Lampade e lucerne, tra mito e quotidianità dell’assistenza infermieristica

Giordano Cotichelli
Corso di Laurea in Infermieristica
Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università Politecnica delle Marche

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Fig. 1: La prima immagine di “The Lady with the lamp”. Fig. 3: Lucerna romana: Uomo in estasi (Compiègne Musée Antoine Vivenel)

Il 24 febbraio 1855 comparve su The Illustrated London News un’immagine raffigurante un’esile figura di donna che ispeziona un camerone di soldati feriti. Nella mano destra reca un lume attraverso il quale osserva meglio le condizioni dei pazienti (Fig.1). Il personaggio è Florence Nightingale e la sua opera rimbalzerà poi sulle pagine del Times, ad opera di John Mac Donald [1] che, sottolineerà ulteriormente l’impresa eroica dell’infermiera ricordando che, dopo aver prestato servizio durante tutta la giornata, era usa fare gli ultimi giri di visita nelle corsie con l’ausilio di una lampada. In poco tempo, dopo il reportage del Times, esploderà a livello dei media britannici una vera e propria “Florencemania” che esalterà in ogni modo il personaggio, sia per rendere omaggio al servizio sanitario prestato, sia per essere utile a dimenticare, sul piano militare, le cronache poco felici di una guerra rovinosa – quella di Crimea – che aveva visto l’umiliazione di Balaklava, il prolungarsi oltremodo della spedizione oltremare, il dover contare su alleati quali i Francesi (fino a pochi anni prima acerrimi nemici), i Turchi ed anche uno sparuto manipolo di soldati di un piccolo Regno del Nord Italia. L’operazione mediatica del resto si fa forte di un’immagine facile da veicolare: la donna, madre e sorella, protettrice delle afflizioni, quasi un Prometeo al femminile che grazie alla sua lampada non solo cura i pazienti, ma porta la luce della ragione, della scienza, del progresso umano in un’epoca intrisa di indiscutibile positivismo.

La lampada quindi quale simbolo comunicativo immediato legato ad un oggetto la cui presenza dominava la quotidianità del tempo: dai lampioni a petrolio a quelli di uso domestico, dai candelabri alle lucerne, alle lanterne rosse che minatori o operai delle ferrovie erano soliti appendere al di fuori delle baracche dove consumavano amori mercenari. Un oggetto carico di significati, in un mondo dove ancora l’illuminazione elettrica e pubblica era ben lontana da rendere “vivibile” ai più anche le ore notturne quando, accendere un lume nelle case del tempo significava dover lavorare fuori orario: al banco artigiano o allo scrittoio del letterato o accanto a qualche infermo, vegliando sul suo stato patologico, per valutarne un eventuale rapido peggioramento, a volte imprevisto e fatale.

Fig. 2: Lucerna bilicne, Museo Archeologico di Cagliari (foto Cotichelli)

Il filo della narrazione restituisce una storia, ed una prospettiva culturale del tempo – nella costruzione della figura della Lady with the lamp – che si carica di verosimiglianza interpretativa, si allarga ai miti perduti, dalla dea egizia della salute Sekhmet (anch’essa spesso raffigurata quale Signora della lampada), all’immaginario suscitato dal filosofo greco Diogene di Sinope che cercava l’uomo, munito appunto di una lanterna. Certo è che la lampada, sotto forma di lucerna, di terracotta o di metallo, era già da millenni uno strumento presente nella quotidianità degli esseri umani. Le prime lucerne ad olio si possono ritrovare negli scavi del Neolitico, e sono decisamente rozze. Quasi una foglia, ripiegata agli angoli in due lembi (Fig. 2) utili per far fuoriuscire una fiamma di luce controllata. Nel tempo dall’arte egizia a quella greca le lucerne hanno subito una certa evoluzione, munendosi di un corpo centrale, ovale o sferico, con ai lati un piccolo manico e un beccuccio per la fiamma, assumendo una forma che rimarrà pressoché immutata per millenni. Il bicorno tipico dei carabinieri del passato – ed ancora dell’alta uniforme odierna – con pennacchio centrale, era detto lucerna proprio per la sua forma somigliante.

Fig. 3: Lucerna romana: Uomo in estasi (Compiègne Musée Antoine

L’arte romana, più di quella ellenistica, amava decorarle riccamente con scene di caccia o erotiche, figure di dei o di animali, e duelli fra gladiatori. Due importanti storici della Medicina, Mirko Grmek e Danielle Gourevich, [2] in un loro lavoro sulla rappresentazione artistica della Medicina nell’antichità, mettono in evidenza un reperto in cui è raffigurato un personaggio (Uomo in estasi, Fig. 3) in una posa che fa pensare ad un opistotono di cui non vengono fornite ulteriori interpretazioni anche se ci si potrebbe lasciare suggestionare da una rappresentazione artistica utile a chi si fosse trovato a vegliare un paziente febbricitante a rischio di convulsioni. Purtroppo non si hanno altri esempi di lampade con immagini legate direttamente alla salute o alla cura, ma lo strumento, come oggetto della veglia e dell’assistenza diventa di certo utile tassello per ricostruire la storia passata. Molte le testimonianze da fonti scritte a tale proposito. Significativo il seguente passaggio: «… e in atteggiamento divoto e affettuoso s’avviano alle infermerie; lieve e a piè sospeso è il passo, basse le parole, vigile è l’occhio, l’orecchio attento anche al fiatar dell’infermo, bassa e appannata la lucerna che avvisa la giacitura de’ sofferenti, le medicine da prendere, i guanciali e le coperte da accomodare». [3]

Il passo restituisce uno spaccato dell’assistenza durante le ore notturne in cui doveva essere abbastanza complesso prendersi cura dei malati in ambienti privi illuminazione. Pazienti che nel momento del bisogno, per un innalzamento della temperatura, un dolore, un brusco risveglio trovavano attorno a loro solo il buio delle camerate non illuminate, rotto dal lamento di altri malati, in un’atmosfera carica di sofferenza ed angoscia. L’apparire di un lume, che preannunciava un intervento, una terapia, un giro di guardia routinario, di certo non poteva che risultare confortante per il sofferente. In questo la costruzione del mito della donna con la lampada risulta facile per quanto efficace. E al mito si aggiunge mito, se si ripensa alla storiografia nazionale che vuole il Capitano di ventura, Ludovico di Giovanni De Medici, detto Giovanni dalle Bande nere, sostenere il lume per aiutare il chirurgo che gli sta amputando l’arto; in una prospettiva interpretativa dove la Medicina si fa narrazione epica di una realtà vissuta dato che la luce, utile a mostrare il campo operatorio senza zone d’ombra, è da sempre strumento imprescindibile, che chiama il professionista, chirurgo o infermiere, a gestirla correttamente, pena l’impossibilità dell’intervento, e traccia un percorso evolutivo dallo stoppino intriso d’olio che brucia fino alla lampada scialitica o la più moderna fonte di luce della laparoscopia. E rimanda, anche in questo caso, al passato, con la testimonianza, fra le molte, ad opera del Capo Chirurgo Dott. Jarrin, nel 1849, il quale, dopo la battaglia di Novara, ebbe a dire: “I pur valorosi chirurghi militari medicavano come potevano dato il difetto di materiale, strumenti e di luce: in tutto una candela che spesso doveva essere tenuta alta dal ferito in mancanza di infermieri[4]. Oppure, a ritroso di più di un secolo, attraverso le memorie di una religiosa che ricorda l’iniziazione all’essere infermiera in cui: «Fu questa persuasione maggiormente efficace un’altra notte, nella quale medicando alla inferma le piaghe, e non potendo per esser sola, tener la lucerna con una mano, e coll’altra medicarla, sentissi levar la lucerna, e fecele lume per il tempo nel quale medicò la inferma. E di poi, raccomandandogliela, disparve, rimanendo ella coll’anima si accesa nel desiderio di proseguire per tutta la vita nell’impiego di infermiera». [5]

Lo strumento che riesce a restituire una quotidianità assistenziale rimanda inoltre ad un quadro che supera i confini del singolo episodio, e mette in rilievo l’organizzazione del lavoro, i costi sanitari e i comportamenti degli operatori. Si legge infatti in una raccolta di leggi Parmensi del 1822: «Le spese da pagarsi dal Tesoro sono le seguenti : il fuoco e il lume per gli astanti e per le Sale cliniche.» [6] Ed ancora in un manuale di infermieristica coevo, e in due diversi regolamenti ospedalieri, si può leggere: «Un buon infermiere avrà cura che le stanze dei malati non siano troppo rischiarate né dalla luce del sole, né da quella delle candele o lucerne» [7], «Art. 18 – Il sotto Infermiere dovrà ogni notte esser di guardia per assister gli infermi in tutti i loro bisogni, curare l’illuminazione, e somministrare i rimedj, che sono stati agli ammalati prescritti» [8], «Art. 126 – Per l’illuminazione dei locali dello spedale, che pel servigio qualunque, saranno sempre adoperate lucerne ad olio e non mai candele. In caso di bisogno assoluto il direttore ne potrà consegnare all’infermiere quella. [9]

Come non pensare alle lunghe notti di veglia, alla stanchezza, alla solitudine, dei pazienti e dei professionisti. Fino agli anni ’20 del secolo scorso, in molti ospedali i turni degli infermieri in certi casi potevano coprire le 29 ore di guardia senza un giorno di riposo[10]. In un panorama di precarietà assistenziale e lavorativa, nonché sanitaria, in cui molto facilmente sciatteria e malavoglia potevano far saltare qualche giro di ispezione, reso ulteriormente sgradito dal percorrere lunghi corridoi ospedalieri alla tenue luce di una lucerna, magari scarsamente alimentata per “risparmiare” sui costi. Ed oltremodo rimanda alla difficoltà nel vegliare un paziente, o un parente, in condizioni pressoché di oscurità dove comunque si doveva essere in grado di poter osservare e valutare in maniera utile lo stato di salute dell’assistito. Quasi un profondo moto di compassione professionale sale su dall’animo, generando un senso di partecipazione e solidarietà con il collega del passato. Nella quotidianità attuale la luce continua ad essere uno strumento di assistenza e di cura, in ambiti e sotto forme decisamente diversificate ed evolute, e per il semplice giro di ispezione, alla vetusta lucerna o candela, si è alternata la torcia portatile, anche nella versione aggiornata di semplice applicazione di uno smartphone. Alla modernità degli strumenti e delle innovazioni, resta legato il filo della continuità del gesto e del sentire della professione assistenziale e di cura accanto al bisognoso in piena notte

Fig. 4: La lampada nell’iconografia infermieristica italiana ed internazionale (foto Cotichelli)

L’attenzione e la premura, la capacità di gestire le proprie conoscenze e la dimensione relazionale, dal villaggio neolitico alla domus romana, dall’accampamento militare alla cella di un ospedale medioevale, alla corsia moderna, ben restituisce il mito attraverso una quotidianità che rimanda alla britannica Lady with the lamp, e alla relativa iconografia (Fig. 4), che caratterizza un po’ tutto l’associazionismo professionale a livello internazionale, ma ancora più lega ogni infermiere ai tanti colleghi sconosciuti persi nelle pieghe del tempo, o delle notti di veglia, ma non in quelle della disciplina e del cuore.

Riferimenti bibliografici

  1. Farmer, A. (2015). Access to History: The British Experience of Warfare 1790-1918 Second Edition. Hachette UK
  2. Grmek, M. D., e Gourevitch, D. (2000). Le malattie nell’arte antica. Giunti Editore.
  3. Bresciani, Padre Camillo Cesare (1855), Vita di Don Pietro Leonardi, sacerdote veronese missionario apostolico, fondatore della congregazione delle figlie di Gesù, Tipografia Antonio Frizierio, Verona, pag. 37.
  4. Rocco G, Cipolla C, e Stievano A. (2015). La storia del nursing in Italia e nel contesto internazionale. Franco Angeli.
  5. Anonimo, (1727) Vite di molte venerabili madri Carmelitane Scalze, e discepole di S. Teresa, Venezia, pag. 135
  6. AA.VV. (1822) Raccolta Generale delle leggi per gli Stati di Parma, Piacenza e Guastalla, Tipografia Ducale, Parma, pag. 53;
  7. Rusca e, (1833) Manuale dell’infermiere ossia istruzione di assistere i malati, coi Tipi di Paolo Andrea Molina, Milano, pag. 39;
  8. AA. VV. (1845) Statuti per lo servizio interno de lo Spedale civico di Palermo, Stamperia Demetrio Barcellona, Palermo, pag. 164
  9. AA.VV. (1852) Raccolta Generale per le leggi degli stati Parmensi, Tipografia Reale, Parma, pag. 359
  10. Baccarani U. (1909) Infermieri e infermiere, Modena, Società Tipografica Modenese, 1909, p.57.
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