In questi lunghi mesi di pandemia da Covid-19, molti sono rimasti vittime del contagio che imperversa e delle sue conseguenze. Fra questi non poche le donne e gli uomini che, nell’assolvimento del loro ruolo sanitario e professionale, hanno contratto la malattia: infermieri, operatori socio sanitari, tecnici, medici, autisti, addetti ai servizi di pulizia, volontari e molti altri, ad ogni livello, costretti a pagare un pesante tributo. Scriverne, in termini storici, mentre ancora la pandemia è di la dall’essere superata, non è facile, ma può essere utile per sentirsi meno soli di fronte alle tragedie dell’oggi, lungo un cuntinuum che, in maniera più o meno costante, ritorna nella lunga storia dell’umanità, nella memoria profonda di specie. La stessa in cui, in un modo o nell’altro, si è cercato di fissare i protagonisti della lotta contro le malattie trasmissibili. Lo si è visto, ad esempio, nei drammatici mesi primaverili del 2020 quando gli atti di omaggio e sostegno nei confronti dei sanitari impegnati duramente, sono stati espressi in vario modo: murales, statue, riconoscimenti istituzionali, servizi televisivi e reportage fotografici. I social traboccanti di narrazioni e ringraziamenti di vario tipo. Si è giunti, addirittura, ad intitolare una edizione speciale dei biscotti del Mulino Bianco – gli Abbracci – per raccogliere fondi per l’iniziativa # Noi con gli infermieri, promossa dalla FNOPI. Tutte iniziative non nuove, come si è accennato, con molti riferimenti e tracce nella storia passata. Molte ancora presenti, tante altre da riscoprire. In questo lavoro ne verranno riportate alla luce – se così si può dire – due in particolare: una legata alla città di Genova, l’altra a Venezia.
Una delle vie del centrale quartiere di Portoria a Genova è dedicata a Sofia Lomellini, nobildonna vissuta nel XVII secolo morta giovanissima assieme alla sua amica Laura Violante Pinelli. Entrambe perirono durante la violenta peste che colpì la capitale della repubblica marinara fra il 1656 e il 1657. Le cronache del tempo parlano di un picco epidemico di decessi che vide, nell’estate del 1657, una media di circa 1000 morti al giorno, per un tempo di tre settimane consecutive. Numeri e situazioni che, purtroppo, risuonano di una attualità tremenda [1]. Le due giovani, discendenti di antiche e ricche famiglie genovesi, erano affiliate, già dalla tenera età, all’Arciconfraternita della Morte e dell’Orazione in San Donato, per la quale si fecero infermiere volontarie per andare ad assistere, quando scoppiò l’epidemia in città, gli infermi presso l’Ospedale degli Incurabili ( detto anche dei Cronici) [2]. Nel giro di poche settimane però le due perirono colpite dal male. A loro, e ad altri 86 confratelli, a ricordo del loro sacrificio, è posta una lapide, nella parte posteriore della Chiesa di San Donato. A ragione Sofia e Violante, assieme ai religiosi ricordati, possono essere considerate a tutti gli effetti delle operatrici sanitarie cadute nell’assolvere a funzioni di cura ed assistenza cui è dedicata, ad imperituro omaggio, una lapide ancora visibile. Dopo il capoluogo ligure, di più ampio respiro la parte riguardante Venezia città che, in tema di storiografia delle epidemie, ha molti richiami importanti. Già a partire dalla peste del XIV secolo viene profondamente colpita, registrando una numerosità di decessi fra le più alte della penisola. Se questa avrà una percentuale della mortalità attorno al 50% della popolazione, Venezia arriverà al 70% [3] (nella pandemia del XVII secolo si registreranno circa 50.000 vittime) [4]. Nella città lagunare Sabbatani [5] ricorda che il 30 marzo del 1348 venne istituita per la prima volta una Commissione Pubblica presieduta da “tre uomini saggi” i quali sovrintendevano alle questioni relative alla salute della collettività e dell’ambiente. La Commissione, in un primo tempo, era temporanea, legata unicamente, nella durata, al permanere della pandemia [6]. Una scelta che fu seguita da altre città lungo la penisola [7], fra cui si possono ricordare Milano (1379) e Firenze (1389) [5], e vennero creati appositi ospizi per accogliere gli appestati [8]. Proprio a Venezia ne sorgerà uno nell’anno 1403. Venti anni dopo il Consiglio stabilirà che la pratica della quarantena – messa in atto per la prima volta nella città dalmata di Ragusa – venga espletata nell’isola lagunare dove sorgeva il monastero agostiniano di santa Maria di Nazareth [9], noto con il soprannome di Lazzaretto Vecchio. Sul finire del XV secolo i tre nobili della Commissione di Sanità divennero stabilmente Provveditori di Sanità, con funzioni di controllo di molti elementi della vita pubblica e del commercio: dagli alimenti alla rete fognaria, dagli ospedali ai lazzaretti e alle funzioni di polizia mortuaria, dal controllo delle attività e dei prodotti delle farmacie ai mendicanti, ai medici, agli infermieri, fino alle prostitute [6].
Ecco, proprio quest’ultime, le prostitute, assumeranno un ruolo particolare nei momenti più drammatici delle epidemie: reclutate a forza per essere trasformate in infermiere nei lazzaretti stracolmi di pazienti. A fotografare questo indesiderato protagonismo c’è un artista d’eccezione: Jacopo Robusti, detto il Tintoretto, soprannome legato al mestiere del padre, tintore di stoffe [10], nella natia Venezia. L’artista attraverserà tutto il secolo XVI lasciando, con le sue opere, non solo dei capolavori dell’arte pittorica, ma delle vere e proprie testimonianze della vita tempo. Alcune di queste – quattro per la precisione – si trovano nel Presbiterio della Chiesa di San Rocco a Venezia, ed una in particolare, datata 1549 è intitolata: “San Rocco risana gli appestati”. L’ambientazione del quadro si svolge, non potrebbe essere altrimenti, all’interno di quello che sembra a tutti gli effetti un luogo di cura e di assistenza. L’opera ritrae il santo nell’atto di assistere un appestato, colto mentre tocca il costato del malato. Il gesto, un semplice tocco, sottolinea la natura del santo considerato un taumaturgo; figura con supposte capacità di guarire malati e lesioni di vario genere. Dei taumaturghi in generale ne parla il famoso storico francese Marc Bloch [11] in uno dei suoi più importanti lavori dal nome, appunto: “I re taumaturghi”. Bloch mette in rilievo una delle caratteristiche delle dinastie regnanti in Francia ed in Inghilterra che volevano i sovrani dotato di poteri guaritori, taumaturgici appunto, attraverso la manifestazione più tipica che era il “tocco delle scrofole”.
Il Tintoretto raffigura così un santo molto presente nell’immaginario religioso e sociale del tempo, invocato spesso proprio in occasione delle varie epidemie che attraversano il Medioevo e l’Età Moderna. La storia della vita del Santo narra che San Rocco, di origine occitana, mentre viaggiava attraverso la penisola, lungo la Via Frangicena, fu bloccato a Piacenza dall’epidemia di peste che colpì la città. Per tale ragione prestò la sua opera all’interno dell’Ospedale Santa Maria di Betlemme dove però contrasse anch’egli il morbo, da cui guarì, per poi ritornare al servizio dei malati.
In realtà la ricostruzione scenica del quadro del Tintoretto, probabilmente, si riferisce proprio al Lazzaretto edificato nel 1423 sull’isola della laguna di Venezia, e conserva, ancora oggi, nei confronti di chi la osserva, tutta la forza di restituire l’attualità storica, medica, nonché assistenziale, del XVI secolo. Si può osservare infatti un ambiente molto ampio, dove sono poster al centro le figure del santo, dell’appestato assistito e di altri due religiosi, mentre lateralmente, in diversa maniera, con i giochi prospettici e di luce propri dello stile del Tintoretto, si aprono su entrambi i lati, figure di uomini e donne, sanitari e assistiti. I malati sono colti nell’atto di mostrare le ferite conseguenti al morbo o nell’estrema posa della sofferenza o della morte. I sanitari, perché così possono essere definiti, si trovano tutti molto vicini ai pazienti, a sottolineare una prossimità assistenziale inevitabile quanto doverosa. Le figure maschili indossano abiti religiosi, mentre quelle femminili, belle ed aggraziate, sono ritratte in atteggiamenti di accudimento: mentre sono chine sul paziente o sorreggono le spalle di un malato o tolgono la fasciatura da un arto. Una reca un bacile con un’ampolla. Le donne sono vestite in abiti del tempo e somigliano ad altri soggetti femminili ritratti in altre opere dell’artista veneziano. Aprono e chiudono, da sinistra a destra, l’orizzonte pittorico rappresentato dal Tintoretto, in una scena che sa molto più di rappresentazione forzata, quasi innaturale, in certi casi raffigurante più modelli e statue che non personaggi colti nella naturalità del gesto [12].
Come scritto le figure femminili ritornano in molte opere dell’artista nelle medesime pose assistenziali. Fra queste, in particolare, va ricordato il quadro di “Cristo e l’adultera”, del 1547 e conservato presso la Gemäldegalerie Alte Meister Staaliche Kunstsammlunge di Dresda in cui, in tutt’altro contesto scenico, viene raffigurata una donna simile alla figura femminile del quadro degli appestati posta sulla sinistra, nell’atto di sorreggere una persona nuda che, nella posa, ricorda lo stesso appestato soccorso dal santo. Figura femminile ulteriormente simile a quella posta, sempre sul lato destro di un’altra tela – “Sant’Agostino risana gli sciancati” – anche questa a tematica “sanitaria”, dove gruppi di sofferenti rivolgono il loro messaggio di aiuto ad un altro santo che, in questo caso, discente dal cielo in abiti vescovili. Quanto scritto non vuole in alcun modo trattare di storia dell’arte come tale, e men che meno soffermarsi sull’agiografia dei santi, ma vuole prendere a prestito le opere descritte per parlare di epidemie e assistenza. Ed in questo, proprio grazie alle figure femminili, che rappresentano quelle che possono essere considerate delle infermiere del tempo. Le figure non appaiono in vesti da lavoro sporche, macchiate di umori, e ritratte nella sofferenza dell’opera prestate. Come ad esempio possono essere rappresentati i monatti della Piazza del Mercatello durante la peste, a Napoli, ritratti da Domenico Gargiulo. Le donne raffigurate dal Tintoretto sono giovani, ben vestite, sorridenti e piacevoli, eleganti quanto semplici e pulite. Figure non solo in contrasto con la realtà assistenziale sostenuta, ma anche con il ceto di appartenenza dato che, a Venezia, come in molte altre località, nei momenti più drammatici di un’epidemia, venivano arruolate per i servizi nei lazzaretti, le prostitute della città. Un dato sottolineato da Krischel [13] ed ancor più da Villa [14] che ricordano come l’artista voglia in questo ritrarre la realtà di un servizio reso da donne considerate altrimenti impure, rendendo loro omaggio per l’opera prestata in un contesto, quello epidemico, pericolosissimo e privo – allora – di alcuna forma di dispositivo di protezione individuale. Le prostitute rastrellate a forza per servire nei ricoveri degli appestati [15], erano donne ai margini della società, strette fra condanna religiosa e giudiziaria, alla ricerca sempre di un’occasione fra il riscatto morale e la redenzione sociale, magari dedicandosi, quando possibile, ad opere di carità (es. adozione di orfani) o a vere e proprie donazioni. Ed in questo, alla fine, sono riuscite a trovare nelle linee e nei colori del Tintoretto, un riconoscimento come persone e come donne. E, senza tema di forzatura alcuna, anche come infermiere ante-litteram in prima linea a prestare assistenza magari a chi, fino a poco prima, le aveva condannate ed osteggiate.
L’opera del Tintoretto assume un alone di estrema attualità nel rendere omaggio ai protagonisti della cura e dell’assistenza, raffigurandoli come santi o come donne ideali, supereroi del XVI secolo al pari di quelli tracciati oggi dall’irriverente mano dell’artista britannico Banksy, o da molti altri, in omaggi pittorici nei vari nosocomi del pianeta. O in targhe, vie e lapidi di sorta, oggi come ieri, ripensando all’esempio genovese. Nobildonne e prostitute, quasi un binomio storico dell’assistenza che si ritrova in molti frangenti e che riportano, nell’immediato alla mobilitazione delle prostitute verificatasi durante la Repubblica Romana del 1849, innescata dal bando di arruolamento per fare le infermiere negli ospedali capitolini, emesso da Cristina Trivulzio di Belgioioso, altra infermiera ante-litteram, altra nobildonna. A quel bando risposero in seimila donne romane, di cui ne furono scelte trecento, e fra le quali molte erano popolane dedite al più antico mestiere del mondo [16]. Oggi però, senza paura di scadere in una facile retorica, non si può essere certi che tutti i professionisti (in un’accezione ampia del termine, utile ad abbracciare ogni forma di lavoro svolto) siano martiri in cerca di un riscatto morale, di certo chiunque oggi è impegnato a lottare contro questa pandemia è un nobiluomo o una nobildonna.
Biografia
[1] Zanoboni, M. P. (2020). La vita al tempo della peste: Misure restrittive, quarantena, crisi economica. Mimesis edizioni.
[2] Pescio, A. (1912). I nomi delle strade di Genova. A. Forni editore, Genova, pag. 189
[3] Cotichelli G. (2019) La peste e le trasformazioni dell’assistenza tra XIV e XVII secolo, in Cotichelli G, e Mercuri M, Scienze Umane – Quaderno n.4. L’infermieristica come prassi in dialogo con Medicina, Filosofia e storia, Facoltà di Medicina, UNIVPM, Ancona.
[4] Domenico Barduzzi (1923) Manuale di storia della medicina. Volume primo, storia della medicina dalle origini fino a tutto il secolo XVII, Sten editrice Torino, pag. 278.
[5] Sabbatani S. (2003) Considerazioni sull’epidemia di peste del 1348. Le Infezioni in Medicina, n. 1, 49-61.
[6] Cipolla C.M. Public Health and the Medical Profession in the Renaissance. Londra, 1976.
[7] Magee G.B. Disease management in pre-industrial Europe a reconsideration of the efficacy of the local response to epidemics. Jour Europ Econ Histor 26, (3), 605- 623, 1997.
[8] Schipperges, H. (1988). Il giardino della salute. La medicina nel Medioevo, Garzanti, Milano, p. 61.
[9] Cosmacini, G. (2010). Storia della medicina e della sanità in Italia. Dalla peste europea alla guerra mondiale, 1348-1918, ritrovare la pagina.
[10] Latini, L. (2020). Il dono di Tintoretto. Youcanprint, Lecce.
[11] Marc Bloch M (1989), I re taumaturghi, Einaudi, Torino.
[12] Von Der Bercken E, et Mayer AL (1923) Tintoretto, vol. 1, Munchen, pag. 241.
[13] Krischel R. (2000) Jacopo Robusti detto tintoretto 1519 – 1594, Colonia, pag. 38;
[14] Villa, R, et Villa GCF. (2012) Tintoretto, Milano
[15] Gullino G. (2010) Storia della Repubblica Veneta, La scuola editrice, pag. 207
[16] Cotichelli G. (2015), Prima di Florence Nightingale. Personalità e contesti della nascita della professione infermieristica Giornale di Storia Contemporanea, XVIII, n.s., 1, 2015, pag. 133 – 150. ISSN 2037-7975