Dioscoride e gran parte delle sette Centurie delle Curationes, pubblicate per la prima volta l’una nel 1553, le altre tra il 1551 e il 1566[1].

Mario Santoro (1905-1998), stimato pediatra e appassionato umanista, è stato direttore prima del brefotrofio di Fermo dal 1939 al 1958, poi della biblioteca civica Romolo Spezioli dal 1960 al 1993, oltre che docente di storia della medicina all’Università di Ancona dal 1981 al 1984[2]. Tra gli scaffali di questa splendida biblioteca, che conserva un fondo antico di libri medici importante per quantità e qualità, Santoro incontra Amato Lusitano ed è conquistato subito dall’uomo e dalle sue opere. Amato gli appare molto diverso dall’immagine negativa che di lui aveva costruito il medico senese Pietro Andrea Mattioli (1501-1578) nella fortunata operetta Apologia adversus Amathum Lusitanum, pubblicata in numerose edizioni dal 1558 al 1674[3]. Qui Amato è presentato da Mattioli come un calunniatore pieno d’invidia che non solo non conosce la botanica – per cui merita il nome di Amathus, invece di Amatus, che in greco significherebbe ignorante – ma è anche spergiuro ed eretico, in quanto ebreo che nonostante la conversione continua a vivere secondo le usanze ebraiche. L’attacco violento e scomposto del Mattioli è in risposta alle critiche contenute e moderate che Amato gli aveva mosso in una ventina di passi nel suo commento al Dioscoride, dove non manca di ricordarlo come “il più grande traduttore e commentatore di Dioscoride degli ultimi tempi”.

Fig 2 – Giacomo Fontana, mappa di Ancona 1569 (Museo della Città)

In un articolo pubblicato nel 1974, in occasione delle celebrazioni per i 400 anni della morte di Bartolomeo Eustachio (ca. 1510-1574) svoltesi nella città natale di San Severino, Santoro prende le distanze dalle accuse lanciate da Mattioli contro Amato, definendole tout court “contumelie inaudite”, e mostra inoltre di apprezzare lo spirito moderato ed equilibrato del medico portoghese[4]. Amato si era sempre ispiratato ai principi ippocratici nell’esercizio della medicina con i pazienti, con gli allievi e con i colleghi, come lui stesso afferma nel suo Giuramento, scritto a Salonicco nel 1559 e pubblicato prima alla fine della sesta Centuria nel 1560, poi della settima nel 1566[5].

Infine Santoro esprime il grandissimo entusiasmo che la lettura delle Curationes gli aveva suscitato, definendole un “documento di straordinaria potenza, di costumi, modo di vivere, di commerci, di stupende osservazioni sullo stato igienico sanitario” dell’Ancona di metà Cinquecento[6]. Molti anni dopo, nel 1991, Santoro pubblica il libro intitolato Amato Lusitano e Ancona presso il Centro de Estudos Clássicos e Humanísticos dell’Università di Coimbra[7]. Questo libro è un omaggio al medico portoghese, a lungo trascurato o addirittura ignorato in Italia e nelle Marche, alla città di Ancona e alla sua amata biblioteca di Fermo: per gli autori menzionati nel testo sono elencate in nota le edizioni del Cinquecento conservate a Fermo; quanto a quelle di Amato, sono riprodotte in ristampa anastatica in varie pagine del libro, con il timbro della biblioteca in evidenza.

Gli studi degli ultimi decenni hanno riconosciuto ad Amato un posto importante nella storia della letteratura e dell’epistemologia medica, come fondatore di un nuovo genere, le curationes o le observationes, il racconto dei casi clinici, che ha grande sviluppo nel Seicento e poi nel Settecento contribuendo alla nascita della medicina moderna: l’esperienza non è più interpretata alla luce delle teorie dei medici greci e arabi, Galeno, Ippocrate e Avicenna, come nel Medioevo, ma è piuttosto la base su cui le teorie sono valutate e nuove conoscenze sono elaborate[8]. Inoltre le ricerche d’archivio hanno fatto emergere una ricca documentazione sulle comunità degli ebrei sefarditi che si formano in Europa nel Cinquecento, comprese quelle di Ferrara e di Ancona in Italia, di cui Amato fa parte per un certo tempo, sui loro protagonisti e sulle loro attività[9].

A venti anni dalla morte di Mario Santoro, se ne vuole qui onorare la memoria tornando alle Curationes di Amato che tanto lo avevano appassionato, con lo scopo di proseguire le sue ricerche e di approfondire la figura del medico portoghese e il ruolo importante che Ancona ha avuto nella sua vita professionale e familiare e nella composizione delle sue opere, con una rilettura del testo, insieme, filologica e documentaria.

1. L’arrivo di Amato ad Ancona e la fuga

Le complesse vicende biografiche di Amato sono state ricostruite per molti aspetti, sulla base di quanto lui stesso ci racconta nelle sue opere e dei documenti pervenutaci[10]. Nasce nel 1511 a Castelo Branco, in Portogallo, da una famiglia di ebrei costretti alla conversione, studia in Spagna, a Salamanca, dove si laurea in medicina nel 1530, quindi per pochi anni pratica la professione in patria, a Lisbona, e poi si sposta in numerose città, tra loro molto lontane, ma tutte tappa della grande diaspora sefardita di quegli anni: Anversa, Ferrara, Venezia, Ancona, Roma, Pesaro, Ragusa, e infine Salonicco, dove muore nel 1568.

Fig 3 – Mario Santoro (1905-1998), al centro, nella sala del mappamondo della Biblioteca Civica Romolo Spezioli di Fermo, 1955 (archivio della Biblioteca)

Dopo aver soggiornato per sette anni a Ferrara, dove era arrivato nel 1540, Amato si trasferisce ad Ancona nel maggio 1547, come afferma lui stesso nel commento al Dioscoride pubblicato nel 1553[11]. A Ferrara si era creato un ambiente poco favorevole per lui e per la sua famiglia dopo la chiusura fallimentale, nell’aprile 1545, della società commerciale che si era costituita qualche anno prima tra il duca Ercole II d’Este e i suoi parenti, Stefano e Henriques Pires, quest’ultimo zio di Amato per parte di madre, grande mercante proveniente da Anversa, leader ovunque della nazione degli ebrei portoghesi e tra l’altro padre di Diogo Pires (1517-1599), poeta neolatino ed esponente illustre dell’umanesimo portoghese[12]. Improvvisante i Pires si erano trovati ad avere un grosso debito di 23.500 scudi d’oro nei confronti del duca, estinto soltanto tra la fine del 1548 e l’inizio del 1549, per il quale Amato si era fatto sempre garante in solido[13].

Ancona era diventata meta della diaspora sefardita dal settembre 1532, quando la città perde la libertà ed è annessa allo Stato della Chiesa[14]. Tra i primi provvedimenti presi dal cardinale Benedetto Accolti, dopo essere entrato ad Ancona con le truppe pontificie e averla conquistata in accordo con il papa Clemente VII, c’è la sottoscrizione di un salvacondotto a favore “dei mercanti levantini, turchi, greci, ebrei di qualsiasi condizione che già vivevano o che in seguito si fossero stabiliti ad Ancona”, con riferimento agli ebrei sefarditi, capaci di ingenti investimenti ed esperti in commerci internazionali. Negli anni successivi, non solo sotto il pontificato di Clemente VII, ma anche di Paolo III e di Giulio III, continua in città la politica di concessioni e privilegi nei confronti degli ebrei, compresi i conversi sefarditi, con lo scopo di fare di Ancona un grande centro commerciale, ponte dello Stato Pontificio verso i Balcani e l’Oriente. Tra il 1547 e il 1549, Paolo III vara diverse disposizioni che permettono ai conversi portoghesi di praticare pubblicamente la religione ebraica; e nel febbraio 1553 Giulio III riconosce ufficialmente l’Universitas Hebraeorum Lusitanorum di Ancona.

Alcuni parenti di Amato, membri della famiglia Pires, si trasferiscono ad Ancona già nel 1532, e molti altri vi arrivano in seguito[15]. Il fratello di Amato, Ioseph Oeff Falcon, alias Ioseph Amato[16], abita a Ferrara all’inizio degli anni Quaranta, ma è in affari con mercanti di Ancona, e il 7 giugno 1547 si dichiara abitante di Ancona in una procura conclusa presso il notaio Andrea Bernardino Pilestri[17]. Ioseph sembra poi stabile ad Ancona e tra i mercanti più intraprendenti della città: “dotato di sagacia, di energia e di vasti mezzi”, si impegna in varie società che operano nel prestito e nel commercio di tessuti, pellami, preziosi e granaglie[18]. Amato potrebbe essere arrivato ad Ancona con il fratello o averlo raggiunto. In ogni caso, tra la fine degli anni Quaranta e i primi anni Cinquanta, numerosi ebrei portoghesi si spostano ad Ancona, attratti dalle opportunità economiche che la città offre con il porto in piena attività, e dal clima di tolleranza religiosa che sembra garantire.

Fig.4 – Biblioteca Civica Romolo Spezioli di Fermo, sala del mappamondo

Ma la situazione cambia repentinamente quando sale al soglio pontificio, con il nome di Paolo IV, il cardinale Gian Pietro Carafa, l’uomo della Controriforma e dell’Inquisizione, che fa della lotta contro ogni eresia la sua missione. Il 14 luglio 1555 il nuovo papa emette la bolla Cum nimis absurdum, con cui pone limitazioni alle libertà degli ebrei e li confina nei ghetti. Alcuni giorni dopo, il 26 luglio, invia suoi commissari ad Ancona, con il compito di risolvere in modo definitivo la “vergogna”, per lui inaccettabile, dei portoghesi che vivevano secondo i costumi ebraici, pur discendendo da coloro che erano stati costretti a convertirsi: allontanati i dubbi sulla validità del battesimo che pure erano sorti, muove contro di loro l’accusa di apostasia[19].

Ad agosto avvengono i primi arresti dei portoghesi, le confische dei loro beni, e anche le fughe, tra le quali quella di Amato che si rifugia a Pesaro insieme con altri, lasciando ad Ancona tutti i suoi beni: vestiti, biancheria, arredi, libri e soprattutto le sue opere, sia il commento al Canone di Avicenna sia la quinta Centuria delle Curationes, il primo perduto, mentre la seconda in seguito recuperata. Lo racconta lo stesso Amato nella lettera indirizzata a Giuseppe Nasi, nipote di Grazia Mendes o Beatrice de Luna ed allora personaggio influente alla corte del sultano Solimano I il Magnifico a Costantinopoli, datata Salonicco, 1 dicembre 5320 (= 1560), e stampata a partire dalla seconda edizione della quinta e sesta Centuria, pubblicata a Lione da Guillaume Rouille nel 1564[20]. Lo conferma il lungo inventario dei beni sequestrati di Amato, redatto il 7 settembre 1555, dove, tra l’altro, sono elencate due casse di libri di cui si segnala soltanto “l’opera di Galeno in ottavo foglio”[21].

Quanto alla sorte dei portoghesi arrestati, novanta circa, si susseguono, in breve, interrogatori, torture, processi, evasioni, riconciliazioni con la Chiesa, e per venticinque di loro la morte sui roghi nell’attuale piazza Enrico Malatesta, tra l’aprile e il giugno 1556, che segna il momento più tragico della diaspora sefardita del Cinquecento e la totale dispersione della comunità portoghese di Ancona, formata da circa un centinaio di famiglie[22]. Tra i martiri sono stati annoverati anche lo zio di Amato Henrique Pires e il fratello Ioseph Oeff Falcon, entrambi rappresentanti della nazione portoghese anconetana[23]. Tuttavia un documento della seduta dell’Inquisizione del 5 dicembre 1555 li elenca tra i quattordici ebrei portoghesi di Ancona riconciliati con la Chiesa e condannati alla pena della galera[24]. Ioseph, comunque, non sopravvive all’arresto e alle persecuzioni[25]: il 10 marzo 1557, sua moglie Donna compare come vedova a Ferrara, in un documento rigurdante una trattativa con un certo Ioseph Bondi, in passato socio in affari del marito[26].

2. Le Curationes ed Ancona

Nel commento al Dioscoride, passando rapidamente in rassegna le principali tappe della sua vita, a proposito di Ferrara Amato scrive:

Ferrariam veni, cuius clientela sexennius moratus sum, ubi quoque publice artem medicam professi sumus, et multa a viris doctissimis in re anatomica et herbaria didicimus[27].

Fig. 5 – Amato Lusitano, In Dioscorides Anazarbei de medica materia … enarrationes, Venezia 1553

Amato, che pure era giunto a Ferrara da professionista esperto, riconosce di aver approfondito le sue conoscenze mediche in questa città, sede di un prestigioso ateneo, dove erano attivi il botanico Antonio Musa Brasavola (1500-1555) e l’anatomista Giovan Battista Canani (1515-1579), dove avevano insegnato maestri come Nicolò Leoniceno (1428-1524) e Giovanni Mainardi (1464-1536), e dove aveva studiato Giovan Battista da Monte (1489-1551), allora professore a Padova.

Non soprende, dunque, che a Ferrara Amato dia avvio alle sue Curationes, negli stessi anni in cui sono raccolte quelle di Brasavola e di Da Monte, rimaste manoscritte le prime, pubblicate le seconde da un allievo, Johann Crato von Crafftheim (1519-1585), oltre un decennio dopo, nel 1558[28]. Nella Curatio I 9[29], parlando del giovane ebreo Alcalai, che si ammala e muore a Ferrara a ventisette anni, in sole quarantotto ore, Amato segnala la data d’inizio delle Curationes, il 4 settembre 1546, che cade nella vigilia dello Yom Kippur, il giorno in cui “gli ebrei chiedono perdono a dio per i loro peccati”. Si tratta di una coincidenza che rappresenta esplicitamente una consolazione per gli amici che piangono il giovane vissuto sanctissime e innocentissime, ma che sembra anche un sacro sigillo per l’opera che Amato si accinge a scrivere[30].

Soltanto otto mesi dopo, nel maggio 1547, Amato lascia Ferrara per Ancona, dove rimane fino all’estate del 1555, come si è detto, e dove continua le sue Curationes fino alla Curatio V 68, che avviene ad Ancona: riguarda una donna di trentacinque anni, affetta da sifilide che aveva contratto dal marito, proveniente da “Sanctus Lupidius, da identificarsi con l’attuale Sant’Elpidio a mare, in provincia di Fermo[31]. La successiva Curatio si colloca invece a Pesaro (V 69), Pisauri habita, ed è introdotta da una presentazione elogiativa della città – nunc vero civitas nobilis est et magnifica, mentre nell’antichità il poeta Catullo l’aveva definita moribunda – e del duca Guidobaldo II della Rovere, clementissimus et liberalissimus: Amato afferma, all’inizio, di essere giunto a Pesaro, Pisaurum venimus, e in conclusione di aver praticato qui la medicina per alcuni mesi, sotto la protezione del duca, sub cuius tutela Pisauri aliquot menses medicati sumus[32].

Se la fine delle Curationes anconetane è ben segnalata da Amato, non lo è invece il loro avvio, che cade comunque nella prima Centuria, terminata ad Ancona il 1 dicembre 1549[33]. Le Curationes riflettono l’attività clinica di Amato senza esserne un diario: riguardano in genere i rimedi utilizzati per uno o più pazienti trattati in tempi non necessariamente vicini, sui quali le informazioni sono dettagliate o minimali, se non addirittura assenti, con l’aggiunta frequente di commenti, chiamati scholia, anche questi di lunghezza e contenuto diversi[34]. Quanto alla prima Centuria, le Curationes ripercorrono la carriera di Amato: prendono avvio in Portogallo, procedono per Anversa e Ferrara, e arrivano ad Ancona. La prima Curatio che riguarda un paziente esplicitamente trattato ad Ancona è I 48: un uomo di quarant’anni, probabilmente un mercante che era giunto dalla Puglia, curato da Amato per un dolore al costato[35].

Fig. 6 – Amato Lusitano, Curationum medicinalium … centuriae quatuor, Venezia 1557

Ma riferimenti a donne, puerpere osservate ad Ancona, sono già contenuti nella Curatio I 27, dove la storia principale è quella di Anna, moglie di Stefano Pires e cugina di Amato che partorisce felicemente un bambino a Ferrara, dopo una lunga gravidanza di oltre dieci mesi[36]. Amato coglie l’occasione per citare e discutere parti anomali – come quelli di donne che dopo un aborto avevano partorito animali – che gli era capitato di vedere soprattutto ad Ancona: la moglie di un mercante che veniva dall’Inghilterra e altre donne anconetane. Qui è raccontato anche il parto di una donna che abita presso le scale di San Ciriaco, la cattedrale di Ancona, e della figlia di Giovanni Gualtaruzzi, che ora sappiamo mercante di Ancona da un atto del notaio anconetano Girolamo Monaco del 13 ottobre 1541[37].

Le Curationes anconetane potrebbero iniziare dalla Curatio I 35, che di certo avviene ad Ancona, anche se la città non è citata[38]. Riguarda infatti la storia della figlia trentenne di Vincenzo, il conciatore di pelli, che si ammala prima in estate e in autunno impazzisce. Il conciatore di pelli Vincenzo è citato anche in seguito, nella Curatio II 60[39], riguardante il figlio che aveva contratto la sifilide da una donna con cui era vissuto per qualche giorno. Qui Amato dice che il figlio di Vincenzo abita accanto alla chiesa di San Nicola, che compare indicata con il numero 29 nella pianta di Ancona incisa da Giacomo Fontana nel 1569[40]. Si tratta di un’antica chiesa della città, forse fondata dalla comunità greca già nel V secolo, ampliata e trasformata nel tempo in un complesso conventuale, e infine abbattuta nel 1821 con lo scopo di creare la piazza antistante il teatro delle Muse, attualmente piazza della Repubblica[41].

In conclusione, le Curationes I 35-V 68 riguardano principalmente pazienti che Amato cura ad Ancona, ad esclusione di un gruppo tra la fine della seconda Centuria e l’inizio della terza (II 82-III 13), che raccontano storie di pazienti che Amato segue a Roma, dove si era recato per curare il papa Giulio III, molto malato, e dove si ferma per alcuni mesi, forse tra l’autunno del 1550 e il giugno 1551[42].

3. I pazienti ad Ancona

Per circa otto anni, dal maggio 1547 all’estate 1555, Amato vive quasi ininterrottamente ad Ancona, anche se non sembra sentire questa città come sua sede definitiva, almeno per un certo tempo. Forse avrebbe voluto avere un incarico pubblico di lavoro per una maggiore stabilità, ma il consiglio di Ancona non glielo concede, e quindi lo cerca altrove[43]. In una lettera al senato di Ragusa datata 1551 e pubblicata nel 1553 con il commento al Dioscoride, si candida a ricoprire il ruolo di medico primario sull’altra sponda dell’Adriatico[44]. In un’altra lettera indirizzata a Cosimo I de’ Medici, senza data ma stampata con la prima Centuria nel 1551, loda l’ateneo di Pisa che il duca aveva da poco riaperto, nel quale molto probabilmente avrebbe voluto insegnare.

Fig. 7 – Amato Lusitano, Curationum medicinalium … centuriae duae, Venezia 1560 (con il Giuramento)

Ancona è descritta da Amato come una città nobile e antica, allora popolata da persone di diversa provenienza, multietnica e internazionale: nobilis et antiqua civitas, vario genere gentium ornata[45]. Da tempo, ad Ancona, erano presenti comunità greche, turche, levantine, e più di recente si era formata e accresciuta quella degli ebrei portoghesi, di cui lo stesso Amato faceva parte. A metà del Cinquecento Ancona è un grande centro commerciale, un emporio in cui confluiscono mercanti di ogni genere da tutto l’Oriente, come racconta Amato:

Anconam veni nobile apud Italiam emporium, ad quod omne genus hominum mercatorum totius Orientalis plagae confluit[46].

Non sorprende quindi che, tra i pazienti di Amato, numerosi siano i mercanti, talvolta difficile dire se di passaggio o residenti ad Ancona per qualche tempo. Questi vengono dall’Oriente e dall’Egitto (Costantinopoli, Salonicco, Edirne e Alessandria)[47], ma anche dal Nord Europa (soprattutto Anversa)[48], dai Balcani (Ragusa, Valona e Antibari)[49], e da ogni parte d’Italia (Firenze, Lucca, Venezia, Padova, Bergamo, Milano, Napoli e Bari[50]), oltre che dalle località limitrofe.

Anche gli ebrei portoghesi che vivono ad Ancona sono in gran parte mercanti, esperti in rotte e commerci internazionali. Nella Curatio V 66, Amato parla di un tale Pietro Francesco, mercante di Terranova, e lo definisce molto bravo, diligentissimus[51]. Di lui ci dice che abita nella casa dei Barberini, da identificarsi con quella di Niccolò Barberini, a sua volta mercante fiorentino attivo ad Ancona. Pietro Francesco doveva essere un mercante portoghese che si era guadagnato l’appellativo di Terranova perché era stato a Terranova, l’isola dell’Atlantico ora territorio canadese che nel 1502 era stata esplorata da Miguel Corte-Real e subito annessa al Portogallo[52].

Altri ebrei portoghesi, citati da Amato nelle Centurie, avevano lavorato e soggiornato in India, che allora apparteneva al Portogallo. Un certo Didaco Ferdinando della Pietra doveva il suo appellativo della Pietra ad una pietra preziosa che aveva portato con sé dall’India[53]. Un oscuro Girolamo, che è medico e interlocutore di Amato, racconta di aver praticato a lungo la professione in India[54]. Francesco Barboso, anche lui medico e mercante, citato da Amato in diversi passi delle Centurie, era vissuto per diciotto anni in India, per poi giungere ad Ancona e impegnarsi in attività finanziarie e commerciali che ora si conoscono in dettaglio, attraverso l’esplorazione degli archivi notarili[55].

I protagonisti delle Curationes di Amato non sono soltanto mercanti, ma un’umanità molto varia che tocca ogni ceto sociale. Amato cura l’élite cittadina, a partire dai parenti del papa Giulio III: la sorella Giacoma, che soggiorna ad Ancona, e il nipote Vincenzo de Nobili, che ad Ancona è governatore delle armi e che lo introduce al papa stesso[56]. Suoi pazienti sono religiosi, priori e badesse, monaci e suore, come pure notai, letterati, poeti, musicisti, maestri, soldati, artigiani, conciatori di pelli, scalpellini, bottegai, fornai, marinai, pescatori, servi. Ci sono poi tante donne di diversa età e ceto, alcune lavoratrici, e i bambini colpiti da malattie o incidenti, tra cui frequente è la caduta dalle scale. Di tutti questi Amato racconta le storie da medico esperto e grande narratore in modo diverso, sempre con lucidità e comprensione, ma di volta in volta con simpatia, ironia, severità o pietà, animando i molteplici luoghi della città con dettagli altrimenti dimenticati e rivelandosi un testimone straordinario dell’Ancona di metà Cinquecento, come Santoro aveva affermato.

Fig. 8 – Pietro Andrea Mattioli, Apologia adversus Amathum Lusitanum, Venezia 1558

Gli ultimi, i poveri, gli emarginati, i maltrattati o perseguitati non sono mai trascurati. Amato dedica la Curatio II 30 agli ebrei etiopi, i falascia che, cacciati dalla Spagna prima e dal Portogallo poi per motivi religiosi, in quanto “neofiti, cioè ebrei costretti a convertirsi al cristianesimo contro il loro volere”, erano giunti ad Ancona per fare i servi, malati e poveri, pecuniis empti: si salvano quelli che si curano bene, mentre gli altri muoiono di consunzione o tubercolosi[57]. In pochi giorni muore anche una serva etiope di trentaquattro anni, che era caduta in una stato di incoscienza dopo aver avuto a lungo la febbre. Amato racconta la sua storia nella Curatio II 26, ricordando che la padrona, un’agiata ebrea portoghese, era solita picchiarla in testa: spiega così acutamente la causa della malattia e pietosamente conserva la memoria della donna umile e mite[58].

Le Curationes confermano quindi quanto Amato scrive nel Giuramento, che è una sorta di testamento, in cui descrive la sua condotta professionale, ispirata all’antica deontologia del medico greco Ippocrate, ma approfondita e raffinata in prospettiva universalistica[59]. Qui tra l’altro si legge: “mai ho fatto caso alla posizione elevata del malato e con la stessa diligenza ho curato i poveri e i nati in altissimo loco”; e soprattutto, prima, “sempre uguali per me sono stati gli uomini di ogni religione, sia ebrei che cristiani o mussulmani”[60]. Quest’ultima frase, di intensa eticità e di sorprendente modernità, è stata cancellata nell’edizione censurata delle opere di Amato stampata nel 1620, in nome di un’intolleranza religiosa che era rovinosamente diffusa allora, e che in modi e forme diverse è una minaccia devastante ancora oggi.

Elenco delle opere in mostra nella Biblioteca Civica Romolo Spezioli di Fermo(13 dicembre 2018 – 8 gennaio 2019)

  • Amato Lusitano, In Dioscorides Anazarbei de medica materia libros quinque enarrationes eruditissimae,Venezia, G. Scoto, 1553;
  • Amato Lusitano, Curationum medicinalium … centuriae quatuor, Venezia, B. Costantini, 1557;
  • Amato Lusitano, Curationum medicinalium … centuriae duae, Venezia, V. Valgrisi, 1560;
  • Amato Lusitano, Curationum medicinalium … centuriae septem, Barcellona, S. e J. Mathevats, 1628;
  • Antonio Musa Brasavola, Examen omnium simplicium medicamentorum, quorum in officinis usus est, Venezia, sub signo putei, 1539;
  • Pietro Andrea Mattioli, Commentarij secundo aucti, in libros sex Pedacij Dioscoridis Anazarbei De medica materia. His accessit eiusdem Apologia adversus Amathum Lusitanum, quin & censura in eiusdem enarrationes, Venezia, A. Arrivabene, 1558;
  • Pietro Andrea Mattioli, Commentarii, in libros sex Pedacii Dioscoridis Anazarbei, de medica materia. Adiectis quam plurimis plantarum & animalium imaginibus, eodem authore, Venezia, V. Valgrisi, 1554.

Bibliografia

  • Amato Lusitano (1557), In Dioscoridis Anazarbei De medica materia libros quinque enarrationes eruditissimae, Venezia, G. Ziletti.
  • Amato Lusitano (1557), Curationum medicinalium Amati Lusitani medici physici praestantissimi centuriae quatuor, Venezia, V. Valgrisi.
  • Amato Lusitano (1560), Curationum medicinalium Centuriae duae, quinta videlicet et sexta, Venezia, V. Valgrisi.
  • Amato Lusitano (1564), Curationum medicinalium Centuriae duae, quinta videlicet et sexta, Lyon, G. Rouille.
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  • Moroni, M. (2016), “Ancona al tempo di Benvenuto Stracca (1509-1578)”, Proposte e Ricerche 76, 199-211.
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  • Pirani, V. (1991), Una pianta di Ancona del 1745, Ancona, Comune di Ancona.
  • Pirani, V. (1998), Le chiese di Ancona, Ancona, Nuove Ricerche Ancona.
  • Pomata, G. (2005), “Praxis Historialis: The Uses of Historia in Early Modern Medicine”, in G. Pomata-N.G. Siraisi (eds.), Historia: Empiricism and Erudition in Early Modern Europe, Cambridge (MA)-London-England, The MIT Press, 105-146.
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  • Tucker, G.H. (2003), Homo viator. Itineraries of Exile, Displacement and Writing in Renaissance Europe, Genève, Droz, 195-238.
  • Ventura, I. (2009-2010), “Theory and Practice in Amatus Lusitanus’s Curationum medicinalium Centuriae: The Case of Fevers”, Korot 20, 139-179.

 Note

  1. Il commento di Amato ai primi due libri del De materia medica di Dioscoride è pubblicato per la prima volta dalla vedova di Martino Cesare ad Anversa nel 1536, mentre quello completo ai cinque libri del De materia medica da Gualtiero Scoto a Venezia nel 1553. Sulle edizioni delle opere di Amato, comprese quelle censurate, cf. Friedenwald (1937) 649-653 e Gutwirth (2004) 236, n.18.
  2. Un profilo biografico di Santoro si deve a Luisananna Verdoni nell’introduzione alla raccolta dei suoi scritti: Santoro (1998) 10-11. Cf. anche il sito dello Studio Firmano (http://www.studiofirmano.net/), fondato da Santoro nel 1555, con l’intento di promuovere studi di storia della medicina attraverso pubblicazioni e convegni scientifici, le cosiddette Tornate.
  3. Sull’Apologia adversus Amathum Lusitanum e sull’influenza esercitata dalle accuse di Mattioli nella damnatio memoriae di Amato per almeno due secoli, cf. Lemos (1907) 147-153 e Friendenwald (1937) 620-623 e 633-636.
  4. Santoro (1974) 9-10 e 20.
  5. Cf. soltanto Amato Lusitano (1560) 381-383. Una traduzione italiana del Giuramento di Amato è in Toaff (1986) 18-20.
  6. Santoro (1974) 10.
  7. Santoro (1991). Il volume è preceduto da una presentazione di Américo da Costa Ramalho (1921-2013), che esprime grande stima per Santoro, per i suoi studi e per le sue iniziative.
  8. Cf. l’importante articolo di Pomata (2010), che ricostruisce l’origine e l’evoluzione del genere e, in appendice, elenca tutte le raccolte di casi clinici pubblicate nel Cinquecento e nel Seicento, da Amato a Thomas Sydenham (1624-1689), dal 1551 al 1676; anche Pomata (2005).
  9. I contributi sulle comunità sefardite a Ferrara e ad Ancona nel Cinquecento sono numerosi; qui si segnalano soltanto i volumi postumi di Leoni (2011), che forniscono un imponente materiale documentario.
  10. Sulla vita e sull’opera di Amato è tuttora di riferimento il libro di Lemos (1907); cf. anche il saggio di Friedenwald (1937), poi confluito in Friedenwald (1944). Per altri riferimenti biobliografici su Amato cf. Ventura (2009-2010) 142, n. 3; a questi ora si aggiungono diversi contributi di Antonio Andrade, per i quali si rimanda ad Andrade (2013).
  11. Amato Lusitano (1557) IV 54, 401. Cf. anche la lettera di dedica dello stesso commento, indirizzata al senato di Ragusa e datata Roma, 15 maggio 1551.
  12. Su Diogo Pires cf. Andrade (2014); sul rovescio finanziario dei Pires cf. Leoni (2011) I 138-140.
  13. Nei documenti d’archivio pubblicati in Leoni (2011) II, di Amato compare il nome cristiano Iohannes Rodericus, che è stampato anche nella prima edizione del commento del Dioscoride pubblicata ad Anversa nel 1536; nelle successive edizioni del commento al Dioscoride e in quelle delle Curationes, si trova invece Amatus Lusitanus, latinizzazione del nome ebraico Chaviv, in seguito utilizzato a Salonicco; cf. Tucker (2003) 201 e 216 e Colorni (1983) 721.
  14. Per una sintesi su Ancona nel Cinquecento cf. Moroni (2016) con la bibliografia citata.
  15. Cf. Leoni (2011) I 192-193 e 288-292 e Bonazzoli (2001-2002) 24-37.
  16. L’identificazione del fratello di Amato, conosciuto come Ioseph Amato, con Ioseph Oeff Falcon si deve a Leoni (2011) I 319-322, grazie all’esame incrociato di vari documenti d’archivio.
  17. Cf. il seguente documento segnalato da Luca Andreoni in Andreoni-Fortuna 2019: Archivio di Stato di Ancona (= ASAN), Notarile di Ancona, not. A.B. Pilestri, n. 233, c. 306v, 7 giugno 1547 (procura).
  18. Cf. il profilo di Joseph Oeff Falcon in Leoni (2011) I 319-322, e i documenti pubblicati in Leoni (2011) II, che vengono sia dall’Archivio di Stato di Ferrara sia da quello di Ancona, quest’ultimo esplorato solo in parte; l’indice è in Leoni (2011) II 1269.
  19. Sulle persecuzioni dei ebrei conversi ad Ancona cf. Leoni (2011) I 487-494, Andrade (2012) e Foa-Andreoni (2013) con la ricca bibliografia citata.
  20. Amato Lusitano (1564) a2. Sulla perdita del commento ad Avicenna, cf. anche Amato Lusitano (1560) V 70, 107.
  21. L’inventario dei beni di Amato è stato pubblicato da Segre (1985) 209-215, n. 37, insieme con quelli di altri quarantasette ebrei portoghesi o ritenuti tali, accusati di apostasia nell’estate del 1555. L’inventario di Amato è stato poi ripubblicato e tradotto da Andrade-Crespo (2012).
  22. Cf. Foa (1999) 190.
  23. Cf. Leoni (2011) I 493-494, che segue l’elegia di Shelomò Hazan, pur segnalando che nella cronaca di Bernardino da Civitanova non compare il nome di Ioseph Oeff Falcon tra i martiri di Ancona del 1556.
  24. Cf. Ioly Zorattini (2001-2002) 47-50.
  25. Non si conosce la data dell’arresto di Ioseph, ma l’inventario dei suoi beni sequestrati è datato 3 ottobre 1555; cf. Segre (1985) 218-219, n. 42.
  26. Cf. Leoni (2011) II 1108-1109 (doc. 1373).
  27. Amato Lusitano (1557) I 137, 134.
  28. Cf. Pomata (2010) 208-212 con la bibliografia citata, a cui si aggiunga Mugnai Carrara (2004) sull’insegnamento clinico di Da Monte.
  29. Amato Lusitano (1557) 47.
  30. Cf. Gutwirth (2004) 233.
  31. Amato Lusitano (1560) 172-176.
  32. Amato Lusitano (1560) 102-105.
  33. Amato Lusitano (1557) I 100, 206.
  34. Sugli scholia nelle Curationes di Amato cf. Ventura (2009-2010).
  35. Amato Lusitano (1557) 131-132.
  36. Amato Lusitano (1557) 86-87.
  37. Cf. Leoni (2011) I 197.
  38. Amato Lusitano (1557) 115-116.
  39. Amato Lusitano (1557) 302-304.
  40. Una copia della pianta di Giacomo Fontana del 1569 è presso il museo della città di Ancona, in piazza del Plebiscito. La pianta di Ancona di Francesco Paolo De Giardinis del 1745, non troppo dissimile da quella del Fontana, è stata pubblicata e commentata da Vincenzo Pirani; per la chiesa di San Nicola cf. Pirani (1991) 63.
  41. Cf. Pirani (1998) 146-148.
  42. Sul soggiorno di Amato a Roma cf. in dettaglio Andreoni-Fortuna (2019), in cui sono trattati anche i viaggi a Firenze e a Venezia.
  43. Cf. ASAN, Consigli 40-44, che conserva le delibere prese dal consiglio di Ancona negli anni 1547-1555, con cui sono assegnate le condotte annuali ai medici e chirurghi della città. Tra questi non compare mai il nome di Amato, mentre ce ne sono alcuni citati nelle Centurie; cf. Morroni (1994) 122.
  44. Cf. supra, n. 11.
  45. Amato Lusitano (1557) III 74, 465.
  46. Amato Lusitano (1557) IV 2, 285.
  47. Amato Lusitano (1557) I 83, 177; II 18, 236; IV 16, 535 (Costantinopoli); I 91, 185 (Salonicco); III 65, 446 (Edirne); Amato Lusitano (1560) V 56, 87 (mercante ligure che viene da Alessandria).
  48. Amato Lusitano (1560) V 4, 11; V 24, 51 (Anversa); anche V 43, 79 (mercante veneto che viene da Anversa); V 61, 93 (mercante fiorentino che viene da Anversa).
  49. Amato Lusitano (1557) I 92, 190 (Ragusa); III 72, 459; IV 5, 519 (Valona); I 97, 200 (Antivari).
  50. Amato Lusitano (1557) III 52, 434; Amato Lusitano (1560) V 49, 82; V 61, 93; V 62, 94-95 (Firenze); Amato Lusitano (1557) IV 54, 593 (Lucca); III 62, 443-444; Amato Lusitano (1560) V 43, 79 (Venezia); Amato Lusitano (1557) IV 54, 593 (Padova); IV 15, 535; IV 22, 546; Amato Lusitano (1560) V 44, 79 (Bergamo); V 33, 70 (Milano); Amato Lusitano (1557) II 45, 288; Amato Lusitano (1560) V 5, 19 (Napoli); Amato Lusitano (1557) III 88, 485 (Bari).
  51. Amato Lusitano (1560) 97; cf. Leoni (2011) II 1223.
  52. L’isola di Terranova è citata anche in Amato Lusitano (1560) V 10, 31.
  53. Amato Lusitano (1557) IV 23, 553.
  54. Amato Lusitano (1557) I 91, 189.
  55. Cf. Leoni (2011) in particolare I 315-317; Andreoni (2012).
  56. Su Giacoma Ciocchi del Monte cf. Amato Lusitano (1557) II 1, 207-214; su Vincenzo De Nobili cf. in particolare Amato Lusitano (1557) II 31, 254-261 e IV 44, 578-581; il papa Giulio III è citato in Amato Lusitano (1560) V 29, 65.
  57. Amato Lusitano (1557) 254.
  58. Amato Lusitano (1557) 247.
  59. Sul Giuramento cf. soltanto Friedenwald (1937) 640.
  60. Toaff (1986) 219; cf. supra, n. 5.

 

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