Giuseppe Realdi
Università degli Studi di Padova
Cosa si intende per pseudoscienza
Il termine pseudoscienza è riferito ad ogni teoria o metodologia o pratica che afferma di essere scientifica, ma che non dimostra i criteri della scientificità. Le teorie scientifiche infatti sono costruite in modo da poter essere smentite dai fatti e, quando questo succede, finiscono per essere abbandonate. Nella scienza, le teorie che non superano la prova dei fatti vengono sostituite, prima o poi, da altre che descrivono meglio la realtà. E’ questo il criterio proposto da Popper della falsificazione (1972), chiamato anche criterio di demarcazione, per distinguere la scienza da ciò che scienza non è. Nella pseudoscienza questo criterio non trova adozione: per esempio, ci sono ormai molti studi che mostrano come gli effetti dell’omeopatia siano pari a quelli del placebo, ma gli omeopati non hanno rinunciato alla loro teoria e si sono solo limitati a puntellarla con ipotesi ad hoc, come quella secondo cui a causa della sua natura altamente personalizzata, l’omeopatia non potrebbe essere studiata con metodi scientifici (EASAC, 2017). Le pseudoscienze sono definite “pseudo” non tanto per i loro settori di studio, alcuni interessanti, ma per la loro modalità di proporsi, in quanto fondano i loro risultati su metodologie che sono prive di riproducibilità, trasferibilità, falsificabilità e verificabilità, proprietà peraltro mai assolute neppure per le teorie scientifiche. Scienza e pseudoscienza sono pertanto molto diverse quanto al rapporto tra fatti e teorie. Mentre le teorie scientifiche discendono dall’osservazione dei fatti e si evolvono, spesso in modo imprevedibile, per adeguarsi ai fatti nuovi che vengono scoperti, le pseudoscienze nascono intorno a basi teoriche proposte come irrinunciabili, e cercano solo i fatti che possano confermarle, ignorando o manipolando gli altri. I concetti chiave delle pseudoscienze spesso assomigliano di più a quelli del paranormale che a quelli della scienza vera e propria. Anche l’impossibilità di rinunciare alle proprie basi teoriche rende le pseudoscienze più simili nella sostanza alle credenze paranormali e religiose che alle teorie scientifiche, a cui somigliano solo in superficie. Basi teoriche come queste, tra l’altro, aiutano a spiegare il successo popolare di alcune pseudoscienze: sono intuitive e rassicuranti ed è comprensibile che vi siano persone chi le difendono e le adottano come valide per gli auspicati effetti favorevoli sul loro stato di salute e per la frequente mancanza di effetti collaterali.
Medicine non-convenzionali o complementari e alternative
La distinzione tra scienza e pseudoscienza ha importanti ripercussioni su molte decisioni, nella vita privata e pubblica, come la cura e il mantenimento della salute, il settore giudiziario, la politica dell’ambiente, i contenuti dell’educazione, le modalità della comunicazione attraverso i media. Nel campo medico, il problema riguarda le medicine non convenzionali o medicine complementari e alternative. Per medicina alternativa s’intende un variegato e disomogeneo sistema di pratiche proposte per la cura di varie patologie, per le quali non esistono dimostrate prove di efficacia. Per tali motivi non vengono ricomprese nella medicina scientifica. La loro genesi è diversa: pratiche mediche tradizionali, aneddoti, credenze popolari o spirituali. Queste pratiche sono spesso raggruppate sotto il termine di “medicina complementare”, e si parla perciò di medicine alternative e complementari (CAM). Il termine medicina complementare descrive quelle pratiche usate in associazione o come complemento di terapie tradizionali. Analogamente si parla di “medicina integrativa” per quella medicina che usa pratiche tradizionali e alternative insieme (Harrison, 2012). La mancata accettazione delle medicine alternative dalla comunità scientifica non è assoluta: nel momento in cui le ricerche effettuate con il metodo scientifico consentono di misurare l’efficacia del trattamento alternativo, questo esce dall’alveo della medicina alternativa per confluire nel contesto della medicina scientifica. In Italia, la legislazione che regola l’uso delle medicine non convenzionali è ricca e in continuo aggiornamento. Essa prevede le prioritarie approvazioni da parte di FNOMCeO e della Conferenza Stato-Regioni. L’ultima normativa di FNOMCeO “per la formazione nelle medicine e pratiche non convenzionali riservate ai medici chirurghi e agli odontoiatri” è del novembre 2015 e stabilisce l’istituzione di sette discipline, integrando le linee guida della Federazione del dicembre 2009. La tabella riassume tali discipline e ne riporta la definizione data dalle due normative citate. Altre due discipline, l’osteopatia e la chiropratica, sono attualmente oggetto di dibattito parlamentare in corso di approvazione. Esse sono fatte rientrare nelle professioni sanitarie e per esse è prevista la laurea abilitante o titolo equipollente. In Italia, l’esercizio di queste pratiche non convenzionali è regolamentato da decreti, delibere e accordi bilaterali e la loro pratica viene definita come un atto medico di esclusiva competenza e responsabilità professionale del medico, dell’odontoiatra, del veterinario e del farmacista, ciascuno per le rispettive competenze. Chi le pratica senza questo requisito commette un atto illegale, punibile penalmente. Esse sono considerate sistemi di diagnosi, di cura e prevenzione che affiancano la medicina ufficiale. Questa posizione si fonda sul principio che qualunque intervento terapeutico debba essere preceduto da una diagnosi corretta. Casi particolarmente eclatanti di medicina alternativa alle cure mediche ufficiali sono stati, in Italia, il Siero Bonifacio, la cura Di Bella e il metodo Stamina, tutti bocciati a livello scientifico e non consentiti. Sempre nell’ambito della deontologia medica, anche il problema recente sui vaccini ha trovato dibattito non solo in Italia, ma in ambito internazionale, a causa del rifiuto da parte di alcuni settori della popolazione, perché considerati, senza alcuna prova plausibile, pericolosi.
Il malato è il vero destinatario di ogni cura medica
Le teorie scientifiche sulle quali si basa ogni decisione razionale si limitano a descrivere la realtà dei fatti e degli oggetti. Spetta all’uomo applicare la conoscenza alla soluzione dei problemi che la persona malata gli pone dinnanzi. Per attuare questo scopo, il medico traferisce conoscenze e competenze al singolo malato, facendo ricorso al metodo clinico, definibile come una procedura adeguata a risolvere problemi e prendere decisioni. Questa azione o prassi si fonda su elementi descrittivi (la conoscenza e la competenza), e su principi prescrittivi e normativi (le regole del ragionamento). Pertanto è il singolo malato il vero e unico scopo del lavoro del medico. Ogni persona umana ha una sua individualità e complessità e la comprensione di questa realtà, non essendo pienamente descrivibile e contenibile in leggi scientifiche, richiede un approccio globale, olistico, evitando ogni dicotomia tra mente e corpo. E’ per questo che al medico è lasciata, a livello istituzionale e personale, piena libertà di adottare ogni rimedio, allo scopo di restituire salute e dignità, come recita anche il Codice di Deontologia Medica della FNOMCeO (art. 15-16) (2014) La prescrizione è concessa al medico sotto la sua piena responsabilità e con il totale consenso e coinvolgimento del paziente. Questa raccomandazione è ribadita con forza anche da un recente contributo dell’EASAC, un Comitato di scienziati accademici afferenti agli Stati dell’Unione Europea (2017). Il Comitato sottolinea sia la necessità di chiarezza del medico nello spiegare la prescrizione di prodotti non convenzionali sia l’importanza dell’adozione di requisiti regolatori per tutti gli stati dell’EU.
L’effetto placebo delle medicine non convenzionali
Già si è accennato al possibile effetto placebo (dal latino: io piacerò) delle medicine non convenzionali . Un placebo può essere definito come un intervento medico inerte o vano o inattivo (sia esso medico o chirurgico), che viene tuttavia somministrato come se fosse un intervento attivo. Gli aggettivi “inerte e vano” sono riferiti alla decisione del medico, che è anche colui che somministra l’intervento; la parola “attivo” è l’aggettivo specifico attribuito dal paziente all’intervento stesso. Si parla anche di “effetto placebo” per intendere le variazioni dello stato di salute del paziente, intese come esiti di malattia, o effetti clinici, funzionali o psicologici, positivi o negativi, a seguito dell’intervento sopradetto, piuttosto che riferiti a specifiche modificazioni biochimiche o anatomiche o funzionali attribuibili all’intervento attivo. In realtà l’effetto placebo sta a indicare la comparsa di alcuni effetti su chi lo usa, significando quindi che pur essendo farmacologicamente inerte, in realtà mantiene una sua attività. Quindi il placebo costituisce di per sé un’entità paradossa: è definito inerte, ma può risultare capace di qualche effetto. Come accennato, il placebo non si limita ad essere un composto materiale, ma può essere qualsiasi azione o intervento non farmacologico: un’attenzione particolare nei confronti del malato, l’uso di un linguaggio incoraggiante o rassicurante, la partecipazione ad uno stato emotivo, di disagio o di sofferenza, un consiglio di natura esistenziale, una motivazione ad uno stile di vita o a un cambio di cura, una spiegazione con l’utilizzo di materiale didattico, la proposta di partecipare ad una sperimentazione clinica, un coinvolgimento di natura religiosa. Così dicasi per l’impatto già in ambulatorio di alcuni dispositivi diagnostici, quali l’ elettrocardiografo, il manometro, il pulsossimetro, l’ ecografo. Anche un atto chirurgico finto può essere un placebo particolarmente incisivo. Chi propone un placebo può essere consapevole di somministrare un preparato privo di attività specifica, ma può essere anche ignaro di ciò, convinto lui stesso di prescrivere un farmaco realmente dotato di attività specifica. E’ chiaro che il medico non solo deve essere informato di ciò che prescrive, ma anche informare adeguatamente il paziente, evitando ogni sotterfugio o inganno.
Medicine e pratiche non convenzionali previste dalla normativa italiana e loro definizione
1.AGOPUNTURA: metodo diagnostico, clinico e terapeutico che si avvale dell’infissione di aghi metallici in ben determinate zone cutanee per ristabilire l’equilibrio di uno stato di salute alterato Definizione di Osteopatia e di Chiropratica. Le due discipline sono oggetto di un disegno di legge in corso di approvazione in Parlamento (ottobre 2017) |
Diverso è il caso degli studi clinici controllati randomizzati (RCT), effettuati allo scopo di ottenere prove di efficacia nei confronti di nuovi farmaci, confrontati con farmaci considerati di efficacia inferiore, o con non farmaci. In questi casi si tratta di attività di ricerca nella quale il malato viene informato che, per sorteggio, potrebbe ricevere o il farmaco vero o un placebo, cioè un prodotto presumibilmente meno attivo rispetto al farmaco con il quale viene confrontato, ma da esso indistinguibile per forma, colore, dimensioni, somministrazione. L’informazione al paziente non sarà in questi casi solo adeguata, ma anche scritta, come definito dalla vigente normativa (consenso informato). Quanto descritto in merito al placebo è utile per comprendere il suo accostamento ai prodotti non convenzionali, in particolare ai prodotti omeopatici. Il problema va fatto risalire a quanto detto in precedenza sul malato, un essere umano dotato di corpo e di mente, cioè di organi e apparati, ma anche di emozioni, intelligenza e cultura. Il malato si aspetta dal medico non solo una diagnosi di malattia, ma anche comprensione del suo alterato equilibrio psico-fisico, fonte non solo di dolore o ridotta funzione, ma anche di perdita di autonomia, alterate relazioni con gli altri e con il mondo esterno, isolamento, emarginazione. La comprensione richiede relazione attiva da parte del medico, empatia, partecipazione, motivazione. Il paziente ha bisogno non solo di una diagnosi e di una cura, ma anche di essere compreso e riconosciuto nel suo squilibrio relazionale. Il malato ha delle aspettative e il medico è chiamato a dare risposte a queste aspettative globali, risposte che devono essere vere, comprese e accettate dal malato, fatte proprie. E’ da una visita medica effettuata nella sua completezza, che scaturisce non solo una diagnosi adeguata, ma anche la trasmissione di fiducia, di serenità e di conforto, spesso traducibili in un senso di iniziale guarigione. In questo atto medico, l’attività professionale clinica del medico si embrica con l’effetto placebo del suo agire, e le due azioni sono spesso indistinguibili, in quanto l’insieme degli effetti psicologici e fisiologici prodotti dalla relazione empatica medico-paziente si sovrappongono con gli effetti prodotti dall’eventuale trattamento farmacologico o dall’effetto placebo. Pertanto le variazioni attribuite al placebo non sono variazioni che avvengono per caso, ma proprio come la conseguenza dell’atto medico nella sua globalità, compreso il contesto nel quale si realizza (Dobrilla, 2017). E’ per questo motivo che gli effetti clinici osservati con l’uso dei prodotti omeopatici sono stati considerati come effetto placebo (Shang, 2005).
Se le medicine non convenzionali sono considerate non far parte della scienza, questo non significa che se ne debba invocare una loro proibizione. Nella realtà dei fatti il loro utilizzo, anche in Italia, risulta assai diffuso. E questo in nome di un principio di libertà che viene riconosciuto ai malati e ai medici nella scelta di come e dove curarsi ed essere curati. Ciò che maggiormente importa è definire l’aspetto medico e professionale del problema, allo scopo di assicurare una scelta informata da parte del paziente, fornendo al paziente stesso e alla popolazione gli elementi di base per una informazione appropriata e aggiornata alle conoscenze scientifiche del momento, affinché la decisione dei consumatori sia ponderata e razionale, nella salvaguardia della loro salute, nel rispetto dei principi etici e nel maggior contenimento della spesa individuale e collettiva. Del resto se il paziente migliora anche solo soggettivamente con un trattamento non convenzionale e se la scelta di questo trattamento non sostituisce o non ritarda una cura con farmaci convenzionali dimostratasi efficaci, né ritarda una diagnosi importante di patologie anche a rischio di vita o di disabilità, né costituisce per il paziente costi eccessivi, né crea speranze di salute immotivate, in questo caso, sussistendo queste condizioni, si può affermare l’assenza di riserve per la prescrizione di tale trattamento. Ma anche in tale evenienza, chi decide deve essere un medico preparato, che ha escluso patologie di rilievo e che conosce bene le potenzialità e i limiti del prodotto-placebo che intende usare (EASAC,2017).