Riflessioni personali, e non solo, sulla base delle
evidenze clinico-scientifiche disponibili.
Riccardo Sarzani
Direttore della Clinica di Medicina Interna e Geriatria
Università Politecnica delle Marche presso IRCCS-INRCA, Ancona
Il SARS-CoV-2 ha causato decessi soprattutto tra gli anziani. Ipossiemia da polmonite interstiziale sulle molteplici comorbidità degli anziani, assieme all’alta contagiosità con troppi casi tutti in una volta, hanno contribuito ai molti decessi. L’approccio internistico-geriatrico cardiopolmonare basato su un lucido raziocinio clinico è fondamentale, soprattutto nelle emergenze.
La pandemia da SARS-CoV-2 ha colpito molto duramente l’Italia che ha visto salire in modo esponenziale i decessi nel mese di marzo 2020, superando quelli della Cina. I dati italiani sono inequivocabili: degli 28.274 decessi totali positivi al nuovo coronavirus e quindi etichettati come malattia da coronavirus 2019 (COVID-19), circa l’84,6% dei morti avevano da 70 anni di età in su con un 56,8% (la metà) da 80 anni in su (dati dell’Istituto Superiore di Sanità aggiornati al 24 aprile 2020, Figura 1). Di fronte a questi dati, ogni Me- dico che abbia solide basi formative e che non sia emotivamente confuso, condizione comune per chi vive in prima linea l’emergenza in terapia intensiva, si deve chiedere in primis: perché? Chiaramente la causa precipitante acuta della pandemia è il SARS-CoV-2 che frequentemente causa polmoniti interstiziali bilaterali con essudazione alveolare e insufficienza respiratoria ipossiemica anche in adulti di mezza età, colpendo soprattutto i maschi obesi, ipertesi e diabetici, con decessi nettamente più rari ma presenti anche tra i 50-60enni. Ma se fosse solamente il virus e la polmonite interstiziale dovrebbero morire similmente quasi tutti i non immuni: neonati, bambini, giovani, adulti, anziani e grandi anziani. Quello che non è chiaro a molti è quindi perché soprattutto gli anziani mentre in alcune fasce di età la mortalità è pari a zero e sono comunissimi gli asintomatici o i paucisintomatici.
Alcuni, probabilmente colpiti dal numero di persone che finiscono in terapia intensiva o in rianimazione, son portati a confutare una solida certezza della Medicina: che in gene- re non si muore per una causa sola ma esistono (non sono sparite!) tutte le comuni severe condizioni cliniche (fattori di rischio e comorbilità) che hanno sempre portato al decesso gli anziani anche prima del COVID-19. Lo scompenso cardiaco, la broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO) più o meno enfisematosa, le polmoniti batteriche e tante altre condizioni cardiopolmonari sono spesso avanzate e severe negli anziani e grandi anziani, molti dei quali le hanno a livello subclinico o sub-diagnostico senza quindi nemmeno avere una diagnosi o una terapia idonea già in atto1. Ecco quindi che morivano anche prima per queste condizioni ma adesso la differenza che “muoiono in mucchio” proprio perché è arrivata una nuova infezione per cui non abbiamo anticorpi nella popolazione ed è un virus altamente contagioso che può causare polmonite con ipossiemia o con peggioramento di una ipossiemia preesistente. Un’ipossiemia o un suo peggioramento che “piove” su una cardiopatia ischemica e/o uno scompenso cardiaco in un anziano “tipo” che è ha pure comunemente anemia erroneamente considerata “lieve”, certamente fa precipitare le cose e molti non sono nemmeno giunti vivi in ospedale. Molti di questi anziani quindi muoiono di scompenso cardiaco, di necrosi miocardica, di polmonite batterica, di sepsi, di insufficienza renale, di insufficienza multiorgano e altro ancora dove l’infezione da coronavirus è stata l’infezione sovrapposta finale.
Quadri assolutamente sovrapponibili possiamo averli con virus erroneamente ritenuti più benigni come i virus influenzali stagionali. Anche questi virus causano polmoniti interstiziali ipossiemiche o miocarditi fulminanti (anche nei giovani!) ma in genere buona parte della popolazione ha già anticorpi anche grazie alle importantissime vaccinazioni. E inoltre la loro contagiosità appare inferiore a quella del SARS-CoV-2. Ma anche per i virus influenzali chi ne fa le spese maggiori (e muore!) sono sempre proprio gli anziani e i grandi anziani che devono infatti essere vaccinati “in massa” per evitare le severe conseguenze di un’infezione virale.
Ad esempio nelle riacutizzazioni di BPCO in una popolazione di età media di 87 anni ricoverati presso la Clinica di Medicina Interna e Geriatria dell’Università Politecnica delle Marche, si aveva una mortalità intraospedaliera del 18,2% e chi rischiava di più erano quelli che erano stati trattati con cortisonici, quelli che avevano scompenso cardiaco come testimoniato dal dosaggio dell’NTproBNP e quelli con deficit cognitivi2. In mancanza di terapie specifiche di comprovata efficacia (si sta onestamente provando “di tutto” in studi spontanei non randomizzati né controllati o anche solo in un’ottica “compassionevole”) per questo nuovo coronavirus, ogni massimo sforzo deve essere diretto alla gestione diagnostico-terapeutica di tutte le comuni condizioni morbose che spesso coesistono negli anziani e nei grandi anziani, evitando terapie improprie e mantenendo o inserendo quelle per lo scompenso cardiaco che è quasi la regola tra le comorbidità di questi pazienti1,2. Abbiamo avuto vari casi di grandi anziani di oltre 90 anni di età positivi al virus e quindi etichettati come COVID-19 ma che, nonostante anche l’evidenza TAC di polmonite interstiziale ed essudati alveolari caratteristici, non hanno sviluppato né grave ipossiemia né son deceduti a causa dell’infezione virale, ma sono caduti nella “spirale di aggravamento” delle multiple comorbidità che l’allettamento stesso causa tipicamente in questi grandi anziani. Ecco quindi che nonostante un “tampone positivo” non dobbiamo mai perdere il buon senso clinico che ci deve fare concentrare nella diagnosi e nel trattamento (questo certamente noto ed efficace!) di tutte le altre malattie comunemente presenti ed associate nell’anziano, malattie che spesso son la causa principale del decesso.
Sicuramente questa emergenza sta facendo perdere, specie a chi è sotto pressione in prima linea con turni massacranti, la lucidità nell’approccio clinico anche a causa delle incertezze anche dovuta alle incomplete evidenze medico-scientifiche sul COVID-19. Ma non possiamo certo dimenticarci che lo stesso alletta- mento, specie in terapia semintensiva o intensiva, è gravato di un’alta incidenza e prevalenza di trombosi venosa profonda e tromboembolismo per cui è sempre necessaria un’efficace prevenzione con adeguata terapia farmacologica. Invece sulla base dei rarissimi reperti autoptici pubblicati o “narrati”, in uno dei quali viene “riscoperta” l’embolia vascolare polmonare in pazienti CO- VID-19, tutto viene trasformato in quadri specifici come fossero dovuti a questa peculiare infezione virale. E come se non bastasse, da qui par- tono gruppi Facebook/Whatsapp che fanno rimbalzare notizie di una “trombofilia da SARS-CoV-2” mai documentata in alcun modo. E infine attenzione a trattamenti impropri (dare “cortisone” perché ha dispnea e “malattia polmonare”) nelle infezioni da coronavirus, trattamenti già condannati come inutili e pericolosi dalla letteratura medico-scientifica3-7. E attenzione a sospendere efficaci e indispensabili terapie basate sugli antagonisti del sistema renina angiotensina-aldosterone (sartani e ACE inibitori), cosa che non solo farà peggiorare acutamente i sottostanti quadri cardiovascolari ma potrebbero anche far nettamente peggiorare il quadro polmonare SARS-CoV-2 correlato8-10.
È quindi sicuramente un periodo difficile per tutti ma alla Professione Medica, anche in emergenza e sotto pressione, si chiede, oltre all’Arte e all’Umanità, anche un’elevata Professionalità e competenza che deve sempre essere basata su un lucido ragionamento clinico, razionale che non va mai perso.
Bibliografia
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