Cura e assistenza agli albori della storia: solidarietà ed organizzazione delle conoscenze
Giordano Cotichelli
Corso di Laurea in Infermieristica
Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università Politecnica delle Marche
Adelaide Nutting (1858 – 1948) (Fig. 1), professoressa di Scienze Infermieristiche presso la Columbia University, assieme alla sua assistente Lavinia Lloyd Dock (1858 – 1956), è stata la redattrice del primo manuale storico dell’Infermieristica [1] (Fig. 2). Un opera di ampio respiro che prende in considerazione l’assistenza lungo tutto il cammino dell’umanità. Un lavoro all’avanguardia per il suo tempo, forte di approcci multidisciplinari comprendenti Antropologia, Etologia, Medicina, Paleontologia, e che ancora oggi, a più di un secolo dalla sua pubblicazione, rappresenta un punto fermo per la storiografia di settore. All’inizio le autrici affrontano, nei primi due capitoli, il problema della cura in epoca preistorica, mettendo in evidenza come le conoscenze si fossero sviluppate su di un piano empirico, a partire dall’osservazione del
comportamento degli animali. In questo citano gli studi di Berdoe, il quale già nel 1893[2]elenca una serie di comportamenti tenuti dagli animali che, verosimilmente, i primi ominidi possono aver preso in considerazione nel ricercare rimedi e cure a malanni e sintomi vari. Si va dall’abitudine di alcuni animali domestici di mangiare erba al fine di ottenerne un effetto emetizzante, all’uso di leccare le proprie ed altrui ferite, con finalità antisettiche e detergenti. Viene messo in evidenza come alcuni uccelli (es. il beccaccino) abbiano la capacità di trattare piccole fratture immobilizzando le zampe lesionate in impasti ottenuti con argilla, saliva, sangue coagulato e piume, mentre risulta decisamente più drammatica la scelta dell’auto-amputazione che alcuni animali sono in grado di procurarsi per liberarsi da un arto intrappolato. In tema di lesioni il comportamento di alcuni cervi appare meno drastico, mostrando l’abitudine, di fronte a gravi ferite delle zampe, di ricercare un grande corso d’acqua dove mettere a riposare l’arto lesionato. La stessa Nutting ricorda la peculiarità dell’organizzazione strutturale di un alveare in cui sono previsti condotti di areazione e celle in cui tenere in isolamento gli individui morti che non possono essere portati al di fuori.
Molto tempo dopo le tesi elaborate dalla Nutting, un’altra storica dell’assistenza, Patricia Donahue [3] riprende le tesi di un sapere intuitivo e imitativo mettendolo in correlazione ad elementi comunicativi e relazionali. Uno degli esempi più tipici, preso sempre dall’etologia, riguarda una pratica sociale conosciuta sotto il nome di grooming, l’arte dello spulciarsi a vicenda in uso tra molte specie di primati. Per molti etologi questa non solo rappresenta un’azione assistenziale, al fine di liberarsi dei parassiti infestanti, ma un mezzo di comunicazione vero e proprio, che fuoriesce dalla stretta cerchia familiare, e si rivolge a figure significative del clan, finalizzata a rinsaldare legami e relazioni, inibendo allo stesso tempo comportamenti conflittuali ed aggressivi [4] [5], manifestando quella che, Schino e Aureli [6], definiscono come una vera e propria forma di altruismo.
Sotto questa luce, la dimensione della cura e della salute nei nostri antenati dell’età della pietra1 apporta un contributo ulteriore a quella Medicina che allora si caricava di valenze magico-religiose, con riti e figure (es. lo sciamano), tatuaggi e cicatrici rituali, bagni propiziatori, saune e digiuni estremi [7]. Quella presa in esame è un’epoca di cui non si ha disponibilità di fonti scritte, ma molti sono i reperti fossili e i manufatti, nonché le pitture rupestri e le sculture che aiutano a tracciare un quadro abbastanza realistico sulla concezione della salute, del corpo, della malattia e della cura. Su tutti valga l’esempio delle molte sculture denominate “veneri del Paleolitico”, che rappresentano non tanto e solo un ideale di bellezza femminile fine a se stesso, ma testimoniano l’importanza della cura del corpo, dell’estetica (es. la Dama di Brassempouy in Francia) (Fig. 3) o ancor più della maternità, con una raffigurazione iperrealistica di alcune parti del corpo (natiche e seni, e per questo denominate anche Veneri steatopigie, come nel caso della Venere di Willendorf in Austria). Le pitture, dal canto loro, hanno la capacità di mostrare la dimensione comunitaria delle società di cacciatori e raccoglitori di allora. Le scene di caccia o di vita quotidiana o le semplici raffigurazioni in negativo dell’impronta delle mani, come quella de La Cueva de las manos in Patagonia (Fig. 4), mettono in risalto un senso ritualistico di appartenenza, di lavoro collettivo, di società organizzata, solidale e mutualistica [8] [9] [10].
Le informazioni maggiori provengono poi dall’esame dei molti reperti fossili – completi o parziali – di ominidi ritrovati in diversi paesi (Shanidar in Iran, Sunghir in Russia, Brno in Repubblica Ceca, etc.), che mostrano come individui disabili – dalla nascita o dopo traumi o malattie – abbiano vissuto discretamente nonostante la loro condizione fisica. Gli esempi che qui vengono riportati riguardano ritrovamenti in particolare l’Italia e il Vietnam. Nel primo caso è riferito ad una località in cui da decenni sono presenti lavori di scavo (Romito, in Calabria), e per la precisione i resti del soggetto denominato di Romito 2 [11], il quale, affetto da una probabile displasia acromesomelica, è riuscito a vivere nonostante la sua disabilità e ad arrivare fino all’età di venti anni (per quei tempi!). Accanto al suo corpo, era presente anche quello di una donna sulla cui spalla l’uomo poggiava la testa. Forse, una sorta di omaggio funebre a funzioni assistenziali prestate. Anche i resti dello scheletro ritrovato in Vietnam [12] nella provincia di Ninh Binh parlano di una grave disabilità presente: atrofia alle braccia e alle gambe, anchilosi delle vertebre cervicali e altri segni tali da far ipotizzare agli studiosi australiani, che si sono occupati del caso, la presenza di una patologia denominata sindrome di Klippel Feil di tipo III. Colpito in età adolescenziale dalla malattia, il soggetto è riuscito a vivere, nonostante tutto, diversi anni. Entrambi i casi lasciano intendere la presenza di funzioni di cura da parte della comunità nei confronti dei disabili, che in tal modo sono riusciti a sopravvivere alla mancanza pressoché totale di una forma autonoma di sussistenza.
Alla fine il quadro riassuntivo con cui le cure e l’assistenza si presentavano durante l’Età della Pietra, mostra alcune caratteristiche interessanti: la presenza di saperi e pratiche in primo luogo efficaci, e condivise, in un’espressione culturale che pone la centralità del corpo e della salute, e della relazione all’interno di una società organizzata e inclusiva, in primo luogo verso – si può affermare – particolari condizioni della vita (maternità) e della malattia (disabilità) . Un panorama finale suggestivo, che a partire dalla cura e dall’assistenza, parla del progresso stesso della specie umana lungo dei presupposti irrinunciabili cui, ancora oggi, ci si riferisce: prossimità del curante, solidarietà della comunità, trasmissione del sapere.
Riferimenti bibliografici
- Nutting, M. A., & Dock, L. L. (1907). A history of nursing: The evolution of nursing systems from the earliest times to the foundation of the first English and American training schools for nurses (Vol. 2). GP Putnam’s Sons;
- Berdoe E. (1893) The Origin and Growth of the Healing Art, Swan, Sonnenschein & Co., London, 1893, p. 3 – 5
- Donahue MP. (1988) Nursing, an illustrated history the finest art, Mosby Company, St, Luis, Missouri;
- Casiddu MB, (2004) La comunicazione animale, in Manuale di linguistica, a cura di E. Savoia, De Agostini Editore, Progetto M@rte della Regione Sardegna.
- Morris D, (1978) Lo zoo umano, Mondadori Editore, Milano
- Schino G, e Aureli F. (2009) The relative roles of kinship and reciprocity in explaining primate altruism, Ecology Letters, Blackwell Publishing Ltd/CNRS, 12: 1–6
- Sahlins, M., & Trevisan, L. (1980). L’economia dell’età della pietra: scarsità e abbondanza nelle società primitive. Bompiani;
- Grmek, M. D., & Albertini, R. (1985). Le malattie all’alba della civiltà occidentale: ricerche sulla realtà patologica nel mondo greco preistorico, arcaico e classico. Il mulino;
- Thorpe N. (2016) The Palaeolithic compassion debate – Alternative projections of modern-day disability into the distant past, in Powell L., Southwell-Wright, W., & Gowland, R. (2016). Care in the Past: Archaeological and Interdisciplinary Perspectives. Oxbow Books.
- Grmek MD (1969) Préliminaires d’une étude historique des maladies. Ann. E.S.C., 1969, 24, 1473-1483;
- Tilley, L., & Oxenham, M. F. (2011). Survival against the odds: Modeling the social implications of care provision to seriously disabled individuals. International Journal of Paleopathology, 1(1), 35-42 ;
- Tilley, L. (2015). Survival with Severe Disability: A Case of Long-Term Care in Neolithic Vietnam (Case Study 1). In Theory and Practice in the Bioarchaeology of Care (pp. 191-218). Springer International Publishing.