Il contributo muove dalla definizione di “nativi digitali” coniata da Marc Prensky e riferita alle generazioni che hanno sperimentato le più recenti tecnologie come un dato naturale, sin dalla nascita e a livello della più iniziale socializzazione primaria. Si tratta di soggetti che manifestano una estrema familiarità nei confronti dell’utilizzo degli strumenti tecnologici di ultima generazione e delle procedure informatiche più avanzate, a differenza di chi, vissuto in epoche dominate dall’analogico, si affatica a riconvertire i propri schemi mentali per non rimanere escluso dalle pratiche sociali delle nuove reti.
In questo senso viene a determinarsi un evidente divario cognitivo, che si evidenzia anche negli ambiti di vita dell’istruzione formale, laddove spesso una parte dello stesso personale docente costituisce il soggetto maggiormente portatore di bisogni formativi di tipo avanzato.
D’altro canto, tuttavia, anche le competenze tecnologiche delle nuove generazioni si rivelano spesso ad un livello superficiale, limitato al mero utilizzo di procedure finalizzate a scopi immediati, per lo più di svago o intrattenimento.
A ciò si accompagna una forma mentis generalmente poco incline alla riflessività e al discorso sequenziale, tipica di un pensiero iconico coltivato dai nuovi media elettrici ed elettronici. In questo caso il divario si presenta di segno opposto, vale a dire nel senso di una contrapposizione tra la logica argomentativa dell’homo sapiens, in grado di ricercare con consapevolezza la spiegazione dei fenomeni e dei fatti, e quella sintetica, fondata sulla primazia delle immagini, di per sé priva di potenzialità esplicative.
Una possibile conciliazione è da ricercarsi tuttavia in una prospettiva di mediazione, o “rimediazione” (evitando contrapposizioni del tipo apocalittici vs integrati) in grado di implementare con il giusto equilibrio entrambe le modalità cognitive, in un rapporto a“somma positiva” che possa escludere l’erosione del logos ad opera del visuale, come denunciato da Sartori.
Si evidenziano inoltre possibili note critiche riguardo a una generalizzazione estensiva di questa discontinuità generazionale. Studi recenti rivelano infatti modalità relazionali e di approccio verso le nuove applicazioni tecnologiche commerciali differenziate a seconda dell’appartenenza a ceti sociali diversi, evidenziandosi, in alcuni casi di famiglie di professionisti, fenomenologie improntate a continuità di interessi e di linguaggi tra genitori e figli in età adolescenziale che meritano attenzione ed eventuali ulteriori verifiche comparative.
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