L’imaging in Reumatologia

Walter Grassi, Rossella De Angelis
Clinica Reumatologica, Scuola di Specializzazione in Reumatologia
Università Politecnica delle Marche, Ancona
walter.grassi@univpm.it

A “picture” is worth a thousand experiments.
W.Gibson. Nature Medicine, 2: 1193-4, 1996

A partire dagli anni ’80 le continue innovazioni nel campo della diagnostica per immagini hanno rivoluzionato la semeiotica e la diagnosi delle malattie dell’apparato locomotore.  Il reumatologo deve possedere solide basi di conoscenza in materia di imaging e, nel suo percorso formativo, deve dimostrare di saper riconoscere ed interpretare correttamente i quadri radiografici, scintigrafici, tomografici e di risonanza magnetica inerenti le malattie reumatiche. A ciò si deve aggiungere la capacità di saper gestire autonomamente ecografia e capillaroscopia a livello esecutivo ed interpretativo. Queste due metodiche di imaging fanno ormai parte dell’armamentario diagnostico del reumatologo per il loro indiscutibile valore diagnostico.

Ecografia
L’ecografia è una tecnica non invasiva, che consente una valutazione accurata delle caratteristiche morfostrutturali dei tessuti molli, della cartilagine articolare e dell’integrità della superficie ossea a un livello di risoluzione (<0.1 mm) superiore rispetto alle altre metodiche di imaging. Tali caratteristiche ne consentono un utile impiego nell’inquadramento diagnostico di un’ampia gamma di malattie e sindromi di interesse reumatologico.  Ma i vantaggi dell’ecografia non si limitano al solo potenziale diagnostico. La sua efficacia nel consentire un’accurata definizione del substrato anatomico dei sintomi permette di localizzare con estrema precisione espressioni anche minime di processi di tipo flogistico e/o degenerativo a carico di articolazioni, tendini, borse sierose, muscoli, nervi periferici, cute e altri distretti (ghiandole salivari, parotidi, vasi sanguigni, ad es.).

Fra le indicazioni dell’ecografia figurano anche il monitoraggio dell’evoluzione della malattia (nelle artriti croniche, ad es.), la valutazione della risposta al trattamento, il controllo di procedure invasive (artrocentesi, terapia loco-regionale e biopsie eco-guidate), la definizione delle indicazioni al trattamento chirurgico (1, 2).

Un corretto approccio integrato clinico-ecografico nei pazienti con sindromi dolorose distrettuali permette di evitare in molti casi il ricorso alla radiologia tradizionale e alle altre metodiche di imaging, che comportano tempi di attesa spesso rilevanti, costi non trascurabili, nonché l’esposizione a radiazioni ionizzanti.  Se a ciò si aggiungono il basso costo operativo, la non invasività e la agevole ripetibilità, ben si comprende come oggi l’indagine ecografica sia diventata uno strumento irrinunciabile nell’inquadramento del malato reumatico. Il principale limite dell’ecografia consiste nel fatto di essere una metodica “operatore-dipendente”. Per alcuni distretti, inoltre (articolazione coxo-femorale, ad es.), l’esplorazione delle superfici articolari può risultare particolarmente limitata per la mancanza di adeguate finestre acustiche. Proprio per il suo carattere di metodica “operatore-dipendente” l’impiego dell’ecografia in campo reumatologico non può prescindere da una approfondita conoscenza dei lineamenti anatomo-clinici delle diverse malattie reumatiche e si configura pertanto, per tale motivo, come metodica destinata alla diretta gestione da parte del reumatologo, poiché i quadri ecografici trovano la loro piena valorizzazione solo se calati nello specifico scenario clinico.

Articolazioni
L’ecografia consente un’esplorazione multiplanare rapida ed accurata delle grandi e piccole articolazioni. La distensione della capsula articolare rappresenta una delle anomalie più precoci in corso di sinovite. Le caratteristiche ecostrutturali del contenuto della capsula forniscono utili indicazioni in merito alla natura ed allo stadio evolutivo della flogosi. L’omogenea anecogenicità del liquido sinoviale è espressione di sinovite essudativa, mentre l’ipertrofia sinoviale si manifesta con l’ispessimento e/o l’irregolarità del profilo della capsula e con vegetazioni alquanto eterogenee per forma e distribuzione (3). La presenza di segnale Doppler all’interno delle aree di ipertrofia sinoviale è espressione di attività del processo infiammatorio (Fig. 1A). Le caratteristiche ecostrutturali del contenuto della capsula articolare possono risultare utili ai fini diagnostici. Nei pazienti con artropatie da microcristalli (gotta, condrocalcinosi) si osservano spot iperecogeni mobili nel contesto del liquido sinoviale, indicativi della presenza di aggregati di cristalli (Fig. 1 C e D) (4). Nell’artrite settica, il liquido sinoviale presenta una fine ed omogenea granulazione ecogena.

Anche se l’osso costituisce una barriera insormontabile alla progressione del fascio ultrasonoro, l’ecografia risulta particolarmente preziosa per valutarne l’integrità ed individuarne soluzioni anche minime di continuità, con una sensibilità nettamente superiore rispetto a quella dell’esame radiologico “convenzionale”. Il profilo dei capi ossei è agevolmente riconoscibile come una linea omogeneamente iperecogena ed erosioni nell’ordine del decimo di millimetro possono essere facilmente identificate con l’impiego di sonde ad elevata frequenza. La precoce individuazione del danno erosivo riveste una intuitiva rilevanza anche ai fini della definizione della più opportuna strategia di trattamento (Fig. 1B).

L’ecografia permette inoltre una dettagliata valutazione delle caratteristiche morfostrutturali della cartilagine di rivestimento dei capi articolari, che appare come una banda omogeneamente ipo-anecogena (3). I margini osteocondrale e condro-sinoviale sono ben definiti e ciò rende agevole lo studio della progressione del danno cartilagineo (Fig. 2).

Specie nelle fasi di esordio di malattia, l’ecografia può consentire una stadiazione del processo flogistico e/o degenerativo a carico dei tessuti molli, con rilevanti potenziali applicazioni nel monitoraggio dell’ efficacia della terapia.

Tendini
L’ecografia può essere considerata la metodica di elezione per lo studio dei tendini, le cui caratteristiche morfologiche e strutturali risultano facilmente valutabili (5). I tendini si caratterizzano per il decorso parallelo rispetto alla superficie cutanea e per la tipica ecostruttura “fibrillare” nelle scansioni longitudinali (limitatamente alle porzioni del tendine perpendicolari al fascio ultrasonoro). L’aspetto “fibrillare” è generato dai setti connettivali intratendinei, che appaiono come sottili linee ecogene strettamente ravvicinate, con interposte ancor più sottili linee anecogene (Fig. 1 E). I margini tendinei sono regolari e nettamente definiti rispetto ai tessuti circostanti.

La distensione della guaina tendinea (Fig. 1 F), la perdita della normale ecostruttura “fibrillare” del tendine, la perdita di definizione dei margini tendinei sono le anomalie che caratterizzano le tendiniti e le tenosinoviti acute e croniche. A livello dei tendini non provvisti di guaina, la principale espressione di flogosi consiste in un ispessimento del tendine, che si associa con quadri diversi di alterata ecogenicità, in rapporto alla durata della flogosi, alla sede interessata ed alle caratteristiche anatomiche intrinseche del tendine. Nei processi di flogosi di recente insorgenza si osserva in genere una riduzione diffusa dell’ecogenicità del tendine riconducibile all’edema intratendineo. La riduzione di ecogenicità si estende non di rado anche a livello dei tessuti molli peritendinei.

Specie in corrispondenza del tendine di Achille possono riscontrarsi quadri di peritendinite diffusa con edema del peritenonio e dei tessuti molli circostanti. Nei pazienti con ipercolesterolemia familiare si possono rilevare quadri di tendinopatia conclamata (estese e disomogenee alterazioni della ecogenicità, calcificazioni intratendinee). Nelle tendinopatie croniche sono di frequente riscontro espressioni diverse di rottura tendinea, in rapporto all’entità, all’estensione ed alla durata della lesione. Le rotture iniziali circoscritte danno luogo a quadri di minima frammentazione di piccoli gruppi di fibrille, che determinano una perdita della caratteristica ecostruttura “fibrillare” ed una soluzione di continuità del profilo del tendine. Con l’evolvere del processo si osserva la comparsa di irregolari aree anecogene che costituiscono l’espressione di una frammentazione delle fibre collagene. L’anecogenicità può essere legata alla presenza, in corrispondenza di tali aree, di liquido sinoviale, di sangue o di tessuto adiposo. L’uso del color-Doppler e del power-Doppler consente una accurata analisi della perfusione tessutale che risulta preziosa per la individuazione delle aree di flogosi attiva e per il monitoraggio della terapia.

Borse sierose
Le borse appaiono come sottili aree ipoecogene con margini ben definiti. Quando la quantità di liquido sinoviale è minima (come, ad esempio, a livello della borsa subacromion-deltoidea), le pareti della borsa entrano in reciproco contatto, dando luogo ad una sottile ed omogenea banda ecogena interposta tra tessuti contigui (tendine del sovraspinoso e muscolo deltoide). In corso di flogosi, le borse sierose diventano agevolmente visualizzabili per l’aumento della quantità di liquido sinoviale, che può risultare tale da determinarne una distensione particolarmente marcata. Analogamente a quanto già riportato per le artriti e le tenosinoviti, le caratteristiche ecostrutturali del contenuto della borsa consentono di differenziare le forme di flogosi con componente essudativa dominante da quelle con componente proliferativa più marcata, che indicano la cronicizzazione del processo flogistico. L’entità della distensione della borsa non sempre si correla con l’intensità della sintomatologia dolorosa.

Nervi periferici
I nervi periferici presentano una ecostruttura “fascicolare” caratterizzata da echi lineari paralleli ben documentabili nelle scansioni longitudinali, corrispondenti ai fasci connettivali interni. Gli elementi che ne consentono la differenziazione rispetto all’ecostruttura “fibrillare” del tendine sono la prevalente anecogenicità dello sfondo e l’aspetto irregolare delle fibre del connettivo, che appaiono nettamente più discontinue rispetto a quelle dei tendini, e l’elevata ecogenicità dell’epinevrio che consente il riconoscimento dei nervi, rispetto ai tessuti circostanti.

Nei pazienti con sindrome del tunnel carpale, le caratteristiche morfologiche ed ecostrutturali del nervo mediano forniscono informazioni di sicura utilità per il clinico, in quanto consentono di documentare la presenza di alterazioni di tipo diverso (riduzione di spessore del nervo, compressione diretta da parte di strutture anatomiche adiacenti, ecc.).

Muscoli
Il tessuto muscolare presenta una caratteristica ecostruttura ipoecogena interrotta dai tralci connettivali ecogeni di diverso spessore, morfologia ed orientamento in rapporto al tipo di scansione eseguita ed alle caratteristiche anatomiche intrinseche del muscolo. Le caratteristiche ecostrutturali del muscolo si modificano in fase di contrazione per il diverso allineamento dei setti connettivali intramuscolari. Nelle miositi si registra un incremento volumetrico del muscolo con una riduzione dell’ecogenicità direttamente proporzionale all’entità dell’edema infiammatorio. Gli ematomi muscolari (post-traumatici, in corso di terapia anticoagulante) presentano un aspetto che varia in rapporto al tempo intercorso tra la loro iniziale comparsa e l’indagine ecografica (l’ecogenicità tende progressivamente ad aumentare). La diagnosi differenziale va posta nei confronti degli ascessi, delle cisti muscolari, dei tumori benigni e maligni e delle lesioni vascolari (varici, aneurismi). L’ecogenicità dei muscoli aumenta in condizioni di atrofia.

L’ecografia consente inoltre lo studio di numerosi altri distretti quali cute, vasi sanguigni, ghiandole salivari,  anche se, nella pratica clinica quotidiana, sono le articolazioni ed i tendini le sedi più spesso esplorate.

Capillaroscopia
La capillaroscopia è una tecnica non invasiva per lo studio “in vivo” del microcircolo. Il suo impiego in campo clinico risale all’inizio del secolo, anche se solo negli anni ‘80 la capillaroscopia ha conquistato un ruolo di primo piano per le sue applicazioni nella diagnosi precoce della sclerosi sistemica e degli “scleroderma spectrum disorders”.

Le caratteristiche espressioni della microangiopatia sclerodermica, infatti, sono agevolmente riconoscibili a livello dei capillari del vallo ungueale anche in uno stadio nel quale la malattia è ancora oligosintomatica e si manifesta esclusivamente con un fenomeno di Raynaud apparentemente isolato. La capillaroscopia periunguale e la ricerca degli anticorpi anti-nucleo sono le indagini di elezione che andrebbero preliminarmente eseguite in tutti i soggetti con fenomeno di Raynaud (6).

Significative anomalie capillaroscopiche sono rilevabili nell’80-100% dei casi di sclerosi sistemica. Le espressioni capillaroscopiche della microangiopatia sclerodermica sono di vario tipo e possono coesistere o manifestarsi isolatamente.

Lo studio in “vivo” del microcircolo nei pazienti con malattie e sindromi di interesse reumatologico viene effettuato generalmente a livello della cute periungueale, dove è possibile visualizzare i capillari disposti parallelamente rispetto al piano di osservazione,  ma può essere esteso anche a livello degli altri distretti cutanei. A livello della cute non periungueale la disposizione dei capillari è diversa, dal momento che le papille dermiche sono perpendicolari rispetto alla superficie cutanea e i capillari mostrano pertanto un caratteristico aspetto «a virgola», all’interno delle singole papille. Nella pratica clinica lo studio capillaroscopico a livello di cute non periungueale viene prevalentemente riservata alla valutazione delle ulcerazioni cutanee in corso di connettiviti o vasculiti soprattutto per stabilire la risposta alla terapia.

Altre sedi a livelle delle quali è possibile effettuare uno studio in vivo del microcircolo sono la mucosa labiale e la congiuntiva. La capillaroscopia congiuntivale ha trovato applicazione prevalentemente in ambito angiologico mentre quella della mucosa orale ha una potenziale utilità nello studio della microangiopatia sclerodermica in soggetti con ridotta trasparenza cutanea.

La capillaroscopia periungueale può essere effettuata con strumenti di vario tipo (oftalmoscopio, stereomicroscopio, dispositivi di macrofotografia) (6). Nella pratica clinica, lo studio “in vivo” del microcircolo si effettua, per lo più, con l’impiego di videomicroscopi con sonde ottiche a contatto. Sulla superficie cutanea da esaminare viene applicata una goccia di olio di cedro o di un comune gel disinfettante per le mani.

L’esame capillaroscopico periungueale dovrebbe essere effettuato a livello di tutte le dita, dal momento che le alterazioni  morfologiche dei capillari possono risultare circoscritte nelle fasi iniziali di malattia. In un paziente con fenomeno di Raynaud clinicamente isolato, ad es., la presenza di espressioni caratteristiche della microangiopatia sclerodermica (anche a livello di un solo dito) riveste un rilevante valore diagnostico e giustifica ulteriori indagini “mirate” ed un vigile monitoraggio clinico.

Le migliori condizioni di visibilità dei capillari periungueali si rilevano generalmente a livello del quarto e quinto dito della mano non dominante, dove la cute presenta nella maggior parte dei casi un grado di trasparenza nettamente superiore rispetto, ad es., a quello del secondo e terzo dito della mano “dominante”

Lo studio “in vivo” dei capillari periungueali viene abitualmente effettuato con il paziente in posizione seduta o distesa, con il palmo della mano appoggiato sul piano di osservazione del capillaroscopio, mantenendo la massima immobilità. Il corretto posizionamento della mano rispetto al piano dell’obiettivo condiziona in modo determinante la qualità delle immagini. L’asse dell’obiettivo deve essere perpendicolare rispetto alla superficie cutanea da esaminare.

La temperatura ambiente e la temperatura cutanea andrebbero annotate prima di ogni indagine. Allo scopo di garantire la massima riproducibilità di osservazione, lo studio del microcircolo andrebbe effettuato dopo una fase di acclimatazione di durata variabile, in rapporto alle differenze tra temperatura esterna e temperatura ambiente. Fra i parametri da valutare all’indagine capillaroscopica figurano: trasparenza cutanea, visibilità del plesso venoso sub-papillare, struttura architettonica della rete microvasale, densità e distribuzione spaziale dei capillari, caratteristiche morfologiche delle anse, diametro del tratto afferente (o “arteriolare”), diametro del tratto efferente (o “venulare”), rapporto fra diametro del tratto afferente e diametro del tratto efferente, caratteristiche del flusso ematico.

Un aspetto fondamentale per un corretto approccio alla videomicroscopia con sonda ottica a contatto è quello di evitare di esercitare una pur minima pressione sui tessuti. L’operatore dovrebbe fare in modo che la sottile cupola trasparente che protegge l’obiettivo sfiori appena il sottile strato di olio di cedro applicato sulla zona da esaminare poiché ll flusso ematico all’interno dei capillari peringueali può arrestarsi anche a seguito di una pressione quasi insignificante.

Il quadro capillaroscopico nel soggetto sano
Nel soggetto sano i capillari periungueali presentano una distribuzione relativamente omogenea ed un aspetto “ad U rovesciata” o “a forcina di capelli”, con asse maggiore parallelo alla superficie cutanea (Fig. 3A). Questa particolare caratteristica è legata al fatto che le papille dermiche assumono un orientamento parallelo alla cute, in corrispondenza della plica ungueale.

Nel soggetto sano, le caratteristiche morfostrutturali del microcircolo periungueale tendono a mantenersi costanti nel tempo, anche se la morfologia dei capillari e l’architettura della rete microvasale periungueale possono presentare un ampio grado di variabilità interindividuale, legata a numerosi fattori quali il terreno costituzionale, l’età, il sesso, la razza e fra le diverse dita dello stesso soggetto (Fig. 3B e C).

La presenza di isolate anomalie è tutt’altro che eccezionale. Il significato di tali anomalie non è sempre di agevole interpretazione, anche se in alcuni casi si può concretamente valorizzare la possibilità di un’influenza di fattori quali l’attività lavorativa, l’attività sportiva, il contatto con sostanze chimiche di tipo diverso, l’onicofagia, ecc. Fra le anomalie circoscritte più frequentemente rilevabili figurano tortuosità (Fig. 3D), ectasie omogenee, capillari neoformati e depositi di emosiderina

A livello periungueale, il numero di capillari è generalmente compreso tra 9 e 13 per millimetro. La visibilità del plesso venoso sub-papillare è subordinata al grado trasparenza cutanea. Il plesso venoso sub-papillare è visibile in circa un terzo dei soggetti sani ed appare come un reticolo a maglie ampie di vasi di maggior calibro rispetto ai capillari, con asse maggiore generalmente perpendicolare a quello di questi ultimi (7).

La lunghezza dei capillari periungueali è alquanto variabile e di misurazione non sempre agevole, essendo condizionata dal grado di trasparenza cutanea.

A livello dell’indice, i capillari appaiono più corti ed il plesso venoso sub-papillare si osserva solo in una esigua percentuale di soggetti. Al contrario, a livello del IV e V dito la lunghezza delle anse appare generalmente maggiore ed il plesso venoso sub-papillare è più spesso visibile (7).

Il tratto arterioso (o afferente) dell’ansa ha un diametro variabile tra 6 e 19 micron (valore medio: 11±3μ). Il diametro del tratto venoso (o efferente) è generalmente maggiore, 8-20 micron (valore medio: 12±3μ), con un rapporto tratto efferente: tratto afferente non superiore a 2:1 . I valori del diametro dei capillari corrispondono in realtà a quelli dello spessore della colonna ematica nei diversi tratti dell’ansa e, pur riflettendo con un accettabile grado di accuratezza le reali dimensioni dei microvasi, non comprendono lo spessore dello strato plasmatico periferico e quello della parete (6, 7).

Il quadro capillaroscopico nelle connettiviti
Anomalie capillaroscopiche di tipo diverso sono rilevabili in una ampia gamma di condizioni: sclerosi sistemica, connettivite indifferenziata, connettivite mista, dermato-polimiosite, lupus eritematoso sistemico, sindrome di Sjögren, fenomeno di Raynaud, acrocianosi, malattia da cloruro di vinile, diabete mellito, ipertensione, aterosclerosi.

La capillaroscopia periungueale si è imposta come la tecnica più valida per la precoce individuazione della microangiopatia sclerodermica e per la distinzione dei pazienti con fenomeno di Raynaud “primario” da quelli per i quali il fenomeno di Raynaud rientra nell’ambito delle proteiformi espressioni dei cosiddetti “scleroderma spectrum disorders”. La capillaroscopia periungueale può risultare utile, inoltre, nel monitoraggio dell’evoluzione delle microangiopatie e nella individuazione di “subset” di pazienti con sclerosi sistemica a diversa prognosi (8, 9).

La microangiopatia sclerodermica si manifesta con una ampia e variegata gamma di caratteristiche anomalie morfologiche: sovvertimento architettonico della rete microvasale periungueale (Fig. 3E), edema interstiziale, ectasie irregolari (Fig. 3F), megacapillari e ridotta densità vasale (Fig. 3G), aree avascolari (Fig. 3H), neoangiogenesi (capillari “a cespuglio”, “a gomitolo”, ecc.) (Fig. 3I).

Uno scompaginamento architettonico di grado variabile della rete microvasale periungueale costituisce una delle caratteristiche espressioni della microangiopatia sclerodermica. A determinare il disordine architettonico concorrono una variegata quantità di anomalie: alterazioni della distribuzione dei capillari, disomogeneità morfologica delle anse, decorso irregolare dei capillari, depositi di emosiderina (espressioni di pregressa necrosi capillare) ed irregolarità di decorso dei capillari stessi.

Le caratteristiche del disordine architettonico variano in rapporto con lo stadio evolutivo della microangiopatia. Nelle fasi precoci è caratteristico l’alternarsi di capillari normali con anse ectasiche, tortuose, disomogeneamente distribuite.

Negli stadi più avanzati della malattia le aree avascolari e l’anarchica neoangiogenesi accentuano ancor più il disordine architettonico, realizzando un quadro che può ritenersi caratteristico dello scleroderma pattern.

I gradi più marcati di sovvertimento architettonico della rete microvasale nella sclerosi sistemica si osservano soprattutto nelle forme più “aggressive” della microangiopatia sclerodermica, specie a livello delle aree con ridotta densità vasale.

Pur non rivestendo valore patognomonico (anche per la non agevole massa a punto di criteri standardizzati di definizione le espressioni di scompaginamento della rete microvasale osservabili nella sclerosi sistemica e negli scleroderma spectrum disorders raramente si osservano in altre affezioni pur contraddistinte da un esteso danno del microcircolo.

Le ectasie dei capillari sono espressioni tra le più precoci e caratteristiche della microangiopatia sclerodermica (10). In realtà le ectasie capillari costituiscono una espressione aspecifica di microangiopatia e possono manifestarsi in condizioni molto diverse sotto il profilo patogenetico (sclerosi sistemica, diabete mellito, acrocianosi, ecc.). Le peculiari caratteristiche morfologiche di tali anomalie rivestono un importante ruolo diagnostico-differenziale.

Sulla base del criterio morfologico le ectasie possono essere distinte in omogenee ed irregolari. In quest’ultimo caso l’aumento del diametro riguarda un tratto circoscritto del capillare (con aspetto di tipo micro-aneurismatico). Le ectasie omogenee di grado marcato (diametro >50μ) vengono spesso indicate con il termine di megacapillari.

Le ectasie rilevabili nei pazienti affetti da sclerosi sistemica sono per lo più di tipo irregolare mentre quelle che si osservano nel paziente diabetico sono per lo più omogenee ed interessano prevalentemente il tratto efferente (venulare) del capillare con un rapporto ansa efferente/ansa afferente spesso superiore 3:1. Nell’acrocianosi si registra un caratteristico incremento omogeneo del tratto efferente che spesso si estende all’intero capillare.

I megacapillari sono anse giganti omogeneamente ectasiche, talora visibili anche ad occhio nudo, potendo raggiungere un diametro superiore a 50 micron. Negli stadi precoci della sclerosi sistemica, le ectasie e i megacapillari possono costituire la più evidente anomalia capillaroscopica e, non raramente, precedono la comparsa delle altre anomalie caratteristiche dello scleroderma pattern (Fig. 4A).

Non è raro rilevare la presenza di anse ectasiche alla periferie di aree di consistente rarefazione del numero di capillari. Si può ipotizzare che la dilatazione dei capillari, analogamente al processo di angiogenesi possa costituire un tentativo di compenso nei confronti di un processo di ipossia critica (11). Una ectasia dei capillari determina infatti una aumento della superficie endoteliale. A supporto di questa ipotesi vi sarebbe anche il fatto che proprio a livello delle anse ectasiche si registra un marcato aumento della permeabilità vasale e delle diffusione interstiziale dei soluti (12).

I capillari dei pazienti sclerodermici hanno una “vita media” nettamente inferiore rispetto a quella dei soggetti “sani”. Le anse che presentano le anomalie morfologiche più spiccate tendono a scomparire più rapidamente. Le microemorragie si osservano più spesso a livello dei capillari ectasici (Fig. 4B), mentre le microtrombosi si manifestano soprattutto a carico dei piccoli capillari neoformati, che presentano spesso un diametro inferiore a dieci micron, un decorso tortuoso ed un flusso  rallentato delle emazie con fasi di arresto, talora prolungate. Non vi è un rapporto lineare tra entità della riduzione del numero dei capillari e durata della malattia. Una netta riduzione del numero dei capillari può essere documentabile nelle fasi di esordio clinico della malattia e può raggiungere anche livelli drammatici di estesa desertificazione vascolare rappresentando in questo caso un segno prognostico indiscutibilmente sfavorevole. Al contrario in soggetti con malattia esordita da anni possono non rilevarsi aree avascolari a livello periungueale. La presenza di aree avascolari (Fig. 4C) andrebbe ricercata in tutti pazienti con sclerosi sistemica, potendo tali aree rappresentare un marker delle varianti più aggressive della malattia. In alcuni pazienti, la comparsa di una rapida riduzione del numero di capillari può costituire la prima drammatica espressione di una sclerosi sistemica aggressiva e rapidamente evolutiva. In rapporto alla presenza o meno di aree avascolari si possono distinguere nella sclerosi sistemica due tipi diversi di pattern capillaroscopici che rivestono anche valore prognostico:

– “slow pattern”: ectasie capillari non associate alla presenza di aree avascolari. Lo “slow pattern” caratterizzerebbe un subset di pazienti con minor gravità di malattia, carattere bradievolutivo e presenza di anticorpi anti-centromero;

– “active pattern”: estesa perdita di capillari con scompaginamento architettonico avanzato ed ectasie capillari. Questo pattern si associa con un processo di attivo rimaneggiamento del microcircolo periungueale, caratterizzato dal prevalere della necrosi dei capillari sulla neoangiogenesi.

La neoformazione di capillari può essere considerata come una risposta alla progressiva devascolarizzazione, che caratterizza la sclerosi sistemica.

Il processo di angiogenesi si caratterizza in genere per la comparsa di aggregati di anse filiformi, che originano da un tronco vascolare comune.  I capillari neoformati hanno aspetto, dimensioni e distribuzione ampiamente variabile e sono in genere facilmente riconoscibili per il caratteristico aspetto arborescente (aggregati di capillari sottili, a decorso per lo più tortuoso e con elevato grado di eterogeneità morfologica) (Fig. 4D).

La presenza di un attivo processo di neoformazione vasale negli “scleroderma spectrum disorders” viene generalmente considerata come un tentativo di risposta riparativa per compensare la progressiva riduzione del numero dei capillari tipico della microangiopatia sclerodermica. La possibilità di considerare i capillari neoformati quali espressione di un “meccanismo di compenso” trova concreto supporto nel frequente riscontro di tali capillari nella immediata periferia di aree avascolari.

Aspetti di rigogliosa neoformazione vasale sono di osservazione frequente in pazienti con dermatomiosite e possono costituire, talora, l’anomalia capillaroscopica dominante. 

Conclusioni
Ecografia e capillaroscopia sono metodiche di inequivocabile valore nell’inquadramento clinico di una ampia e variegata gamma di malattie e sindromi di interesse reumatologico.  Purtroppo la loro diffusione risulta ancora limitata da molte barriere di tipo culturale, economico, tecnico ed interpretativo, tanto da risultare accessibili solo ad un quota limitata di pazienti.  E’ confortante però registrare un sempre maggiore impegno a livello nazionale ed internazionale da parte delle società scientifiche nella attuazione di programmi di formazione residenziale e a distanza, allo scopo di favorirne la diffusione fra i giovani reumatologi.

Bibliografia

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10) Grassi W, Medico PD, Izzo F, Cervini C. Microvascular involvement in systemic sclerosis: capillaroscopic findings. Semin Arthritis Rheum 2001; 30: 397-402.

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