Ho conosciuto un bambino che era sette bambini. Abitava a Roma, si chiamava Paolo e suo padre era un tranviere. Però abitava anche a Parigi, si chiamava Jean e suo padre lavorava in una fabbrica di automobili. Però abitava anche a Berlino, e lassù si chiamava Kurt, e suo padre era un professore di violoncello.
Però abitava anche a Mosca, si chiamava Juri, come Gagarin, e suo padre faceva il muratore e studiava matematica. Però abitava anche a Nuova York, si chiamava Jimmy e suo padre aveva un distributore di benzina.
Quanti ne ho detti? Cinque. Ne mancano due: uno si chiamava Ciù, viveva a Shanghai e suo padre era un pescatore; l’ultimo si chiamava Pablo, viveva a Buenos Aires e suo padre faceva l’imbianchino.
Paolo, Jean, Kurt, Juri, Jimmy, Ciù e Pablo erano sette, ma erano sempre lo stesso bambino che aveva otto anni, sapeva già leggere e scrivere e andava in bicicletta senza appoggiare le mani sul manubrio.
Paolo era bruno, Jean biondo, e Kurt castano, ma erano lo stesso bambino. Juri aveva la pelle bianca, Ciù la pelle gialla, ma erano lo stesso bambino. Pablo andava al cinema in spagnolo e Jimmy in inglese, ma erano lo stesso bambino, e ridevano nella stessa lingua. Ora sono cresciuti tutti e sette, e non potranno più farsi la guerra, perché tutti e sette sono un solo uomo.
(da Favole al telefono, di Gianni Rodari)
Questi appunti muovono da alcuni elementi di riflessione già esposti in precedenza (*), incentrati sul tema della tolleranza e sul proposito di spingersi oltre questo obiettivo minimo, seguendo un richiamo radicale alla dimensione non identitaria dell’umano e un approccio relativizzante delle culture.
Alla luce dei recenti episodi di follia terroristica sembra delinearsi un trend rispetto al quale già il “tollerare” l’alterità evitando l’esplosione di manifestazioni distruttive potrebbe apparire un traguardo provvisoriamente più che desiderabile, accogliendo magari l’invito di Lorenz a “ridirezionare” le pulsioni del Thanatos verso oggetti diversi e scopi umanamente non catastrofici, come per esempio l’agonismo sportivo, o l’”accanimento” nello studio e nella ricerca scientifica, o ancora la “violenza” condivisa delle passioni amorose, tutte fenomenologie in cui l’aggressività risulta incanalata verso finalità non deleterie, anzi spesso portatrici di bellezza, di promozione personale e sociale.
Eppure anche in un quadro di diffidenza e di paura diffusa può emergere un approccio in grado di concepire ogni essere umano nella sua valenza originaria di “non identità”, cioè di appartenenza ad una comune e più intima dimensione antropologica, primaria in quanto antecedente rispetto ad una sua identificazione con i linguaggi delle multiformi oggettivazioni sociali (appartenenze esclusive, status e ruoli istituzionalizzati, imperativi sistemici, ritualità prescrittive e così via…).
E’ questo il senso della sfida antropologica. Chiaramente più difficoltosa, quasi improbabile, se riferita a individui e gruppi già pesantemente socializzati; a maggior ragione se le culture di riferimento risultano impermeabili al dialogo. Ma altrettanto necessariamente praticabile, soprattutto nei confronti delle nuove generazioni. A partire dalla prima infanzia, in cui la mente assorbe attivamente le stimolazioni ambientali, e forma i primi schemi cognitivi di rappresentazione del mondo. E’ lì che è possibile costituire configurazioni fondate sul senso della cooperazione e della solidarietà, su competenze di elaborazione e di gestione delle situazioni conflittuali, su uno stile improntato all’attenzione per l’altro e alla cura.
I bambini sono tutti uguali, gli stessi bisogni elementari, la stessa “curiosità della ricerca”, il medesimo senso del gioco. Li differenziano i linguaggi sociali, le parole elementari che hanno appreso sin dai primi anni di vita, la mano adulta che li ha condotti durante i primi passi. Così come espresso in modo semplice e suggestivo da Gianni Rodari in una delle sue Favole al telefono, edita successivamente sotto forma di albo illustrato, in cui sono presentati sette bambini (ma in realtà potrebbero essere milioni), ciascuno dei quali appartenente a forme sociali di vita lontane tra loro, diversi “fenotipi” culturali che esprimono un unico genoma, un solo uomo. In modo tale da non rendere neanche più pensabile che, una volta divenuti adulti, possano “farsi la guerra”. Sarebbe come commettere una violenza contro se stessi, contro la propria stessa umanità.
C’è anche un altro testo, impresso nei nostri ricordi d’infanzia, un libro di lettura delle scuole elementari, il cui autore, non a caso, è il maestro Manzi. Un invito a pensare che “non è mai troppo tardi” per coltivare “sogni pedagogici”, utopie forse. Sulla copertina una bandiera trasparente, quasi a significare che i colori impallidiscono di fronte ad una struttura e a una normatività umana che, ancor prima di ogni rappresentazione simbolica, e di ogni connotazione politica o economica, è essenzialmente biologica e psichica e accomuna tutte le umanità. I colori delle bandiere potranno così costituire semplici indicatori di percorsi comuni, rappresentazioni iconiche di narrazioni condivise.
In un’ottica più elevata: narrazioni da condividere.
(*) Si vedano i due contributi citati in bibliografia
Riferimenti bibliografici
[1] Fromm E., Anima e società, Mondadori, Milano 1996
[2] Crespi F., Contro l’aldilà, il Mulino, Bologna 2008
[3] Crespi F., Imparare ad esistere. Nuovi fondamenti della solidarietà sociale, Donzelli, Roma 1994
[4] Remotti F., Contro l’identità, Laterza, Roma-Bari 2007
[5] Bauman Z., Paura liquida, Laterza, Roma-Bari 2008
[6] Lorenz K., L’aggressività, Il Saggiatore, Milano 2008
[7] Anolli L., La mente multiculturale, Laterza, Roma-Bari 2006
[8] Montessori M., La mente del bambino, Garzanti, Milano 195
[9] Rodari G., Favole al telefono, Einaudi, Torino 1962
[10] Rodari G., Uno e 7, Edizioni EL, San Dorligo della Valle (TS) 2004 (testo tratto da Favole al telefono)
[11] Manzi A., Il mondo è la mia patria (corso di letture per le 5 classi della scuola elementare), AVE, Roma 1966
[12] Grilli M., La sfida antropologica. Oltre la tolleranza, in C.Clemente e P.P.Guzzo (a cura di) Sistemi sociosanitari regionali tra innovazioni e spendibilità. Esperienze e ricerche, (Quaderni Cirpas, Vol. n.24, Università di Bari) , Cacucci, Bari 2013
[13] Grilli M., Il peso delle parole, in Lettere dalla Facoltà n. 6-7-8, 2009
[14] Battaglia D., Il sogno pedagogico, in Lettere dalla Facoltà n. 12, 2009