Ematologia di Laboratorio. Esame emocromocitometrico e Striscio del sangue periferico – I parte

Attilio Olivieri, Erica Morsia
Dipartimento di Scienze cliniche e molecolari, Clinica di Ematologia
Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università Politecnica delle Marche

Introduzione

Il sangue costituisce l’essenza della vita e rispecchia in ogni dettaglio le alterazioni di organi apparentemente lontani. Esaminare il sangue costituisce da decenni lo strumento più immediato per risalire alle cause di uno stato morboso, di sintomi apparentemente inspiegabili con la clinica e l’imaging. Col passare degli anni le indagini sui campioni di sangue si sono moltiplicate ed hanno raggiunto livelli di sensibilità e di precisione inimmaginabili fino a qualche decennio fa. A partire dalla citogenetica, alla PCR per le malattie virali ed i marcatori tumorali, fino alla proteomica ed alla biopsia liquida: ormai qualche microlitro di sangue può consentirci di fare alcune diagnosi per le quali una volta era necessario un intervento chirurgico. Eppure tutto è iniziato da alcuni semplicissimi test, effettuati sulle due parti principali del sangue: l’emocromo ed il protidogramma.

Oggi parleremo dell’emocromo e dell’esame diretto delle cellule del sangue.

Il sangue, come sappiamo è un sistema bifasico costituito da una fase liquida, il plasma, formato da sali minerali e organici in soluzione, nella quale sono sospese cellule nucleate (globuli bianchi), non nucleate (globuli rossi) e frammenti citoplasmatici (piastrine). L’emopoiesi è un processo mediante il quale vengono prodotte le cellule del sangue e nell’adulto avviene nell’interstizio extravascolare del midollo osseo, nel quale sono residenti le cellule staminali totipotenti. Da queste ultime si differenziano i precursori non circolanti che, dopo maturazione, lasciano il parenchima attraverso l’endotelio fenestrato per emergere nei seni venosi e iniziare la loro vita nel circolo sanguigno.

1. Indagini quantitative sulle cellule del sangue periferico

L’esame emocromocitometrico è il test di pertinenza laboratoristica che ci permette di valutare le cellule circolanti nel sangue ed è di solito eseguito utilizzando strumenti automatizzati. Il referto che da ciò ne deriva deve riportare dati numerici universali, utili e facilmente interpretabili. I parametri usualmente compresi nell’emocromo completo automatizzato sono : RBC (red blood cells) ottenuto con elettro-ottica impedenziometrica; Hb (hemoglobin) con spettrofotometria; MCV (mean corpuscolar volume) e RDW (red distribution widht) con forward scatter; PLT (platelet count) con elettro-ottica impedenziometrica; WBC (white blood cells) con elettro-ottica impedenziometrica e DLC (differential leukocyte count) con forward scatter/ citochimica impedenziometrica/alta frequenza.

I globuli rossi, per svolgere la loro funzione di ossigenazione dei tessuti, devono mantenere le loro caratteristiche morfologiche e chimico- fisiche: forma a disco biconcavo; ambiente interno costante per mantenere l’emoglobina nella forma ridotta e un certo grado di elasticità per sopportare le sollicitazioni meccaniche nel microcircolo. La vita media di un globulo rosso viene valutata con tecniche isotopiche di incorporazione di cromo radioattivo ed è 120 giorni, al termine dei quali la cellula viene rimossa per obsolescenza dal circolo sanguigno tramite il processo di emacateresi operato dai macrofagi della milza, del fegato e del midollo osseo.

Lo studio della serie eritroide tramite l’esame emocromocitometrico avviene con al valutazione dei seguenti paramentri: RBC, conteggio dell’emoglobina e indici eritrocitari.

L’acronimo RBC indica la concentrazione di globuli rossi per unità di volume di sangue periferico anticoagulato con EDTA-K3; la variabilità biologica di questo parametro è influenzata da: età e sesso, esercizio fisico e condizioni ambientali quali la diminuita pressione parziale dell’ossigeno che si osserva ad elevate altitudini. Il parametro RBC può essere determinato con metodi diretti come la microscopia ottica o con metodi indiretti tramite contatori elettronici di particelle o counters che misurano la luce dispersa dai globuli rossi isolati e immersi in flusso in misura proporzionale alle loro dimensioni. Dall’insieme delle misure dei volumi si ottiene l’MCV e il rapporto tra il grado di dispersione (deviazione standard) delle misure dei volumi intorno al valore centrale (MCV) e il valore medio permette il calcolo del coefficiente di variazione percentuale o indice di anisocitosi (RDW).

L’alterazione del parametro RBC ci può orientare su due condizioni: se è inferiore al valore target di normalità si parla di anemia e si può associare a sanguinamento cronico o acuto, distruzione dei globuli rossi, carenze nutrizionali, disordini o danni midollari, patologie infiammatorie croniche e insufficienza renale; se è superiore rispetto al valore target di normalità si parla di policitemia e può essere imputata a disidratazione, patologie infiammatorie polmonari, patologie oncologiche quali tumori del rene o altre formazioni eteroproduttive che secernono eritropoietina, abitudine tabagica, cause genetiche quali alterata sensibilità all’ossigeno, anomalie del rilascio dell’ossigeno emoglobinico e patologie clonali quali la policitemia vera.

L’alterazione del MCV può dare microcitosi (se <60 fl) imputabile ad esempio a carenza marziale o disordine talassemico o macrocitosi (se >120 fl) causata da un processo rigenerativo a carico dell’eritrone, carenza di vitamina B12 e folati o associata a disordini midollari mielodisplastici.

La determinazione della emoglobina si basa sull’utilizzo di contatori elettronici, sulla misura sprettrofotometrica a 540 nm dell’assorbanza dell’emolisato di un volume misurato del campione. Il valore centrale della distribuzione di frequenza degli indici di rifrazione misurati per un campione di globuli rossi rappresenta la concentrazione corpuscolare media dell’emoglobina (mean hemoglobin corpuscolar concentration, HCHM). L’ampiezza della distribuzione che corrisponde alla deviazione standard della distribuzione di frequenza rapportata al valore della media corrispondente rappresenta un indice di anisocromia (HDW).

Se in un campione di sangue periferico aumenta il numero degli eritrociti con un basso contenuto di emoglobina corpuscolare si parla di ipocromia e si può presentare nella maggior parte delle forme di anemia acquisita o ereditaria; al contrario sono rare le condizioni di aumento della concentrazione di emoglobina corpuscolare come la sferocitosi ereditaria.

Gli altri indici eritrocitari vengono calcolati a partire dai precedenti parametri; i principali sono: MCH (mean corpuscolar hemoglobin) ottenuto dal rapporto tra il valore della concentrazione di Hb e il numero di globuli rossi e MCHC (mean corpuscolar hemoglobin concentration) ottenuto dal rapporto tra MCH e l’ematocrito. Il loro utilizzo principale è nella classificazione delle anemia.

Il conteggio dei reticolociti viene richiesto in caso di anemia per vedere se causata da eritropoiesi inefficace. I reticolociti sono i precursori diretti dei globuli rossi, fisiologicamente costituiscono una quota pari al 0,5-2% dei globuli rossi totali circolanti e da questi si distinguono per la presenza di mitocondri o loro frammenti e di sostanza basofila di natura ribosomiale. Possono essere riconosciuti tramite la colorazione con blu brillante di cresile o blu di metilene, che provocano al precipitazione del materiale ribosomiale sottoforma di fine reticolo (attualmente si usano anche colorazioni come acridina-orange). In numero di reticolociti può essere espresso in percentuale rispetto al numero di eritrociti circolanti, ma è preferibile correggere il valore moltiplicandolo per il rapporto tra Hct del paziente con Hct di riferimento dando così l’indice reticolocitario.

Si considera il valore di indice reticolocitario superiore a 2,5 come indicante una condizioni di anemia rigenerativa mentre se è inferiore a 1 indica una ipoplasia eritropoietica. Nelle anemie rigenerative (carenziali ed emorragiche), instaurando un adeguato rifornimento di elementi utili alla eritropoiesi, il conteggio incrementa e rimane superiore ai valori di riferimento finchè non si ripristina il normale contenuto di emoglobina; in presenza di eritropoiesi inefficace (anemie megaloblastiche, sindromi mielodisplastiche, talassemie) possono avvenire due fenomeni: una distruzione precoce delle cellule eritroidi nel midollo e alterazioni morfologiche e funzionali caratteristiche, come l’aumento della bilirubina indiretta. Nella condizione di midollo eritropoietico la risposta iperplastica del midollo con espansione dell’introne si accompagna a un conteggio di reticolociti depresso, poiché molti elementi non maturano a sufficienza e non raggiungono la circolazione periferica. Il conteggio delle piastrine (PLT) per unità di volume di sangue periferico anticoagulato con EDTA o citrato di sodio è uno dei parametri fondamentali dello studio dell’emostasi.

Le piastrine o trombociti sono frammenti cellulari che giocano un ruolo fondamentale nella coagulazione; l’esame emocromocitometrico ci permette di misurare il numero e la grandezza delle piastrine presenti nel campione.

Il conteggio delle piastrine viene effettuato con contaglobuli automatici, ma dovrebbe essere confermato tramite l’osservazione dello striscio di sangue periferico colorato con May Grumwald Giemsa perché artefatti derivanti dalla frammentazione dei globuli rossi o la presenza di piastrine giovani e rigenerative di dimensioni elevate contribuiscono a falsi conteggi automatici. Inoltre nella fase preanalitica è di fondamentale importanza impedire la formazione di aggregati che possono causare in campioni con EDTA una falsa piastrinopenia.

Una diminuzione delle piastrine circolanti può derivare da un difetto midollare o da un aumento della distribuzione o del consumo periferico, ma al sintomatologia emorragica si ha solitamente per conteggi inferiori a 40.000/mm3. Il conteggio piastrinico può risultare diminuito in diverse condizioni patologiche quali infezioni virali (mononucleosi, morbillo, epatite), infezioni da Rickettsie, autoanticorpi contro le piastrine, utilizzo di alcuni farmaci (acetaminofene, chinino, sulfamidici), cirrosi, malattie autoimmuni, sepsi, neoplasie ematologiche come leucemie e linfomi, mielodisplasie, chemio e radioterapia. La presenza di una elevata conta piastrinica si può invece associare a patologia tumorali (tumore al polmone, gastrointestinale, seno, ovaio, …), artrite reumatoide, malattie infiammatorie intestinali, lupus eritematoso sistemico, anemia ferro carente, anemia emolitica o più raramente a un disordine mieloproliferativo quale trombocitemia essenziale.

La valutazione dei globuli bianchi nell’esame emocromocitometrico avviene tramite il conteggio dei globuli bianchi e la conta differenziale dei globuli bianchi.

Il conteggio dei globuli bianchi si effettua tramite tecniche automatizzate di tipo elettro-ottico, dopo la lisi dei globuli rossi con saponina, i globuli bianchi vengono blandamente fissati con acido acetico diluito, mentre la misura dell’intensità della luce scatter ne fornisce le dimensioni.

Con il termine leucopenia si indica la presenza di valori di globuli bianchi totali inferiori a 4000/mmc3, mentre il termine leucocitosi indica un aumento dei valori sopra a 10000/mmc3. La conta leucocitaria risulta utile nel monitoraggio dei pazienti emopatici, con processi infettivi acuti o cronici, per valutare la risposta terapeutica dopo chemioterapia o radioterapia. Le cause di leucocitosi sono molteplici, tra queste si annoverano emorragie, periodo postpartum, traumi, terapia steroidea, infiammazioni, condizioni allergiche come l’asma, esercizio fisico intenso e patologie ematologiche come la leucemia e i disordini mieloproliferativi. La leucopenia può essere causata da patologie midollari, malattie autoimmuni, sepsi, linfomi o altri tipi di tumore e patologie del sistema immunitario (ad esempio HIV). La conta differenziale dei globuli bianchi viene eseguita tramite lo studio dello striscio di sangue periferico.

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