Morfologo… “quasi” per caso

Antonio GiordanoProf. Antonio Giordano
Dipartimento di Medicina Sperimentale e Clinica
Facoltà di Medicina e Chirurgia
Università Politecnica delle Marche
 

LAutore, nuovo coordinatore dellinsegnamento di Anatomia Umana nella Facoltà di Medicina dellUniversità Politecnica delle Marche, ripercorre le tappe del suo cammino umano e professionale e della sua formazione scientifica. Dopo studi di tipo medico e dedicatosi agli inizi alla ricerca biochimica, ha poi vissuto un’intensa esperienza nelle discipline psichiatriche fino al momento dell’incontro con il Prof. Saverio Cinti che lo ha introdotto nel campo della morfologia, una scienza che doveva divenire la sua definitiva abitazione. Proprio grazie alla ricerca in ambito morfologico ed allo studio dei tessuti adiposi, dell’obesità e della regolazione centrale del bilancio energetico, i suoi diversi interessi scientifici e culturali hanno trovato un punto di incontro nell’indagine del continuo dialogo tra organi periferici e centri nervosi e del coinvolgimento dei centri nervosi di fame e sazietà in molteplici e complessi aspetti comportamentali. Lo studio di tali filoni di ricerca negli animali da laboratorio rappresenta, e probabilmente rappresenterà sempre più in un prossimo futuro, un adeguato modello per correlare, anche in un’ottica ontogenetica, metabolismo e comportamento, fornendo contributi e prospettive originali e innovative allo studio dei meccanismi molecolari che sono alla base del comportamento normale e patologico e che rappresentano l’oggetto di studio della cosiddetta “psichiatria biologica”.

Accolgo con grande piacere l’invito del Preside e del professor Giovanni Danieli a scrivere queste poche righe per presentarmi agli studenti e alla comunità accademica del nostro Ateneo in qualità di nuovo coordinatore dell’insegnamento di Anatomia Umana per il Corso di Laurea in Medicina e Chirurgia, a seguito del pensionamento del professor Saverio Cinti che ha brillantemente svolto tale incarico per più di trenta anni. In tal modo, infatti, ho l’opportunità di ringraziare pubblicamente persone che “ho incontrato” durante il mio percorso di studio e di ricerca e i cui consigli ed esempio sono stati essenziali per il mio successo professionale. Trovo, inoltre, molto utile che giovani studenti, che si affacciano al mondo dello studio, della ricerca e di un’attività così delicata come quella di tipo medico, possano giovarsi dell’esempio e delle esperienze, negative e positive, di chi, avendo qualche anno più di loro, li ha preceduti. Sono approdato all’anatomia umana quasi per caso. In realtà non avevo nemmeno intenzione di studiare medicina. Al termine degli studi classici, avevo ben chiaro il proposito di “lavorare in laboratorio” e di “fare ricerca” in ambito biologico e medico ma ero entusiasticamente orientato allo studio della chimica organica e della biochimica, materie che allora mi apparivano le più appropriate per portare contributi essenziali ed innovativi al progresso scientifico. Fu il professor Paolo Bruni, Rettore del nostro Ateneo per diversi anni e che avevo l’opportunità di incontrare frequentemente essendo compagno di classe e amico del figlio Stefano, che in un assolato pomeriggio di fine agosto mi disse chiaramente e con fermezza che se veramente volevo fare ricerca in ambito biomedico avrei dovuto intraprendere gli studi medici. Fu grande il mio sconcerto di fronte a tale suggerimento, anche perché già sognavo anni di vita universitaria libera, spensierata, lontana dalla famiglia e in una città come Bologna, sicuramente più attraente rispetto ad Ancona. D’altra parte, le sue argomentazioni, la sua sicurezza e la sua esperienza mi convinsero e mi iscrissi alla Facoltà di Medicina presso quella che allora era l’Università di Ancona.

Il consiglio del professor Bruni si rivelò del tutto appropriato, e di questo gli sarò eternamente grato. A differenza di molti dei miei compagni di corso, lo studio delle materie di base, di quello che una volta veniva indicato come “il triennio biologico”, fu per me eccezionalmente bello ed entusiasmante. Quel periodo di vita universitaria rimane nel mio immaginario uno tra i ricordi più belli ed emotivamente pregnanti. Lo studio delle cosiddette materie di base mi apriva ad un mondo che mi appariva meraviglioso fatto di molecole e di cellule che “dialogando” tra loro davano origine alle più complesse funzioni cellulari, tissutali, d’organo … in una parola alla vita. La passione per tali materie era tale per cui ero solito trascorrere quasi interamente i mesi estivi in solitudine a studiare in un piccolo paese sulle colline marchigiane, dove la mia famiglia ha una piccola abitazione e dove mio padre è stato medico condotto per più di 20 anni. Con il senno di poi mi sono reso conto che la mia dedizione allo studio era sembrata così eccessiva da indurre preoccupazione nei miei familiari, tanto da, chissà, forse indurli a sospettare un esordio tardivo di “sindrome da terzo liceo” secondo la vecchia definizione di Kraepelin.

Con il prosieguo degli studi universitari alla passione per i meccanismi molecolari e cellulari che rendono possibile le funzioni degli organi e degli apparati del nostro corpo si è affiancato un vivo interesse ed una curiosità particolare per il sistema nervoso e per il suo ruolo di guida e coordinamento di tutte le manifestazioni vitali. In questo ambito, un sentito ringraziamento va alla professoressa Giovanna Curatola, docente di Biochimica presso questa Facoltà fino a non molti anni fa e relatrice della mia tesi di laurea. Ho molto vivo nel ricordo le brevi ma formative conversazioni che con lei ho avuto  sulla  ricerca  biologica  ed i rapporti con quella clinica, applicata, sulla condizione della ricerca in Italia, sulla eventuale possibilità di andare all’estero, sul mio modo “troppo romantico” di vedere scienza e scienziati e sulla nostra comune passione per i meccanismi più fini, molecolari, delle funzioni più elevate del sistema nervoso, quelle che, se alterate a causa di processi ancora sconosciuti, determinano le patologie psichiatriche. Fu essenzialmente lei a trasmettermi la consapevolezza che la ricerca è analisi ma anche sintesi, e che la sintesi è tanto più efficace, produttiva e affascinante quanto più ampia e variegata è la preparazione culturale del ricercatore. Già allora, infatti, si iniziava a temere che anche nell’università italiana, importando in maniera acritica modelli formativi “di stampo anglosassone”, didattica e ricerca procedessero verso un’eccessiva specializzazione e orientamento pratico, rinunciando ad un approccio culturale più ampio e complesso, anche se sicuramente meno concreto, che è sempre stato tratto distintivo della cultura, non solo medica, italiana. Coerentemente a questo, mi iscrissi dopo la laurea alla scuola di specializzazione in Psichiatria, sotto la guida del professor Gianfranco   Marchesi. Seguirono anni caratterizzati dal “traumatico” approccio alla patologia mentale, dalla difficile gestione del paziente psichiatrico e da numerose notti insonni, periodo del giorno in cui il professor Marchesi preferibilmente lavorava. L’intenzione era di avviare studi di biochimica inerenti a condizioni psichiatriche ma sia la inadeguatezza dei cosiddetti modelli animali di malattie psichiatriche che la distanza esistente tra la complessità della situazione comportamentale e clinica e i possibili aspetti neurochimici che potevano essere valutati nel paziente psichiatrico erano limiti per me talmente frustranti che mi inducevano a ritenere che non sarei stato in grado di svolgere ricerche con un impatto significativo.

Fu proprio durante gli anni della specialità in Psichiatria che ebbi modo di riallacciare i rapporti con il professor Cinti, che era stato mio docente di Anatomia Umana, esame che avevo brillantemente superato e materia che aveva messo in crisi la mia passione per la chimica biologica.
Il professor Cinti, conoscendo il mio interesse per le neuroscienze, mi aveva proposto di intraprendere insieme a lui uno studio morfologico sull’innervazione dei tessuti adiposi (Fig. 1).

nervi vegetativi simpatici
Figura 1 – Evidenziazione di nervi vegetativi simpatici nel tessuto adiposo di topo mediante immunoistochimica per la tirosina idrossilasi, enzima coinvolto nella sintesi della noradrenalina. In A, fibre nervose noradrenergiche si distribuiscono intorno ai vasi sanguiferi (V) e nel parenchima tra gli adipociti; alcune fibre noradrenergiche parenchimali sono indicate dalle frecce. Nei tessuti adiposi, la componente bruna (“brown”), costituita da adipociti multiloculari, è notevolmente più ricca di fibre noradrenergiche rispetto alla componente bianca (“white”), costituita da adipociti uniloculari. In B, le punte di freccia indicano il decorso di un assone noradrenergico tra adipociti multiloculari.

Egli infatti si occupava ormai da diversi anni di adipociti e obesità, argomenti di ricerca considerati allora quasi secondari essendo l’obesità ritenuta non tanto un problema medico quanto essenzialmente un problema estetico. In realtà, il professor Cinti, grazie alla sua formazione medica, aveva intuito che l’obesità con tutte le principali patologie ad essa associate avrebbe rappresentato nei decenni successivi una problematica sanitaria di enorme impatto medico, sociale ed economico. Da ottimo medico ricercatore, egli riteneva che, essendo l’obesità una patologia legata ad un abnorme accumulo di tessuto adiposo nell’organismo, l’approccio scientifico primario e più corretto era innanzitutto iniziare a studiare in maniera approfondita tale tessuto e la biologia delle cellule che lo compongono. Questa prima collaborazione con il professor Cinti mi aprì un mondo nuovo, la morfologia, un approccio che fino ad allora avevo sottostimato perché più interessato ad aspetti molecolari. Ebbi l’occasione di conoscere e applicare tecniche di microscopia ottica ed elettronica che mi introdussero alla “scienza dell’organizzazione della materia vivente”, come il professor Cinti ama definire la morfologia, e dove forme, dimensioni, quantità e distribuzione di cellule, organuli e molecole si correlano in maniera spesso semplice ed intuitiva con la loro funzione.

Intrapresi quindi la carriera accademica presso l’Istituto di Morfologia Umana Normale presso quella che di lì a poco sarebbe diventata l’Università Politecnica delle Marche. Sono seguiti anni di attività didattica e di ricerca estremamente proficui, durante i quali il professor Cinti non mi ha mai fatto mancare consigli e suggerimenti, mi ha coinvolto in interessanti ricerche e introdotto ad un ambiente di ricerca internazionale, consentendomi di svolgere proficui periodi all’estero e collaborazioni con scienziati stranieri di elevato livello. A tale proposito, un sentito ringraziamento va esteso anche a tutto il personale tecnico-amministrativo e docente, strutturato e non, che nel corso degli ultimi vent’anni ha fatto parte del nostro gruppo ed in particolare alla Dr.ssa Ilenia Severi per la passione e l’interesse con cui svolge le ricerche sulla regolazione centrale del bilancio energetico. Un ringraziamento particolare va anche al professor Francesco Osculati, fondatore della nostra scuola di anatomia e per noi, “più giovani”, grande esempio di dedizione alla ricerca e alla didattica.

C’è un motivo fondamentale per cui vorrei ringraziare pubblicamente il professor Cinti e che lo qualifica ai miei occhi come “vero maestro”. Ritengo che per un ricercatore, soprattutto di scienze di base, sia assolutamente fondamentale lavorare in un ambiente stimolante, sereno, non eccessivamente e stupidamente competitivo e non perennemente affannato al raggiungimento di indici bibliometrici modaioli che paradossalmente oggi sembrano rappresentare il fine ultimo dell’attività di ricerca (!). Penso, all’opposto, che sia fondamentale nel nostro lavoro avere la possibilità di “perdere tempo a percorrere nuove strade e verificare ipotesi e curiosità originali” anche se forse poco probabili e poco inclini a fornire nel breve periodo un “prodotto”, orribile termine manufatturiero industriale con cui i nostri governanti definiscono gli articoli scientifici. Con il professor Cinti io ho trovato proprio questo, ovvero ho avuto la libertà e la possibilità di “girovagare” in altri settori delle scienze biologiche, di intraprendere filoni di ricerca che avvertivo più congeniali e di apprendere e importare nel nostro gruppo nuove tecniche e metodologie di indagine (Fig. 2).

Figura 2 – Doppia immunofluorescenza e microscopia confocale di una sezione coronale di ipotalamo di topo. La vimentina (immagine di sinistra, verde) è un marker tipico dei taniciti, caratteristiche cellule ependimali dotate di prolungamenti e distinte in due classi differenti (α-taniciti e β-taniciti). L’attivazione dell’ERK signaling nelle cellule dell’eminenza mediana (immagine centrale, rosso) promuove il passaggio della leptina circolante, il più importante fattore di sazietà prodotto e secreto dagli adipociti bianchi, dall’eminenza mediana al terzo ventricolo e da qui ai neuroni ipotalamici che regolano il bilancio energetico (immagine di destra, frecce grigie)

Alla fine … adipociti, tessuti adiposi e obesità mi hanno ricondotto al sistema nervoso ed alla psichiatria. Nel corso degli ultimi decenni, l’obesità essenziale, quella che caratterizza la stragrande maggioranza dei pazienti obesi, è stata progressivamente inquadrata come un complesso disturbo endocrino-metabolico di grosso impatto medico in quanto situazione predisponente alle più frequenti e invalidanti patologie croniche del nostro tempo quali diabete di tipo 2, epatopatie non alcoliche, patologie cardiovascolari, alcune  forme  neoplastiche  e condizioni psichiatriche  come la depressione e le dipendenze. Oggi, gli ambienti scientifici più illuminati iniziano a considerare l’obesità essenziale come una vera e propria patologia psichiatrica caratterizzata da fini alterazioni comportamentali (relativi al senso di fame e sazietà, dispendio energetico, meccanismi di gratificazione, risposta a eventi stressanti, etc.) che sono presenti ben prima dell’esordio clinico che avviene generalmente in età adulta avanzata e sottesi da un preesistente alterato substrato neuronale le cui radici patogenetiche affondano in momenti critici di sviluppo
pre- e postnatale dei circuiti cerebrali preposti alla regolazione del bilancio energetico. Forse, nei prossimi decenni proprio l’obesità, dove l’aspetto traslazionale dal modello animale all’uomo è ormai ampiamente confermato e validato, rappresenterà per i neuroscienziati l’opportunità di realizzare il “sogno della psichiatria biologica”, già vagheggiato da Freud, cioè quello di riuscire a riprogrammare in maniera permanente circuiti neuronali maturi ma disfunzionali e modificare il comportamento in maniera più efficace e adattativa.

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