4. Comunicazioni di massa e violenza nella società contemporanea

Prima parte

Alberto Pellegrino
Sociologo

È ormai accertato che i media possono produrre degli effetti non sempre positivi, per cui sarebbe opportuno che i messaggi contenessero esempi positivi e creativi, invece di messaggi futili, inopportuni o violenti, che potrebbero provocare atteggiamenti negativi e inappropriati. È presente nei mass media una rappresentazione dilatata della violenza con il risultato di provocare un senso di paura e di frustrazione, di portare a confondere la violenza “reale” con la violenza “virtuale”.

È ormai accertato che i media possono produrre degli effetti non sempre positivi, per cui sarebbe opportuno che i messaggi contenessero esempi positivi e creativi, invece di messaggi futili, inopportuni o violenti, che potrebbero provocare atteggiamenti negativi e inappropriati. È presente nei mass media una rappresentazione dilatata della violenza con il risultato di provocare un senso di paura e di frustrazione, di portare a confondere la violenza “reale” con la violenza “virtuale”. Quando si usa il termine mass media si è soliti parlare di quei mezzi diffusione di massa attraverso i quali è possibile diffondere un messaggio a una pluralità di destinatari, secondo le caratteristiche proprie di ogni mezzo e senza una necessaria interazione tra emittente e ricevente. È un dato di fatto che attualmente l’intera popolazione mondiale passa gran parte del suo tempo a contatto con i mass media e che difficilmente potrebbe farne a meno, per cui questi mezzi finiscono per influenzare la cultura e la percezione della realtà, proponendo modelli e stili di vita che hanno dei riflessi sulla vita individuale e sociale. I principali mezzi di comunicazione di massa oggi operanti nel mondo sono: la stampa, la televisione, il telefono cellulare, internet e gli strumenti che utilizzano applicazioni di comunicazione digitale (smartphone, tablet, blog, social website, web tv).

Gli effetti dei mass media sull’individuo
È ormai accertato che i media possono produrre determinati effetti sulla personalità degli individui, effetti non sempre positivi e non sempre consapevoli, per cui sarebbe opportuno da parte delle emittenti diffondere soprattutto dei messaggi che trasmettano esempi positivi e creativi, tralasciando invece quei messaggi futili, inopportuni o violenti, che potrebbero indurre le persone ad assumere atteggiamenti negativi e inappropriati. Numerose ricerche condotte soprattutto negli Stati Uniti hanno indagato gli effetti che i messaggi dei media producono sui comportamenti delle persone. La cosa più rilevante è la tendenza imitativa che si sviluppa in soggetti portati a imitare i comportamenti di coloro che vedono e ammirano in televisione con effetti che in alcuni casi possono risultare negativi. I principali mass media sembrano avere questa capacità imitativa, perché forniscono informazioni dettagliate su un determinato comportamento e sui risultati che questi comportamenti possono produrre; perché inducono a credere che i vantaggi ottenuti da un determinato modello si possano ottenere da chiunque agisca in quel modo; perché suggeriscono l’idea che certi comportamenti possano considerarsi legittimi. Si è anche costatato che i mass media possono condizionare l’attività immaginativa favorendo una condizione onirica e nello stesso tempo inibendo l’immaginazione creativa, ossia la capacità di generare idee nuove e originali. Le capacità persuasive di un messaggio sono il risultato di un processo che riesce a modificare l’atteggiamento mentale o addirittura il comportamento di coloro che lo ricevono. Il livello di persuasività di un messaggio può dipendere dall’importanza della fonte, dal contenuto dell’informazione, dall’organizzazione degli argomenti persuasivi, dalla predisposizione del ricevente ad accogliere il messaggio secondo le componenti della sua personalità e secondo il peso del contesto sociale nel quale si trova a interagire. Un’importanza particolare assume la credibilità e il prestigio del trasmittente, soprattutto se questi in grado di conferire prestigio sociale, perché il riconoscimento dei media accresce l’autorità degli individui e dei gruppi con la legittimazione del loro stato, in quanto la presenza nei media testimonia che una persona è abbastanza importante per distinguersi dalla massa anonima, che le sue opinioni e il suo comportamento sono abbastanza significativi da richiedere la pubblica attenzione e quindi influenzare la pubblica opinione. A questo proposito il politologo americano Harold D. Lasswell ha proposto la teoria dell’ago ipodermico, nella quale il messaggio dei mass media è assimilato a uno “stimolo” che, se opportunamente formulato, può indurre il ricevente a una risposta nella direzione voluta dalla fonte emittente (indurre a un acquisto, modificare un risultato elettorale).

 

Le principali teorie sugli effetti mediatici
Negli anni Cinquanta il sociologo Paul Felix Lazarsfeld ha avanzato l’ipotesi che l’influenza dei media non poteva prescindere dall’influenza del contesto sociale e dalle opinioni pregresse dei fruitori, ma negli anni Sessanta la crescente diffusione dei mezzi di comunicazione di massa, l’indebolimento del senso comunitario e della funzione di mediazione svolta dai gruppi sociali portarono alla conclusione che stava aumentando il potere e l’influenza dei mass media. Il sociologo Marshall McLuhan ha elaborato la teoria del “villaggio globale” secondo la quale l’evoluzione dei mezzi di comunicazione ha consentito comunicazione in tempo reale a grande distanza, per cui il mondo è diventato più “piccolo” tanto da assumere le dimensioni di un villaggio. Dice McLuhan: “Tutti i media ci investono interamente. Sono talmente penetranti nelle loro conseguenze personali, politiche, economiche, estetiche, psicologiche, morali, etiche e sociali, da non lasciare alcuna parte di noi intatta, vergine, immutata”. Da parte sua il sociologo Jurgen Habermas sostiene che lo sviluppo dei mass media ha soffocato il dibattito democratico, per cui l’opinione pubblica non può formarsi liberamente, ma è sottoposta, al controllo, alla mistificazione, alla manipolazione. Mentre il sociologo Zygmunt Bauman teorizza la società liquida, dove finirà per perdersi l’individuo sempre più solo e prigioniero del consumismo (homo consumens), il politologo Giovanni Sartori sostiene che i media visivi e in particolare la televisione diseducano non solo i bambini ma anche gli adulti, producendo una mutazione che investe la natura stessa dell’homo sapiens e porta alla nascita dell’homo videns, il quale non legge ed è prigioniero della torpidità mentale, in quanto dipende dall’uso dei media tradizionali e dei nuovi media digitali. Il maggiore pericolo è quello di una politica videoplasmata, capace di generare un’opinione pubblica di bassa qualità. Attualmente la teoria più accreditata è quella del costruttivismo sociale, secondo la quale i media “costruiscono” la realtà selezionando determinate immagini e contenuti; da parte sua il pubblico costruisce una propria visione della realtà mediandola con le “costruzioni” offerte dai media. I principali effetti prodotti sono: l’effetto di conversione per cui i media provocano un cambiamento d’opinione nel ricevente secondo le finalità dell’emittente; l’effetto di conferma secondo il quale si verifica la conferma di opinioni, convinzioni o comportamenti preesistenti nel ricevente; l’effetto boomerang che consiste nel cambiamento del fruitore in direzione opposta a quella voluta (vedi campagna elettorali). Atri effetti da considerare va indicato il processo di identificazione che può far nascere in un soggetto il desiderio di prendere il posto di un determinato personaggio per assumere il suo modo di vivere, arrivando fino all’imitazione del proprio “eroe”. Un altro effetto abbastanza comune è costituito dal processo di proiezione, che consiste nel vivere in modo immaginario sentimenti e situazioni che il soggetto non può realizzare nella realtà, finendo con il “proiettare” per traslazione i propri desideri su un personaggio che ama e che odia, che pratica la violenza e che risulta sempre vincente, come il soggetto vorrebbe amare, odiare, aggredire, trionfare. Si è a lungo discusso sull’effetto denominato disfunzione narcotizzante (P. F. Laziersfiel e R. Merton), il quale sarebbe causato da un’eccessiva esposizione al flusso d’informazione dei mezzi di comunicazione di massa: una notevole quantità di tempo dedicata alla fruizione dei messaggi si rischia di ridurre lo spazio riservato alla partecipazione diretta alla vita sociale e politica, per cui il cittadino crede di essere “informato” e pensa di avere una profonda la conoscenza dei problemi, mentre può essere soggetto a una passività mentale prodotta da un assorbimento acritico dei messaggi che finiscono per corrompere la sua sensibilità e per frenare la sua immaginazione. L’effetto opposto a quello della “narcosi” è la catarsi che serve ad assicurare nel soggetto un rilassamento; a stimolare l’immaginazione; a provocare una distensione emotiva; a sostituire un’integrazione sociale inadeguata soprattutto per chi vive nell’isolamento, dando la sensazione di essere inseriti nella società; ad assicurare una base comune ai contatti sociali, offrendo l’occasione per uno scambio d’idee tra coloro che hanno usufruito dello stesso messaggio comunicativo. Questa funzione catartica si può effettuare quando si è in possesso di una capacità critica che consenta di rigettare quei messaggi ritenuti poco fondati, irrazionali o mancanti di obiettività, quando si ha una maggiore capacità di trarre delle conclusioni nell’interpretazione dei messaggi e di vedere delle implicazioni palesi o latenti nei loro contenuti.

Comunicazioni di massa e
 violenza
Nella società contemporanea si registra nei mezzi di comunicazione di massa una tendenza a trasmettere una rappresentazione dilatata della violenza nelle sue forme più diverse con il risultato di provocare un senso di paura e di frustrazione negli individui. Si tratta di modelli di comportamento che acquistano un peso rilevante nell’immaginario collettivo, portando a confondere speso la violenza “reale” con la violenza “virtuale”, la quale finisce per assumere aspetti molto più concreti e drammatici di una semplice spettacolarizzazione. Il legame tra violenza, aggressività e mass media è stato oggetto di studi approfonditi e di numerose ricerche che sono però arrivate a conclusioni complesse e a volte contraddittorie. Alcuni studiosi hanno cercato di dimostrare i legami esistenti tra aggressività e i messaggi di violenza, arrivando alla conclusione che soggetti sottoposti a stimoli frustranti memorizzano meglio di altri le scene di aggressività e possono provocare un desiderio d’imitazione. Altre ricerche hanno dimostrato che soggetti frustrati appaiono più calmi dopo la rappresentazione di scene di violenza (effetto catarsi), rispetto a soggetti che non hanno potuto scaricare la loro collera attraverso una rappresentazione. Si è giunti pertanto ad alcune conclusioni fondamentali: la violenza rappresentata nei media non è mai univoca, perché può suscitare una tendenza all’imitazione, un’inibizione oppure una spinta all’azione secondo la qualità dei messaggi, delle diverse componenti sociali, culturali e psicologiche dei riceventi, per cui l’aggressività stimolata dai media si presenta come un insieme di meccanismi diversi e contrapposti. Tali effetti sono resi più complessi dalla capacità dell’individuo di reagire alla proposta di messaggi violenti, attraverso una percezione selettiva, che produce una differenziazione tra gli effetti immediati e gli effetti che incidono sui valori e sui comportamenti. La violenza reale, ripotata dai media, produce di solito più disgusto che suggestione, ma non si può escludere che una ripetizione degli stessi messaggi di violenza può produrre un’assuefazione alla violenza stessa. Si ritiene, infatti, che la rappresentazione di atti violenti e criminali nei mezzi di comunicazione di massa possa rafforzare atteggiamenti e comportamenti preesistenti, possa favorire l’identificazione e l’imitazione in soggetti disadattati o affetti da frustrazioni, possa costituire uno stimolo a compiere azioni aggressive e violente, mentre questi messaggi risulterebbero innocui in soggetti con un buon equilibrio psichico. Allo stato attuale delle ricerche, nella valutazione degli effetti diretti dei messaggi violenti sul comportamento degli spettatori, si tende a prendere in considerazione le variabili sociologiche e psicologiche che possono influenzare la visione del mondo dei recettori, proprio perché questa visione rientra in una più vasta gamma d’influenze che la società esercita sugli individui. In ogni caso bisogna considerare che la violenza nei mass media è la risposta a una società che produce e consuma violenza. I media (in particolare la televisione) tengono conto dell’audience, cioè del numero di fruitori, per cui si crea un circuito tra utenti e prodotti mediatici. Per catturare una vasta audience si producono spettacoli, dove la violenza è mescolata alla sessualità, oppure si fa ampio ricorso alla cronaca per rappresentare in forma spettacolare guerre, massacri, torture, attentati, efferati omicidi spesso collegati ad autentici drammi familiari e individuali, persino eventi catastrofici che non sfuggono a questo processo di spettacolarizzazione. Questo genere di avvenimenti diventano oggetto reiterato di trasmissioni e talk show, dove si celebrano “processi televisivi” ancora prima dei processi reali, dove s’imbastiscono dibattiti tra “esperti” con il risultato di trasformare la realtà in una fiction.

(Nell’articolo successivo saranno presi in esame gli effetti della violenza nella televisione e nei nuovi media digitali)

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