Maurizio Mercuri
Corso di Laurea in Infermieristica
Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università Politecnica delle Marche
Come afferma Boella: “tutto inizia con l’apparizione di un essere, che impone ai miei movimenti verso di lui o di lei il limite e la legge dell’esistenza di un altro nello spazio del mondo in cui vivo. L’emozione dell’incontro è questo: lo sconvolgimento, lo stupore, la sorpresa, derivanti dal nascere di una ricerca destata dall’apparizione dell’altro. (…) Vivere l’emozione dell’incontro vuol dire scoprirsi di colpo dentro la relazione. L’interdipendenza tra me e l’altro ne rappresenta il cuore di carne, che non posso governare con gli strumenti consueti della percezione, della vista, del tatto e dell’udito o dell’accumulo di dati, di informazioni”.[1] Tutti iniziamo a dare significato al nostre essere nati esseri umani individui e sessuati scoprendoci in relazione gli uni con gli altri. E il corpo gioca un ruolo importante nella intersoggettività sin dalla sua formazione, come corpo visibile, nella sua dimensione spazio-temporale, e come corpo invisibile, sua immagine inconscia che si è venuta a creare con gli scambi relazionali sin dalla più tenera età.[2]
La relazione intersoggettiva che attraversa il corpo passa per l’empatia che “è l’atto attraverso cui ci rendiamo conto che un altro, un’altra, è soggetto di esperienza come lo siamo noi: vive sentimenti ed emozioni, compie atti volitivi e cognitivi. Capire quel che sente, vuole e pensa l’altro è elemento essenziale della convivenza umana nei suoi aspetti sociali, politici e morali. E’ la prova che la condizione umana è una condizione di pluralità: non l’Uomo, ma uomini e donne abitano la terra”.[3] L’empatia non è simpatia o compassione, gioire o soffrire insieme, partecipare emotivamente alle sorti dell’altro. Ha a che fare anche con questo, ma è essenzialmente la capacità specifica di sentire l’altro, di per sé una sfera complessa di esperienza, che è possibile riattivare.
Con Emmanuel Lévinas (1906-1995), pensatore della crisi dell’umanità,[4] autore dei “Quaderni di prigionia”,[5] spirito profetico dell’annuncio delle guerre tra religioni e tra territori, l’Altro è arrivato ad imporsi come “evento traumatico” che confuta qualsiasi pretesa del soggetto di avere una presa sulla realtà, di riconoscere e di riconoscersi.[6] E’ questo altro che ci impone obblighi assoluti. Conoscere l’altro significa conoscere un corpo e un’anima, un’interiorità che fa parte del mondo esterno a noi, oggetto e soggetto dotato di vita propria, esistente di per sé. Davanti a questo Altro che si impone, la cura non può essere che intenzionale, una pratica che ha luogo nell’ambito della relazione, che richiede un tempo lungo per costruirsi, che è attivata dall’interesse per l’altro, che si occupa di qualcosa di essenziale per l’altro. La cura mira a produrre benessere per l’altro e per questo acquisisce uno statuto etico.[7]
L’essenza del caring si declina con: il prestare attenzione; il sentirsi responsabile per l’altro; l’agire con delicatezza e tenerezza (sentirsi trattare con delicatezza significa sentirsi rispettati e il ricevere rispetto, necessario a farci sentire soggetti, aiuta a trovare la forza vitale per affrontare le difficoltà della malattia); l’avere fermezza e l’indignarsi di fronte all’incuria, di fronte alla negligenza; il coltivare una cura: è necessario interrogarsi continuamente sulla qualità del proprio agire, in rapporto a ogni specifica situazione. Tutte le persone hanno bisogno di attenzioni, i malati anche di più. E “non c’è dubbio che una medicina a mani nude, fatta di attenzione estrema e di tutti quei piccoli gesti che comunicano rispetto e tenerezza, sia una medicina preziosa”.[8] Quando il malato esprime la sua angoscia il vero professionista lo ascolta. Desta stupore come la maggior parte dei medici e degli infermieri non sappia né ascoltare né dialogare. Eppure la vulnerabilità ci accomuna, in quanto creature mortali.
Veniamo ora al prendersi cura di chi si prende cura. Una tematica non da poco, poiché innesca il germe della prossimità, della reciprocità e riconosce il valore supremo del prendersi cura dalle sue stesse radici. Risponde all’esigenza di aver cura dell’esperienza della cura, dell’essere presenza curante consapevole ed accudita. Il curante in situazione di cura deve garantire al soggetto preso in carico la possibilità dell’esperienza autentica della cura: chi è curato deve poter fare esperienza di ciò che sta vivendo. Il curante deve aver cura dell’esperienza di cura vissuta dai pazienti e dai curanti. Inoltre deve aver cura di sé per aver cura dell’esperienza della cura: è una pratica che richiede esercizio, disciplina, dedizione.[9] Di per sé non è pratica consolatoria, piuttosto costringe a togliersi dal flusso delle abitudini, ad accettare ed affrontare l’angoscia come elemento strutturale dell’esistenza. Fa vivere alle persone curate l’esperienza della ricerca di un senso profondo della vita promuovendo la loro cura di sé.
Considerando le fatiche delle organizzazioni attuali, si richiede uno sforzo di cura di sé anche ai professionisti della cura e ai responsabili delle organizzazioni la costruzione di ambienti veramente umani. Dalla cura sui nascono i presupposti e i contenuti della conoscenza di sé. Il socratico “conosci te stesso” diviene elemento per aver cura dell’esistenza, per imparare l’arte di esistere, per “avere una conoscenza sicura del vivere umanamente e politicamente” (Apologia di Socrate, 20b), per aver cura di sé (Alcibiade I, 128 a, 132 c) e dedizione e cura dell’anima immortale (Fedone, 107 c), per affrontare consapevolmente l’esercizio della cura di sé, e dei propri inevitabili errori e del governo di sé. E’ prioritariamente necessario conoscere se stessi per aver cura di sé: occorre educarsi ed educare ad aver cura, ad aprire orizzonti di ricerca sul sapere essenziale che è sapere dell’essere e del desiderio non scontato di dare all’essere spazio e senso al tempo della propria vita che l’essere manifesta. Ed è necessario attivare con la conoscenza di sé quelle pratiche trasformative quali le meditazioni, le memorie, le pratiche di consapevolezza e di esame di coscienza, lo sviluppo di una spiritualità come accesso all’orizzonte della verità che non è solo l’oggetto il cui accesso è dato per primo dall’intelletto, ma il contenuto di coscienza al quale si accede plasmando il proprio essere fino al punto di agire con verità, sulle vie dell’esistenza più che su quelle disciplinari, come ben studiate da Foucault[10] ed Hadot[11]. Questo impone un lavoro sul ben pensare e l’operazione sui pensieri che il soggetto produce aprendosi all’altro. La consapevolezza transita allora sulla presenza che cura, sulla ferma convinzione di aver cura anche dell’esperienza della cura, intesa e come possibilità di esperienza autentica e come assunzione su di sé delle problematicità intrinseche al progetto da realizzare per la parte che ci compete. Ciò vale per i rapporti interpersonali. E quando chi cura sta all’interno di processi ed organizzazioni più vaste, non possiamo non ricordare a chi ha ruoli politici o dirigenziali che lo spazio pubblico viene a occupato da questioni che hanno a che fare sempre più con le regole che con i soggetti, anzi il valore dei soggetti viene definito dai dispositivi che li organizzano. Non ci si può interrompere dall’interpellare e chiedere, e chiedersi, che cosa e come i luoghi di cura consentano a chi cura ed è curato di imparare dall’esperienza vissuta.[12] In questa epoca di disorientamento, la cura sui diventa la richiesta di costituirsi come nuclei di resistenza e centri di forza per mantenere il carattere contro la deriva del non senso che ci omologa in serie davanti alla presenza del nuovo fenotipo in cui la componente morale è ormai definitivamente sfaldata.[13] Come dice Natoli, “il tema delle virtù è rifluito e si è dissolto nella rivendicazione dei diritti, nella richiesta di tutele, nell’ampliamento degli spazi di libertà, ove l’attenzione a sé è lasciata ai singoli e non ha alcuna sostanziale incidenza nella virtù pubblica, presa nel suo complesso. La virtù come cura di sé e coltivazione della propria eccellenza va sfumando sullo sfondo e resta – quando resta – una questione privata. La società chiede solo prestazioni. Poco importa se virtuose o meno; ciò che è importante è l’efficienza. In questo caso far bene equivale ad essere conformi alle regole previste. E, come è noto, si è tanto più efficienti quanto meno si sollevano questioni di valori. Peraltro, questo è il modo per ottenere riconoscimento sociale, per avanzare nelle carriere, quando si avanza”.[14] E se ogni atto umano è un vaso di responsabilità infinita,[15] chi ha cura di sé non può non proporla anche come progetto educativo, come processo di formazione continua.[16] Per questo è nostra cura come formatori in ambito sanitario avere a cuore la formazione complessiva dello studente, anche quella del carattere e delle sue virtù.
Un filosofo rumeno, vissuto in isolamento sotto il regime di Ceaucescu, Dinu Noica,[17] ha individuato per l’essere umano, ente debole ed instabile, sei malattie costituzionali dello spirito. Queste malattie riguardano tutte la sofferenza che gli individui provano di fronte alla perdita del senso generale o al contrario allo sperimentare e conoscere essenze generali, non di singole realtà. I mali dello spirito si introducono come difetti di determinazione adeguate di sé, come tormento ed esasperazione di non poter agire in accordo col proprio pensiero. Le sei malattie dello spirito sono dovute alla carenza o al rifiuto dell’uomo o alla inadeguatezza delle cose rispetto ad uno dei termini dell’essere: il generale, l’individuale e le determinazioni di questi.
Sono certo che gli studenti di discipline mediche e sanitarie non dovrebbero temere queste malattie dello spirito tipiche di questo secolo:
– essi dovrebbero essere educati a non perdere di vista il senso generale delle cose: curare e prendersi cura delle altre persone è insito nel percorso che dovrebbe confermare le loro scelte. Lo faranno con decisione, spirito di sacrificio e giustizia. Lo faranno in un’ottica di sapere per meglio agire, di ricercare per meglio spendere ed organizzare, per meglio curare. Classificheranno, diagnosticheranno, pianificheranno. Avranno rispetto della vita in tutte le sue forme, crederanno nei valori umani e si applicheranno perché non si disperdano;
– essi dovrebbero essere educati a non perdete di vista l’individuo. Essi cureranno quella persona precisa, con nome e cognome, con una storia, con una sua narrazione. Avranno il piacere, o a volte solo la volontà o la caparbietà, di stare accanto ad un bimbo, ad un adulto, ad un anziano, per lenire la tristezza inconsolabile dell’inabile, dello spegnersi di una esistenza individuale. A questi giovani professionisti della salute spetterà di coltivare un’etica della pietà, un’etica del rispetto, un’etica dell’ascolto, un’etica del silenzio, un’etica della durata nell’aver cura;
– ad essi non dovrebbe mancare di forgiare la loro personalità, il loro carattere, il lor tempo in scelte e decisioni che hanno più di altre ricadute sulle vite dei nostri simili. Da loro e dalle loro determinazioni dipenderanno le buone pratiche, metodiche ed appropriate, e i loro esiti in termini di salute e qualità di vita dei loro e nostri assistiti.
Quante le responsabilità per noi formatori, non vi pare? Vorrei concludere questo intervento sulla cura di sé con degli auguri personali agli studenti e a questo punto parlo direttamente a voi:
– vi auguro di essere voi stessi sempre, autentici il più possibile, centrati sulla vostra vita interiore, che è l’energia e il motore delle vostre più belle azioni;
– vi auguro l’attenzione ai dettagli e la visione del futuro, per comporre il grande mosaico delle vostre vite;
– vi auguro l’espressione viva della vostra intelligenza, senza temere le critiche e le contraddizioni, anche se la vita non è logica e i nodi li scioglie sempre comunque;
– vi auguro il coraggio per scegliere secondo il bene ogni giorno, senza finzioni;
– vi auguro di testimoniare sempre le cose belle in cui credete, che di quelle brutte ce n’è abbastanza in giro;
– vi auguro di andare sempre oltre le vostre possibilità in modo generoso, con fermezza, per contrastare il clima diffuso di scadimento culturale;
– vi auguro l’esercizio della compassione e della gratitudine, la benedizione del perdono e quella dell’amore;
– vi auguro l’esercizio della vostra umanità per accogliere l’umanità di ciascun altro;
– vi auguro la felicità dell’esercizio professionale e le gioie della vita.
Ed un grazie: dell’energia della vostra giovinezza e del tratto di strada che stiamo percorrendo insieme. A tutti voi un brillante futuro professionale.
- Boella L, Sentire l’altro. Conoscere e praticare l’empatia, Raffaello Cortina Editore, Milano 2006, p. 31. ↑
- Manuzzi P, Parole come strade, in movimento. Note sulla pensabilità e dicibilità del corpo, in Manuzzi P (a cura di), Educare alla dimensione corporea della relazione nelle professioni educative e sanitarie, Edizioni ETS, Pisa, 2009, p. 40. ↑
- Boella, Sentire l’altro. Op. Cit., p. XII. ↑
- Casper B, Lévinas pensatore della crisi dell’umanità, tr. it. di L. Bonvicini, La Scuola, Brescia 2017. ↑
- Lévinas E, Quaderni di prigionia ed altri inediti, curatori vari, Bompiani, Milano 2011. ↑
- Lévinas E, L’enigma e il fenomeno, in La traccia dell’altro, a cura di Ciaramelli F, Pironti, Napoli 1979, pp. 51, 59. ↑
- Mortari L, Per una teoria del buon caring, in Mortari L, Saiani L, Gesti e pensieri di cura, McGraw-Hill, Milano 2013, pp. 21-49. ↑
- De Hennezel M, Prendersi cura degli altri. Pazienti, medici, infermieri e la sfida della malattia, Lindau, Torino 2008, p. 11. ↑
- Foucault M, L’ermeneutica del soggetto. Corso al College de France (1981-1982), tr. it. di M. Bertani, Feltrinelli, Milano 2003. ↑
- Foucault M, L’ermeneutica del soggetto. Corso al Collège de France 1980-82, tr. it. di M. Bertani, Feltrinelli, Milano 2003. ↑
- Hadot P, Esercizi spirituali e filosofia antica, tr. it. A. M. Marietti, A. Taglia, Eidauti, Torino 2005. ↑
- Zannini L, Le medical humanities nella formazione del lavoro di cura, Encyclopaideia XV (31), 20011: 77-90. ↑
- Benn G, Romanzo del Fenotipo. Frammento di Landsberg 1944, tr. it. di A. Valtolina, Adelphi, Milano 1998, p. 41. ↑
- Natoli S, L’edificazione di Sé. Istruzioni sulla vita interiore, Laterza 2010, p. 63. ↑
- Buber M, La mia via al Chassidismo, ricordi, in Storie e leggende chassidiche, a cura di A. Lavagetto Mondadori, Milano 2009. ↑
- Cambi F, La cura di sé come processo formativo Laterza, Bari-Roma 2010. ↑
- Noica D, Sei malattie dello spirito contemporaneo, tr. it. di M. Mocan, Carbonio Editore, Milano 2017. ↑