Alberto Pellegrino
Sociologo
“Don Giovanni è uno dei grandi miti dell’Occidente, un personaggio di origine leggendaria che ben presto è di- ventato l’incarnazione del seduttore irrefrenabile, del libertino senza scrupoli e senza morale, del conquistatore seriale, ma anche dell’ateo empio e ingannatore che si prende gioco non solo delle donne ma anche delle leggi e persino di Dio. Questa figura irrompe nella letteratura, nella poesia, nell’opera lirica (dove primeggia Mozart), nel cinema, ma domina soprattutto nel teatro, dove diventa il protagonista di opere importanti a cominciare dal El Burlador de Sevilla y convidado de piedra di Tirso de Molina per arrivare, attraverso la commedia dell’arte, al capolavoro di Molière e a opere di autori contemporanei”.
Dopo aver parlato nel precedente articolo della psicologia della seduzione, analizziamo la figura che è considerata l’incarnazione per antonomasia del seduttore: Don Giovanni Tenorio che nasce come personaggio teatrale e letterario e conquista rapidamente una tale popolarità da diventare uno dei grandi miti della civiltà occidentale come Ulisse, Edipo, Amleto e Faust, occupando un posto ormai stabile nell’immaginario collettivo della società di massa. A questo proposito il filosofo Ortega y Gasset scrive che “esistono tre tipi di uomini. Quelli che credono di essere don Giovanni, quelli che credono di essere stati don Giovanni e quelli che credono che avrebbero potuto esserlo ma non lo hanno voluto” e questi ultimi sono quelli che colti- vano la maggiore illusione.
Don Giovanni, un esempio di un seduttore seriale
In ogni essere umano è quindi possibile che possa nascondersi un Don Giovanni, cioè il profilo di qualcuno che sinteticamente può essere definito un giovane uomo dalla sfrenata sensualità, un libertino e un conquistatore di femmine, un individuo che disprezza le regole e ama la trasgressione, che non ha paura della morte, che irride l’aldilà e la stessa divinità. Si tratta di un personaggio che nasce all’inizio del Seicento e che rappresenta il clima teatrale, sensuale e passionale della società barocca, incarnando in pochi tratti la visione del mondo di un’intera epoca segnata dal confine tra bene e male, piacere e dovere morale, trasgressione e punizione. La sua insofferenza verso ogni legge umana e divina lo porta a scontrarsi persino con i morti e quando uccide il padre di una donna che vuole sedurre con l’inganno, si prende gioco della sua statua dell’ucciso invitandola a cena, ma la statua si anima e si trasforma nel convitato di pietra che accetta l’invito. Don Giovanni non arretra nemmeno dinanzi all’ospite soprannaturale che lo afferra in una stretta mortale, rifiuta di pentirsi ed è trascinato nell’abisso infernale che si spalanca sotto i suoi piedi.
Lo psicanalista Massimo Recalcati dice che “il desiderio di Don Giovanni riflette il fantasma inconscio (o conscio) del desiderio maschile: godere del proprio fascino irresistibile, trasformare la donna in conquista, allungare infinitamente la lista delle proprie imprese seduttive… Tuttavia, il primo ostacolo che questa spinta è destinata incontrare è quello che in nessuna delle donne sedotte… potrà mai trovare la donna che ricerca perché “La Donna” non esiste… Don Giovanni non conosce il senso di colpa. Egli decide di essere un impenitente, di giocare con la verità: ama la maschera, il trucco, l’artificio. La sola Legge che conosce è quella del proprio godimento temerario”.
Figura 1 – Don Giovanni, manifesto del Teatro dell’Opera di Roma
Il personaggio di Don Giovanni nel teatro e nella letteratura
Figura nata da una serie di leggende spagnole, Don Giovanni viene portato sulle scene da Tirso de Molina con Il burlador de Sivilla y convidado de pietra (1625/30) per poi arrivare a Napoli per essere rappresentato dalla “commedia improvvisa” dei comici dell’arte con alcuni testi come il Convitato di pietra dello pseudo Cicognini, Il convitato di pietra di Andrea Perrucci o il Nuovo risarcito convitato di pietra di Giovanni Anderlini.
Quando i comici italiani arrivano a Parigi, il personaggio si afferma sulle scene francesi per poi dilagare in tutta l’Europa fino produrre il capolavoro di Molière Don Giovanni o Il festino di pietra (1665) e l’altro capolavoro assoluto del Don Giovanni di Lorenzo Da Ponte e Wolfango Amedeo Mozart (1787). Il personaggio affascina altri grandi musicisti come Henry Purcell che musica Il libertino di Thomas Shandwell (1692), poi Gluck, Pacini, Richard Strauss e ultimo Gian Francesco Malipiero (1966). Naturalmente si occupano di Don Giovanni il cinema e la televisione con opere spesso mediocri ma anche con importanti registi come Alexander Korda, Alberto Lattuada, Vittorio Cottafavi, Bergman, Joseph Losey, Carmelo Bene, Carlos Saura. Alla fine del Settecento persino il mite Carlo Goldoni scriverà un mediocre Don Giovanni Tenorio in versi, ma è soprattutto nell’Ottocento che il mito trova una nuova linfa grazie a grandi scrittori e poeti come Byron, Puskin, Hoffman, Alexandre Dumas padre, Zorrila, Balzac, Mérimée, Flaubert, Baudelaire. Nel Novecento si occupano di questo personaggio Luigi Pirandello, Bernard Shaw, Karel Capec, Max- Frisch, Dacia Maraini, José Saramago, Edmond Rostand con L’ultima notte di Don Giovanni) e Odon von Horvàth con Don Giovanni ritorna della guerra.
Da questa sterminato rifiorire di opere emerge una figura di Don Giovanni quanto mai poliedrica nella quale confluiscono il seduttore, l’ateo, l’empio, l’ipocrita, il calcolatore, l’ingannatore che si prende gioco delle donne e perfino di Dio; oppure, per alcuni, appare come il difensore della libertà di coscienza e del libero arbitrio di stampo illuminista. In ogni caso Don Giovanni, come scrive lo storico francese Rousset, “vive una vita autonoma, passa di opera in opera, di autore in autore, come se appartenesse a tutti e a nessuno”.
Figura 2 – I. R. Cruikshanik, Don Juan
La figura di Don Giovanni e la Chiesa
Esiste anche un aspetto poco noto del personaggio di Don Giovanni, quello del miscredente “fulminato” a scopo edificante come appare nelle rappresentazioni teatrali d’ispirazione cattolica. Il Seicento non è solo il secolo che ha inventato l’erotismo in tutte le sue degenerazioni, ma è anche il secolo della restaurazione messa in atto dalla Chiesa post-tridentina, che pro- muove con grande impegno il culto delle anime nel purgatorio, collocate in una dimensione di mezzo tra inferno e paradiso. Le opere teatrali, che nascono soprattutto in ambito gesuitico, fanno parte di questo sforzo politico e teologico compiuto dalla Chiesa per difendere la sua dottrina dagli attacchi del protestantesimo e dei movimenti eretici, per cui la dottrina del purgatorio diventa uno dei grandi temi che attraversano l’Europa cristiana, facendo del purgatorio lo sfondo soprannaturale dell’incontro tra il dissoluto e il convitato di pietra che arriva da un aldilà dal quale i defunti possono ritornare tra i vivi per compiere opere di bene o ristabilire la giustizia. Il cattolicesimo post-tridentino, sfruttando la particolare vocazione teatrale del Barocco, dà un senso più profondo alla figura del convitato di pietra che ricompare tra i vivi sotto forma di statua per compiere la sua vendetta esemplare verso un uomo che l’ha assassinato e che ora lo sta oltraggiando da morto, per cui la riparazione dell’offesa arrecata a un’anima penitente si fonde con la leggenda del grande seduttore. Nel 1615 nel collegio di Ingolstadt, in Baviera, i Gesuiti mettono in scena per la prima volta il dramma intitolato Storia del conte Leonzio che corrotto da Machiavelli, ebbe una fine terribile, un testo che è un esempio delle finalità del teatro gesuitico, impegnato nella lotta contro il libertinismo, l’ateismo e, in questo caso, il machiavellismo. Infatti, lo scrittore fiorentino è oggetto di una accanita campagna denigratorio da parte dei Gesuiti a causa delle sue teorie considerate una diretta emanazione del demonio secondo quanto scrive il padre Kaspar Schopp, il quale in una violenta requisitoria definisce Machiavelli “uno scellerato, agente di Satana, nemico del diritto, della natura e della religione, nonché inventore dell’ateismo”. In questa paurosa vicenda il conte Leonzio incarna sia la dissolutezza propria del dongiovannismo, sia l’ateismo appreso dal suo maestro Machiavelli. Mentre attraversa un cimitero, durante una passeggiata, s’imbatte in un teschio con il quale intreccia un’accesa discussione sulla fede, sull’immortalità dell’anima, sull’esistenza dell’aldilà, sul confine tra il bene e il male, sulla stessa esistenza di Dio. Il conte, con fare sprezzante, invita a cena il teschio, il quale arriva puntuale e, per punire lo scellerato giovane, ne strazia il corpo, scagliandolo contro il muro e facendogli schizzare il cervello dal cranio. Questo tremendo spettacolo si conclude facendo bruciare sulla scena l’immagine di Machiavelli, cattivo maestro di idee e di costumi, nonché pericoloso collaboratore del demonio.
Sempre in ambito gesuitico nasce il dramma del conte Garcia di Valdeverde, un personaggio diviso tra i piaceri della carne e i doveri della fede, espressione della lotta contro l’ateismo, il libertinismo e il machiavellismo. La vita del conte Garcia è soprattutto segnata dalla trasgressione erotica che muove tutte le sue azioni e che lo spinge a passare di conquista in conquista fino a sfidare Dio stesso, quando rapisce dal convento una monaca divenuta oggetto di una sua sfrenata passione. Per questa sua insaziabile sete sessuale anche il peccatore Garcia viene punito ma in modo diverso rispetto a Don Giovanni, perché è costretto ad assistere al proprio funerale prima di essere trascinato via dal diavolo.
Molte di queste rappresentazioni sono state usate a scopo edificante non solo nei teatri dei Gesuiti, ma anche nelle chiese come si deduce dal Prologo de Il libertino dell’inglese Thomas Shadwell, dove si dice che un Atheisto fulminato era spesso rappresentato nelle chiese italiane dopo la messa “come parte del culto.
Figura 3 – Max Slevogt, Francisco d’Andrade nel personaggio di Don Giovanni
Il dongiovannismo e il culto delle anime purganti
Per tutto il Seicento, Il tema del defunto oltraggiato, che ritorna a far giustizia per sé e per gli altri, continua a persistere nell’immaginario collettivo collegato al culto delle anime del purgatorio che in vita sono state vittime di una morte violenta.
È possibile cogliere una prova di questa la popolarità nella diffusione di racconti come la Leggenda del capitano, una storia ambientata a Napoli nel cimitero delle Fontanelle, dove a margine del rione della Sanità si trova la celebre grotta-ossario, nella quale sono raccolti migliaia di teschi anonimi affidati alle pietà e alle preghiere dei devoti. Il racconto ha come protagonisti una coppia di promessi sposi che si recano in visita nella grotta-ossario: il giovane è un essere malvagio e miscredente che deride la devozione della fidanzata e, senza curarsi della sacralità del luogo, cerca di possederla sessualmente. A questo punto si leva da un teschio una voce che lo rimprovera per il suo comportamento ma l’uomo, per nulla spaventato, lo sfida a partecipare la banchetto nuziale. Il giorno delle nozze, quando la festa sta per terminare, si presenta un misterioso signore vestito di nero e con il volto semicelato che con voce potente invita lo sposo ad avvicinarsi e, quando porge la mano all’ospite, questi cade immediatamente fulminato. Con il tempo la figura del teschio si trasformerà nella statua del convitato di pietra nella commedia di Molière e nel melodramma di in Mozart, dove Leporello, servo complice-succube del padrone e suo contraltare buffo, canta nel finale “Venne un colosso…/ tra fumo e fuoco…/badate un poco…/ l’uomo di sasso…/Giusto là sotto/diede il gran botto/Giusto là il diavolo/se l’trangugiò”.
Il tema delle anime in pena e del morto giustiziere, della seduzione, della burla, dell’empietà, dell’oltraggio ai defunti e del castigo assume un ruolo centrale non solo nel teatro napoletano, ma anche nella commedia dell’arte nel cui ambito gli attori (che sono spesso anche gli autori dei testi o dei “canovacci”) sviluppano il lato comico delle avventure del seduttore assassino e del miscredente punito come avviene nella farsa del Seicento Il cavaliere Leonzio con Pulcinella spaventato dai morti al Camposanto nuovo e dalle ombre finte, dove il tragico destino del protagonista viene esorcizzato attraverso una risata liberatoria.
Figura 4 – Don Giovanni di Molière
Il volto diabolico del dissoluto
In Don Giovanni la dissolutezza e l’ateismo sono due facce della stessa medaglia: la seduzione sessuale attiene al corpo, mentre l’oltraggio ai morti attiene al mondo dello spirito e costituisce una costante scenica con l’irruzione dell’ultraterreno nella cerimonia laica del pranzo e della cena. Si possono tuttavia individuare delle varianti: nel Burlador di Tirso de Molina il protagonista chiede al convitato se è un’anima in pena e se può fare qualcosa per recargli conforto; nel Don Giovanni di Molière si avverte al contrario un clima da contro-riforma, infatti è il convitato a rivolgersi all’uomo per concedergli il tempo necessario a pentirsi prima di perdere la sua anima insieme alla vita.
Nel drammatico clima della teatralità barocca Don Giovanni mette in ridicolo il cielo e l’inferno, mescola la virtù e il vizio, è ateo e credente, è ipocrita e libertino, è un emissario del demonio, un “diavolo incarnato”. Egli diventa la più estrema delle metafore anticristiane, secondo la quale lo sprezzatore dei dogmi, l’ingannatore, l’insaziabile cacciatore di prede femminili trovano una sintesi nello stesso personaggio, nel quale il demoniaco trionfa sulla morale.
La dissolutezza infernale di Don Giovanni è tale che gli appetiti sessuali si confondono con quelli alimentari e questo li consente di essere un divoratore di cibo e di donne con lo stesso irrefrenabile appetito. La sua è un’avidità che ha dell’inumano e che lo spinge a cenare con i morti per arrivare, in alcuni casi estremi, fino a una diabolica avidità cannibalesca come avviene nell’Empio punito di Filippo Acciauoli (1669), dove il protagonista dice: “Cibo saran tue lacerate membra, tuo cadavere esangue, e berrem di tue ferite il sangue”.
Figura 5 – Don Giovanni di Mozart
In un pamphlet anonimo del 1665, intitolato Observations sur une comédie de Molière, intitulée Le festin de Pierre, Don Giovanni è definito “un demone che si mescola in tutte le scene e che spande sul teatro i più neri vapori dell’inferno”, riflettendo il pensiero di ambienti cattolici parigini secondo i quali il dramma di Molière sarebbe lo spettacolo più empio apparso sulle scene teatrali dal tempo dei pagani. In questo libello il protagonista diventa il simbolo perverso non solo del libertinaggio, ma anche dell’empietà e dell’ateismo, un vero e proprio emissario del demonio come appare nella scena del terzo atto, quando Don Giovanni offre a un mendicante un luigi d’oro a patto che bestemmi Dio, anche se l’autore delle Observations dimentica di sottolineare che l’ateo Don Giovanni dona ugualmente al povero quella moneta d’oro “per amore dell’umanità”, conferendo alla scena un significato diverso rispetto al preteso peccato di empietà. Nonostante le sue infinite trasformazioni e rivisitazioni, il mito di Don Giovanni è passato attraverso i secoli per arrivare fino a noi nonostante si viva immersa in una “società liquida”, dove le persone sono possedute e divorate con la stessa velocità. La seduzione nell’era dei social diventa virale, perché ogni persona può impunemente essere un seduttore e un sedotto, riuscendo persino a classificare le proprie potenziali conquiste per genere, per reddito, per colore della pelle, per livello culturale e per gusti alimentari: il Don Giovanni cittadino globale non consuma il sesso per amore ma per reiterazione del consumo, disponendo di una gamma infinita di possibilità per allungare la lista delle sue conquiste. Risulta esemplare il caso di un Don Giovanni made in China che rappresenta l’aspetto più svilito e avvilente del seduttore: infatti un tale Yuan è un grande cacciatore di donne a titolo oneroso, riuscendo a farsi mantenere dalle sue prede contattate via on line. L’uomo arriva a esser e fidanzato contemporaneamente con diciassette donne, ma queste scoprono di condividere lo stesso amante quando egli ha un incidente automobilistico, per cui le sedotte e ingannate si ritrovano tutte insieme intorno a un letto d’ospedale. A quel punto devono prendere atto di una squallida verità: l’affasciante Don Giovanni che circola nella Rete è solo un misero gigolò a caccia di denaro, per cui si passa dal dissoluto punito al truffatore impunito. Povero Don Giovanni: il XXI secolo non ha più rispetto nemmeno per i grandi miti del passato.