Maurizio Mercuri
Corso di Laurea in Infermieristica
Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università Politecnica delle Marche
Per quel che concerne le buone pratiche, i professionisti infermieri e non solo dovrebbero cercarle ed alimentarle traendo la motivazione costante dalla riconferma di una identità consapevole costantemente ricercata, riconfermata e riconosciuta. Esse constano nell’esercizio quotidiano teso al miglioramento delle prestazioni secondo l’appropriatezza e nel rispetto di valori, tra i quali c’è l’oculato risparmio. Non si possono esercitare buone pratiche se si prescinde dai seguenti quadri di riferimento:
– avere ed alimentare un quadro di valori e motivazioni;
– costruire le migliori relazioni interpersonali e interprofessionali;
– usare un modello di riferimento teorico per individuare, interpretare e catalogare i fenomeni;
– analizzare criticamente i fenomeni;
– usare strumenti di misura e confronto (dai PICOM della ricerca ai benchmarking nella qualità delle organizzazioni e prestazioni);
– applicare sempre le evidenze scientifiche, valutando caso per caso;
– pianificare razionalmente le azioni giuste in base a risultati attendibili;
– standardizzare, quantificare, rendere le azioni tracciabili dandole un valore.
Vorrei concludere presentando il decalogo per aspiranti scienziati del libro di Alberto Mantovani “Non aver paura di sognare”[1], per incoraggiare a nuotare controcorrente trasmettendo l’entusiasmo e la passione per la conoscenza. Mantovani è un oncologo ed immunologo di chiara fama. Attualmente è Professore Ordinario di Patologia Generale presso l’Humanitas University. Nel libro, parla di ottimi medici ricercatori, premi Nobel per la medicina, scopritori di meccanismi e funzioni dell’immensamente piccolo del corpo umano, intelligenti spole tra i bench e i bedside, tra i banchi dei laboratori e i letti dei pazienti. Lo prendo ad esempio per il rispetto che porto verso la conoscenza e verso la medicina. Lo prendo ad esempio perché tutti i professionisti della salute non possono discostarsi dai valori intrinseci della conoscenza e dell’assistenza. Con Alberto Mantovani questo è l’augurio che faccio a tutti gli studenti che frequentano e frequenteranno le aule della nostra Facoltà:
– Seguite le vostre passioni: realizzate pienamente le vostre vite, senza arrendervi mai;
– Vivete in una dimensione internazionale e contribuite a costruire ponti di pace: siate cittadini del mondo ed abbiate rispetto per chiunque;
– Siate umili: non vuol dire indecisi, ma in ascolto, attenti ai dettagli, semplici e disponibili agli altri;
– Imparate dai pazienti: non sono le nostre cavie o vittime, sono i nostri maestri, abbiamo loro nelle nostre menti e nelle nostre mani, abbiatene cura;
– Collaborate e siate pronti ad ascoltare gli altri: non lavorate mai da soli, quando lo fate prendetevi le vostre responsabilità;
– Imparate dai tecnici, cioè da coloro che hanno sapere, conoscenze tecniche, metodo, strumenti adeguati: con le chiacchiere non si va lontano;
– Accettate il giudizio degli altri e fatevi guidare dal vostro spirito critico: correggersi significa migliorarsi, non perdersi d’animo e d’impegno, senza scordarsi che quando occorre bisogna avere il coraggio di dire fermi no, motivandoli con giudizio;
– Rispettate i dati: nel mondo della conoscenza e delle persone di spessore, chi altera la verità intenzionalmente non è perdonato;
– Condividete a cambiare il Mondo: nel rispetto dei valori e della vita umana. Per non essere travolti occorre non cedere un millimetro sul rispetto dell’essere umano, anche quando non sembra averne più, per questo vi invito a non essere mai superficiali con gli altri: assistiti, parenti, colleghi o quanti contatterete per motivi professionali.
Auguro ai nostri studente ogni bene che si prospetti all’apertura al mondo della vita adulta e professionale, mentre sono nel fior della giovinezza. Soprattutto auguro loro di non aver paura.
Alfredo Reichlin, nel recente Riprendiamoci la vita. Lettera ai nipoti afferma: “vedo una frattura tra generazioni che forse non è stata mai così profonda”.[2] Questo lo credo anch’io, eppure sono sempre più convinto che nello studio, nella appassionata conoscenza e nel motivato e consapevole esercizio professionale si crea il più grande ponte tra le generazioni: la vita è breve, l’arte lunga. Non è un mistero quanto le popolazioni più avanzate e gli Stati a Prodotto Interno Lordo più alto (o altri indicatori di benessere più complessi con indici più elevati) abbiano a cuore la formazione delle giovani generazioni. Nel futuro “a fare la differenza ci sarà la diversa qualità delle persone, dei luoghi e delle istituzioni”. La stessa produzione e “accumulazione di ricchezza dipenderà sempre più dalla capacità di produrre valore sociale e di darci nuovi strumenti di partecipazione democratica”. Ecco le vostre conoscenze, che hanno avuto un costo, anche collettivo, sono risorse e creano salute e ricchezza. Vi auguro di non perdere mordente e di continuare a studiare, di esercitarvi nella ricerca, di aggiornarvi, di appassionarvi al lavoro e chissà, magari di insegnare.
Padre Enzo Bianchi, fondatore e priore della comunità monastica di Bose, guardando da distante il nostro tempo, riscontra in questo nuovo millennio tre dominanti:[3]
– Prima: la presenza di un io narcisistico diffuso, fragile detentore di desideri che aspirano a diventare diritti. Forme di desiderio tra le più varie, che chiedono di iscriversi all’interno dei diritti di una comunità. Un io a volte astenico, privo di carattere, di volontà, di forza. Diventano improponibili parole come lotta, esercizio, disciplina dei desideri, delle azioni e delle parole possibili.
– Seconda: una società senza orizzonte di convergenza. Una società individualistica che nega solidarietà e condivisione. Si pensa a progetti individuali. L’individuo deve sì rispettare le regole del gioco, ma per il suo proprio bene e tornaconto. E’ tollerato il danno inflitto alla collettività, in nome di una progettualità individualistica. Ci si dimentica del bene comune, purché porti beneficio o vantaggio al singolo. Prima delle crollo delle grandi ideologie, esisteva l’orientamento al sacrificarsi per il bene comune. La società non è più un orizzonte di convergenza, responsabilità, solidarietà.
– Terza: la mancanza di un ethos, di una morale. La morale è costruita dal singolo, è prodotta dall’uomo e può essere dallo stesso contraddetta, al variare delle condizioni e degli interessi. L’esito di questo costruttivismo etico è una diffusa posizione nichilista, mortale per la conduzione della vita e per i valori dell’esistenza. Le conseguenze di questo relativismo etico sono la subordinazione della ragione alle altre pulsioni, l’incapacità di affrontare le aporie dottrinali e la mancanza di esercizio del pensiero, il senso diffuso di incertezza e di vuoto. Si fatica a pensare e discernere se qualche cosa è buono in sé ed anche per gli altri. Si fatica ad operare scelte nello spazio della giustizia. Perché porsi limiti e divieti, quando tutte le azioni sono possibili?
In un certo modo, chi sceglie di diventare infermiere e si è formato in una università pubblica, frequentando tirocini in dipartimenti del Servizio Sanitario Nazionale, è meno esposto a queste tre dominanti. Pur vivendo le fragilità del nostro tempo, proprio per i richiami stessi dell’essere infermiere, del duro esercizio professionale che costantemente ci mette a confronto con le scelte e col patire, colla dimensione multiprofessionale e collegiale, con la tutela delle risorse collettive per il mantenimento o il ripristino di un bene comune, la salute, siamo meno esposti ai pericoli della fragilità o astenia di carattere, del narcisismo, dell’individualismo e del relativismo etico. Sono convinto che non ci sia tra voi chi non desideri ardentemente, dopo questi anni, essere un Infermiere secondo un chiaro ideale di vita. Vorrei che continuiate a riflettere su questo, ad arrovellarvi su questioni di giustizia, a dare sempre il meglio con passione, nei settori della ricerca e scienza disciplinare, della conoscenza professionale, dell’erogazione dell’assistenza, nella trasmissione dei saperi e dei valori, nel miglioramento degli ambiti organizzativi e gestionali. Mai rinunciando all’onestà, in qualsiasi forma, che vi rende liberi, inattaccabili e mai mediocri
Finirei questo intervento con l’invito ai professionisti a non essere impazienti: Forse, ha scritto Kafka nella Lettera al padre, c’è solo un peccato capitale: l’impazienza.
“E’ impaziente chi non aspetta che il ragionamento che l’altro sta provando ad articolare si chiude e frettolosamente completa per lui il pensiero che forse stava esprimendo. E’ impaziente chi di fronte ad un’immagine ricca di dettagli e colori si limita a un’impressione veloce, per passare ad un’immagine successiva. E’ impaziente colui che non si ferma ad aspettare chi ha un passo più lento del suo. E’ impaziente chi non ha il tempo per osservare il gesto sfrontato o umile del mendicante che intralcia il suo cammino protendendo una mano verso di lui. E’ impaziente chi corre a leggere la fine di un articolo, perché intanto ha già compreso dove vuole arrivare. E’ impaziente chi è semplicemente disattento”.[4]
Bibliografia
- Mantovani A, Non avere paura di sognare. Decalogo per aspiranti scienziati, La nave di Teseo, Milano 2016. ↑
- Reichlin A, Riprendiamoci la vita. Lettera ai nipoti, Editori Riuniti, Roma 2014. ↑
- Bianchi E, Una lotta per la vita. Conoscere e combattere i peccati capitali, San Paolo Edizioni, Cinisello Balsamo (Mi) 2011. ↑
- Cimatti F, Il possibile e il reale. Il sacro dopo la morte di Dio, Codice, Torino 2009, p. VII. ↑