Massimiliano Marinelli
Medicina narrativa
Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università Politecnica elle Marche
Nell’articolo si tenta di determinare l’essenza della Medicina narrativa, partendo fenomenologicamente dalla sua scena primaria: qualcuno si rivolge per sé o per qualcun altro ad un curatore, in vista della liberazione dal male da cui si sente colpito o che ritiene che qualcun altro, a cui tiene, ne sia affetto. Dall’analisi di questa scena la Medicina narrativa appare una pratica comunicativa che orienta la cura verso la persona. In quanto tale la Medicina narrativa rende la cura un compito da assolvere assieme al paziente, alla ricerca di una possibile concordanza. La comunicazione efficace in sanità non può essere affidata soltanto alla spontaneità di procedure e di forme comunicative innate o attitudini personali, ma è necessario che ogni operatore sanitario acquisisca e sviluppi specifiche abilità comunicative tramite training e percorsi formativi che considerino anche i contesti e le situazioni temporali e contingenti1
- Premessa
Con queste parole il Ministero della Salute, da una parte individua una lacuna formativa e dall’altra ribadisce la necessità di costruire programmi formativi, per raggiungere un livello efficace di comunicazione in sanità.
La necessità formativa, che si configura come vera e propria urgenza, è legata a numerosi fattori, tra i quali si svilupperanno solo alcuni temi.
Esiste un’intrinseca difficoltà medica a comunicare efficacemente quando il rapporto non riposa più sul terreno familiare biomedico, ma si orienta verso il paziente che, quindi, aumenta il peso decisionale e richiede una quantità e una qualità adeguata di informazioni.
D’altra parte, la maggiore complessità della Medicina offre un ventaglio di opzioni terapeutiche da esaminare e alza il livello basale di alfabetizzazione sanitaria necessaria per assumere una decisione consapevole.
La comunicazione sanitaria, quindi, dovrebbe stabilire il livello di Health Literacy del soggetto con il quale si parla, per allinearsi al suo livello e innestare così, un percorso virtuoso verso la comprensione della situazione.
Per tali motivi sono state elaborate e proposte guide e piattaforme comunicative ed esistono tecniche che intendono far acquisire abilità particolari, per raggiungere gli obiettivi prefissati che realizzano una comunicazione efficace.
I diversi modelli usati per la formazione nella comunicazione possiedono dei principi comuni che costituiscono gli elementi essenziali di ogni conversazione in una visita medica.
Essi sono stati individuati in:
- la costruzione della relazione;
- l’apertura della discussione;
- la ricerca delle informazioni;
- la comprensione della prospettiva del paziente;
- la condivisione delle informazioni;
- il raggiungimento di un accordo sul piano terapeutico;
- un’adeguata chiusura della comunicazione2.
Seppure si condivida l’opportunità di incorporare tali elementi, o di adottare per intero una delle diverse guide nei programmi formativi alla comunicazione, si ritiene che tale tattica didattica non sia sufficiente per produrre quel cambiamento necessario, per interiorizzare le tecniche nella pratica clinica e mantenere nel tempo un buon livello comunicativo con i pazienti.
I modelli, infatti, tentano di risolvere il problema fondamentale di ricercare attraverso le evidenze provenienti dagli studi clinici quale tecnica utilizzare per orientare il rapporto verso il paziente, riconoscendo l’importanza di accoglierne la prospettiva e di raggiungere un piano di azione condiviso, tuttavia non affrontano, in modo sistematico, gli aspetti etici e filosofici del significato di un orientamento della cura verso la persona che propone al medico di integrare nella sua professione un diverso punto di vista e di costruire su basi differenti la relazione di cura.
Se tale integrazione non si realizza, se il medico rimarrà esclusivamente nel versante scientifico, certamente potrà impiegare le skill acquisite nel programma formativo, ma correrà il rischio di gestire la tecnica in modo paternalistico, per convincere il paziente ad accettare quanto si ritiene sia la scelta migliore, oppure di disperdere, a fronte della durezza della realtà lavorativa, quanto si è imparato3 perché non ancorato ad una riflessione personale.
Ciò che non è stato ancora del tutto compreso è che obiettivi come: la costruzione della relazione, la comprensione della prospettiva del paziente, il raggiungimento di un accordo sul piano terapeutico esorbitano dal territorio del trattamento dell’ente malattia e si rivolgono verso una persona che ha sentimenti, aspettative e desideri.
In questa rivoluzione comunicativa che vede la persona al centro e il trattamento della malattia flesso nella prospettiva del paziente, il medico non è preparato, con il rischio di non prendere in considerazione il profondo significato de i contesti e le situazioni temporali e contingenti alla base del monito del Ministero della Salute.
Il contesto, infatti, si rifà alla storia che fa di quel soggetto un essere unico ed irripetibile, il sottolineare la situazione temporale inaugura l’ingresso in Medicina della narrazione poiché il tempo diviene tempo umano nella misura in cui viene espresso in un modulo narrativo4.
La contingenza fa riferimento al livello extra scientifico di ciò che può accadere o no, alle sorprese e alle disgrazie che sfuggono alle rigide regole di causalità alle quali il medico è abituato.
Per tener conto di tali elementi, quindi, è necessario incoraggiare i medici ad uscire dai propri rassicuranti cantucci, per un avventurarsi nel territorio impervio della soggettività, della richiesta di senso e dell’incertezza causale.
Negli ultimi anni La Medicina Narrativa ha colto la sfida formativa di insegnare a muovere passi risoluti verso il paziente e i suoi vissuti. L’approccio narrativo appresenta uno degli strumenti primari per iniziare un tale percorso.
- Approccio narrativo
Il termine appròccio deriva dal francese approche, deverbale di approcher (approcciare) che a sua volta deriva dal latino tardo appropiare da prope vicino5. Da prope troviamo propinquio con il suffisso inquo somigliante al tipo indiano yank, ik tipico delle definizioni geografiche. Il superlativo di prope è prossimo. Un approccio, dunque, è un avvicinarsi, un accostarsi a qualcuno. È un atto, non una semplice intenzione: l’approccio non è mai un mero contatto, ma un atto intenzionale. Con approccio si può intendere anche un primo contatto a qualcosa o a qualcuno.
Un approccio narrativo, quindi, delinea l’atto intenzionale di accostarsi a qualcuno per uno scopo particolare, attraverso la narrazione. In medicina un approccio narrativo si muove nel territorio e nel linguaggio abituale del soggetto e si svolge nel tempo degli eventi e nel racconto, dove i sintomi e i segni estratti dai medici sono vissuti dal paziente, in modo del tutto personale, come limitazioni del corpo e delle proprie capacità e come dubbi e preoccupazioni per il futuro che verrà.
Nell’ambito della comunicazione in sanità, per approccio narrativo, dunque, si può intendere l’atto intenzionale del medico di comunicare con qualcuno, utilizzando nella relazione di cura gli strumenti della Medicina Narrativa con il fine di ricercare la concordanza nel piano di cura. Per comprendere lo spessore antropologico di un tale approccio, è necessario chiarire brevemente cosa si intenda per relazione di cura e per concordanza. La comunicazione interpersonale in sanità tra un professionista della salute e un paziente si contraddistingue a seconda del tipo di rapporto che si istaura tra i due protagonisti. Il contesto legato alla tipologia della relazione indirizza la comunicazione verso fini particolari e conduce a rapporti specifici di simmetria e di reciprocità. A seconda che il rapporto sia di tipo paternalistico, contrattualistico, contrattualistico di tipo difensivo o orientato alla persona, la comunicazione assumerà dei toni differenti mirando a fini connotati dai livelli di simmetria e di reciprocità. Un rapporto paternalistico, ad esempio, è asimmetrico senza alcuna ricerca di una reciprocità6, la comunicazione verterà, soprattutto, in una traduzione nel linguaggio più semplice possibile di quanto il medico prescrive al paziente, affinché questi possa agilmente seguire quanto stabilito. Un rapporto contrattualistico tenderà a porre medico e paziente su uno stesso piano contrattuale e la comunicazione riguarderà il ventaglio di prestazioni possibili alle quali il paziente potrà autonomamente aderire. Il consenso informato stabilirà in un documento l’accordo contrattuale avvenuto. In un rapporto contrattualistico di tipo difensivo, il professionista tenterà di inserire quelle prestazioni che possano ridurre l’improbabile rischio di un errore diagnostico, evitando, inoltre, di compiere gli atti a maggior rischio conflittuale dei quali teme una possibile imputabilità giuridica. La comunicazione, allora, tenderà a sottolineare i possibili eventi avversi correlati alla prestazione scelta, in modo che il consenso del paziente, informato analiticamente di questi eventi, possa tutelare maggiormente il medico.
In un rapporto orientato verso la persona la comunicazione non verterà esclusivamente sulla dimensione biomedica del trattamento medico o sui rispettivi obblighi inerenti alle prestazioni scelte, ma entrerà in dialogo con ciò che è stata definita l’agenda del paziente7. L’agenda del paziente rappresenta l’insieme delle motivazioni che lo hanno portato quel giorno davanti al medico. Essa è fortemente condizionata dal contesto e, cioè, dalla storia personale del soggetto, dalla sua identità personale, si muove nelle dimensioni delle idee e rappresentazioni che il paziente si è fatto, è segnata da sentimenti e nutre aspettative e desideri. In un rapporto orientato verso la persona, il paziente e coloro che lo amano entrano come protagonisti delle decisioni terapeutiche in un modo differente rispetto ai modelli contrattualistici o difensivi. Al paziente non viene chiesto semplicemente di esercitare il suo principio di autonomia, scegliendo, una volta adeguatamente informato, la prestazione che ritiene più opportuna, ma il ventaglio dei possibili piani terapeutici diviene l’oggetto di una comunicazione attraverso un continuo rimando alle dimensioni biomediche (disease) e del vissuto (illness). In tal modo medico e paziente sono chiamati a costruire assieme quella cura che possiede sia le caratteristiche scientifiche terapeutiche di efficacia, sia le qualità antropologiche coerenti con il piano di vita del soggetto che intende seguirla. Il medico da traduttore diviene quindi un interprete, inaugurando una relazione di cura, in quanto, seppure in un rapporto asimmetrico, esiste una reciprocità che è alla ricerca della concordanza sul piano di cura8. In questo senso il termine concordanza non si riferisce più alla conformità, più o meno attiva, a quanto il medico propone al paziente, in un’accezione più attuale e democratica dei termini compliance e aderenza, ma indica un fine da ricercare e un valore da difendere. L’approccio narrativo, tuttavia, non è cosa semplice o immediata, ma esige tanto una determinata postura etica, quanto la necessità di una formazione.
Un approccio narrativo orientato alla persona come quello che si è andato a delineare, infatti, si inserisce in una particolare visione dell’etica medica che trova la sua radice più profonda nella sollecitudine del prestare soccorso a qualsiasi persona malata9 e prescrive l’ethos umanitario come qualità ineludibile di ogni medico10.
È l’ethos umanitario, con il suo articolarsi etico ed empatico, a rendere possibile un reale approccio narrativo che esige attenzione, propensione all’ascolto attivo e il coraggio di esporsi in una relazione nel terreno incerto dei vissuti personali. Attraverso un approccio narrativo, quindi, le tecniche di comunicazione e gli stessi atti comunicativi sono inseriti in una dimensione morale che approda nell’etica della cura. Si intreccia così una stretta relazione tra comunicazione, etica e cura tanto da poter dire che la cura si dia attraverso atti comunicativi in una dimensione etica. L’approccio narrativo, seppure nella delicatezza dell’accostarsi alla persona, non è ingenuo e privo di strumenti, ma, oggi, possiede l’armamentario proprio della Medicina Narrativa che presenta una serie di modalità attraverso le quali interagire narrativamente con la persona. La Facoltà di Medicina dell’Università Politecnica delle Marche è impegnata da tempo, attraverso i corsi e le attività formative professionalizzanti, a fornire agli studenti e ai laureati tali strumenti, per promuovere un’etica della cura e insegnare un approccio narrativo capace di innestare una comunicazione efficace orientata alla persona.
Bibliografia
- Ministero della Salute, Comunicazione e performance professionale metodi e strumenti I modulo elementi teorici della comunicazione; 2015; 4
- Makoul G., Essential elements of communication in medical encounters: the Kalamazoo consensus statement, Acad Med 2001 apr; 76(4): 390
3. DiMatteo MR. The role of the physician in the emerging health care environment. West J Med. 1998;168(5):328–333
4. Ricoeur P., tempo e racconto, volume 1 Jaca Book, Como, 2008, 91
5. Devoto G., dizionario etimologico, Le Monnier, Firenze, 1968
6. Alici L., Il fragile e il prezioso, bioetica in punta di piedi, Editrice Morcelliana, Brescia, 2016, 28
7. Moja E., Vegni E., La visita medica centrata sul paziente, Raffaello Cortina, Milano, 2000
8. Marinelli M., reciprocità asimmetrica ed etica della cura, Servitium, 246, novembre dicembre 2019, 77-80
9. Ricoeur P., Il Giusto 2, Effatà Editrice Cantalupa Torino, 2007, 77
10. Jaspers K., Il medico nell’età della tecnica, Raffaello Cortina Editore, Milano, 1991, 2