Il nostro racconto del Servizio Sanitario Nazionale

Seconda parte – La nascita delle Aziende (e non solo)

Francesco Di Stanislao e Claudio Maria Maffei
Dipartimento di Scienze Biomediche e Sanità Pubblica, Sezione Igiene
Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università Politecnica delle Marche

“Con il Maestro più guilbertiano che mai, noi c’eravamo!”
La nascita, lo sviluppo, l’attualità de Servizio Sanitario Nazionale raccontati da due protagonisti di una vicenda che ha profondamente modificato nel nostro paese le modalità di erogazione dell’assistenza ed i rapporti tra politica e sanità. Una storia come un racconto. Da non perdere.

Nella prima parte del nostro racconto abbiamo parlato della nascita del Servizio Sanitario Nazionale e dei primi Piani Sanitari Regionali. In pratica, siamo arrivati all’inizio degli anni ’80. In questa seconda parte arriviamo alla nascita delle Aziende, quelle che con qualche cambiamento sono arrivate sino ad oggi, il che vuol dire arrivare a circa la metà degli anni ’90. Ne approfitteremo per parlare di alcuni movimenti culturali degli anni ’80 che sono stati il nostro modo per entrare dentro il Servizio Sanitario Nazionale nei suoi primi anni di vita pur lavorando dentro l’Università. Anzi, probabilmente grazie al fatto di lavorare all’Università. Parliamo del nuovo modo di guardare e praticare la pedagogia medica e la cultura e pratica del miglioramento della qualità dell’assistenza.

Come nella prima parte del nostro racconto le grandi vicende della sanità nazionale (e regionale) si intrecciano con le nostre piccole storie personali. Come già ricordato la cultura igienistica (ahi ahi ahi: il correttore non riconosce questa parola!) aveva impregnato la Legge 833/1978 ed il prof (Renga) aveva caratterizzato la attività di ricerca e di insegnamento del nostro Istituto di Igiene nella direzione di un supporto al nascente Servizio Sanitario. In questo impegno (siamo all’inizio degli anni ’80) siamo ancora tutti e tre (il prof e noi due) ad Ancona e la Scuola di Specializzazione in Igiene e Medicina Preventiva ci consente – anche questo nella prima parte lo abbiamo sottolineato – di formare i futuri quadri dirigenti della Sanità Pubblica marchigiana. E qui arriva la “nuova” pedagogia sanitaria di Guilbert. Un pensiero che ha radicalmente cambiato il nostro modo di pensare e fare la formazione sia di base che continua.

L’approccio di Jean Jacques Guilbert (medico responsabile della formazione per l’OMS che abbiamo poi avuto modo di frequentare personalmente) era semplice: la formazione deve essere attiva, partire dalla analisi del ruolo della figura professionale che si deve formare e utilizzare strumenti di apprendimento e valutazione coerenti con gli obiettivi formativi.

Il “modello” di Guilbert spostava l’asse della formazione dall’insegnamento all’apprendimento. Le tecniche pedagogiche innovative (PBL– Problem Based Learning; PS – Problem solving; RP – Role Playing; ecc.) si caratterizzano per:

  • responsabilizzazione ed autonomia dei soggetti (nel determinare obiettivi, contenuti e condizioni di apprendimento)
  • complessità dei processi soggettivi implicati (di riflessione, di rielaborazione cognitiva, di scoperta)
  • orientamento ai problemi reali e del recupero della reale esperienza soggettiva
  • rottura del setting d’aula (spaziale e temporale) l’attivazione di processi che consentano di “apprendere ad apprendere”

e modificano il ruolo da Docente a Educatore finalizzato a :

  • presidiare, confrontare, valorizzare
  • facilitare produzione di idee, ipotesi
  • spingere a prendere decisioni, a provarci
  • promuovere la valutazione continua, di processo

Riduzione al minimo della didattica frontale, più partecipazione dei discenti alle varie fasi del ciclo formativo. E, in definitiva, più impegno per il docente che non si limita ad insegnare ciò che sa come lo sa insegnare, ma diventa a sua volta un discente impegnato a sviluppare nuovi metodi formativi. Il Guilbert pensiero[1] veniva trasmesso da Guilbert stesso in atelier formativi della durata di tre giorni che utilizzavano il suo approccio. Ad alcuni dei suoi primi atelier partecipammo tutti e tre (noi due ed il prof) a partire dal 1980 e questi atelier (che per molti anni ebbero il sostegno della Fondazione Smith Kline[2] e si tennero in tutte le parti d’Italia coinvolgendo numerosissimi docenti di medicina) fecero cambiare il modo di vedere e di fare la formazione a molte Facoltà mediche[3] tra cui quella di Ancona grazie all’impegno allora davvero pionieristico del prof Danieli. In due Università furono sperimentati corsi di Laurea in Medicina e Chirurgia ”paralleli” a quelli istituzionali: Facoltà di Medicina di Bari (1989) e La Facoltà di Medicina di Roma “la Sapienza” nel 1995.

Oggi tutto questo sembra lontano e “inutile”, ma senza la rivoluzione di Guilbert e dei tanti suoi “adepti” dentro e fuori l’Università non ci sarebbero i percorsi integrati tra i vari Corsi di Laurea, i servizi per la formazione continua nelle Aziende (tenute alla elaborazione dei Piani della Formazione per il personale), una nuova formazione infermieristica e l’ingresso delle nuove professioni nei ruoli di docenti sia come ricercatori che come Professori Ordinari ed associati, nuove modalità di formazione dei medici di medicina generale e tante altre innovazioni ancora.

Quanto a noi l’impegno formativo nei corsi di laurea e di specializzazione divenne occasione per immedesimarci in chi lavorava o avrebbe dovuto lavorare sul campo. Con questa filosofia ci avvicinammo ad esempio al mondo dei Servizi di Igiene Pubblica e a quello dei Medici di famiglia (compresi i Medici condotti, figure scomparse nel 1982) fortemente radicati nel territorio che coniugavano l’attività clinica con attività congiunta ai responsabili delle AUSL nello sviluppo dei distretti sanitari, allo scopo di ridefinire/costruire la propria identità ed operatività.
Un altro movimento culturale si veniva delineando in quegli stessi anni: il movimento per la verifica e la revisione della qualità dell’assistenza. Nel giugno 1984 il prof Franco Perraro[4], primario di Medicina di Urgenza a Udine e tra i primi in Italia a sperimentare il 118, organizzò a Grado il primo seminario italiano sulla metodologia della QA (Quality Assurance) ai quali parteciparono tra gli altri W. Jessee e C Shenhan della JCAHO (Joint Commission on Accreditation of Healthcare Organizations), E. Reerink del CBO (CBO–The National Organization for Quality Assurance in The Netherlands), P. Morosini e F. Taroni (dell’Istituto Superiore di Sanità). In quella occasione venne fondata la Società Italiana di VRQ (Verifica e Revisione della Qualità) di cui Perraro divenne Presidente. L’anno successivo sempre a Udine si tenne il seminario su Training in Quality Assurance organizzato dalla Società Italiana di VRQ in collaborazione con l’OMS: in quell’occasione fu fondata l’International Society for Quality Assurance (ISQua). Il prof. spinse quello di noi (FDS) che lo seguì a Torino nel 1987 a collegarsi con questa associazione e a seguirne gli sviluppi di ricerca e dar corpo immediatamente ad alcune indicazioni della nuova legge di riforma con un particolar riferimento all’istituto dell’accreditamento. Fu così che, con grande fatica (non esisteva internet!!) cominciammo a lavorare e produrre per conto della Società Italiana di Igiene, Medicina Preventiva e Sanità Pubblica i primi manuali di accreditamento dei Dipartimenti di prevenzione[5],[6]

Naturalmente come per il rinnovamento della pedagogia medica (o meglio della formazione in sanità) abbiamo citato Jean Jacques Guilbert, per la qualità dell’assistenza citiamo il nostro punto di riferimento: Avedis Donabedian, medico e poeta.

Si deve a lui la declinazione in tre dimensioni della qualità dell’assistenza: struttura, processo ed esiti. Per misurare la qualità della assistenza che eroghiamo servono dati (il motto che campeggia sul muro dello studio di uno di noi, FDS, è “In God we trust; all others bring data”) per rispondere alle domande:

  1. ho quel che serve in termini di risorse, tecnologie e spazi/impianti (struttura)?
  2. faccio quel che andrebbe fatto in base alle conoscenze scientificamente validate disponibili (processo)?
  3. raggiungo i risultati migliori possibili (esiti) sempre sulla base dello stato dell’arte?

Sempre a lui si deve il ciclo di Deming (o ciclo di PDCA, acronimo dall’inglese Plan–Do–Check–Act, che indica il percorso di gestione iterativo utilizzato per il controllo e il miglioramento continuo dei processi e dei prodotti.

Questi approcci (ovviamente qui schematizzati in modo quasi brutale) sono alla base di tanti strumenti oggi comunemente utilizzati, o meglio che andrebbero comunemente utilizzati, come l’accreditamento, lo sviluppo delle reti cliniche, i percorsi assistenziali (clinical pathways o PDTA) e il Programma Nazionale Esiti.

Questi due movimenti in tema di formazione e qualità si sviluppano in Italia agli inizi degli anni ’80 ed esercitano i loro effetti a tutt’oggi. Ma attenzione: mai abbassare la guardia! Dopo alcuni anni di forte attenzione ai due temi in questione, c’è nel sistema sanitario nazionale una evidente caduta di attenzione nei loro confronti. Gli staff per la formazione continua del personale e il miglioramento della qualità costano e i tagli hanno finito per coinvolgerli.

Tornando ancora una volta a noi, negli anni ’80 forti di questi nuovi strumenti abbiamo cercato di fare la nostra parte sia nell’Università che nel Servizio Sanitario Regionale. Questo è il modo con cui abbiamo cercato in quel periodo di farci riconoscere come self dai nostri colleghi impegnati più di noi sul campo. Perché l’Università tanto più incide sul sistema quanto più di questo fa parte integrante condividendone criticità e valori.

Sempre in quei primi anni ’80 gli eventi ci portano ad organizzare come Istituto due eventi importanti: il Congresso Nazionale della Società Italiana di Igiene e Medicina Preventiva (1982) e il Corso del 1983 sulla Valutazione dei programmi di medicina preventiva presso il Centro di Cultura Scientifica Ettore Majorana di Erice (quello diretto da Zichichi). Le due iniziative andarono bene, troppo bene. Il prof venne chiamato a Torino e i due allievi (noi) fanno scelte diverse e si separano. Ma non più di tanto se questo articolo e gli altri della serie li scrivono assieme!

Uno di noi va a Torino (FDS) e inizia qui la sua esperienza accademica, mentre l’altro (MCM) rimane all’Università degli studi di Ancona per poi passare nelle fila del Servizio Sanitario Nazionale dove concluderà, anzi ha concluso, la sua storia professionale.

In questa storia del Servizio Sanitario Nazionale dobbiamo per forza sintetizzare gli eventi, sia quelli importanti istituzionali, sia quelli più personali per cui saltiamo direttamente agli inizi degli anni ’90 ed in particolare al 1992 quando viene approvata quella che gergalmente chiameremo “la riforma della riforma”, il Decreto Legislativo 502/92 che assieme al Decreto legislativo 517/93 determinano alcuni importanti cambiamenti. Quelli che ci sembrano più significativi ci sembrano i seguenti:

  1. La separazione tra la funzione di governo del SSN affidate a:
    • Stato (Stesura del Piano sanitario nazionale (1994) e definizione dei Livelli Uniformi di assistenza) e
    • Regioni (Piani sanitari regionali ed emanazione delle linee organizzative dei servizi sanitari e la gestione dell’indirizzo, del controllo e soprattutto del finanziamento delle Aziende Sanitarie (ex USL)
  2. L’istituzione delle Aziende sanitarie (Aziende USL e Aziende ospedaliere) dotate di personalità giuridica pubblica, di autonomia organizzativa, amministrativa, patrimoniale, contabile, gestionale e tecnica;
  3. La riduzione delle USL prevedendo per ciascuna un ambito territoriale corrispondente, di norma, a quello provinciale;
  4. Il finanziamento basato sulla remunerazione delle prestazioni erogate, sulla base di tariffe definite dalle singole regioni (tenuto conto del costo delle prestazioni medesime) fissate a livello regionale secondo criteri generali stabiliti a livello nazionale
  5. L’istituzione delle figure del direttore sanitario aziendale e del direttore amministrativo, nominati direttamente dal direttore generale;
  6. La creazione della dirigenza del ruolo sanitario articolata in due livelli: il primo (che unifica le vecchie figure degli assistenti e degli aiuti) e il secondo (gli ex primari) di nomina quinquennale, attribuita dal direttore generale sulla base del parere di un’apposita commissione di esperti che valuta il possesso dei requisiti e l’idoneità da parte degli aspiranti;
  7. L’introduzione del sistema di autorizzazione e accreditamento (le cosiddette 3°: Autorizzazione all’esercizio, Accreditamento istituzionale, Accordo contrattuale) per garantire l’erogazione di prestazioni efficaci e sicure, la verifica e revisione della qualità delle strutture sanitarie e socio-sanitarie nonché lo sviluppo sistematico e programmato del servizio sanitario regionale per con una – almeno teorica – apertura del mercato sanitario alla libera concorrenza tra strutture pubbliche e private;
  8. L’istituzione dei dipartimenti di prevenzione cui vengono affidate le prestazioni di igiene e sanità pubblica, prevenzione e sicurezza in ambienti di lavoro, igiene degli alimenti e della nutrizione e veterinarie.

Le idee forza alla base di questo intervento di riforma della riforma erano, per quello che abbiamo capito, l’idea che la politica non dovesse occuparsi di gestione e che la gestione della sanità richiedesse le competenze di solito appannaggio dei dirigenti delle aziende private. Sono motivi importanti su cui vale la pena di fare qualche riflessione. Cominciamo dalla politica. Il presidente e i componenti del Comitato di Gestione delle vecchie USL erano espressione della politica locale. A volte ne erano ottime espressioni, come nel caso di Fulvio Montillo, prima presidente dell’Umberto I e poi presidente del Comitato di Gestione della neonata USL 12. Si tratta di una figura di grande valore politico e potremmo dire tecnico: la sanità era la sua passione. Democristiano, aveva fatto la Resistenza. Noi due (per quanto barricadieri ai tempi dell’Università) gli dobbiamo molto. Tutto questo per dire che nessuno nasce di per sé giusto o sbagliato. Ci sono politici che hanno fatto bene, altri che hanno fatto disastri (torturati potremmo fare i nomi). Ma lo stesso vale per i manager. Comunque l’idea che alla politica andasse sottratta la gestione e che questa venisse affidata a gente che masticava di controllo di gestione, di analisi costi-benefici, di valore della produzione, di gestione delle risorse umane e così via era giusta.

Si trattava di capire (e si tratta anche oggi di capire) come si integrano con equilibrio le competenze sanitarie con quelle manageriali. Certo l’ingresso dei manager (o meglio: della logica manageriale) nelle Aziende Sanitarie ha comportato, come sempre, benefici e rischi. Tra i benefici figura sicuramente l’attenzione sistematica al rapporto tra costi, produzione e risultati. Tra i rischi quelli di scambiare la sanità con un processo produttivo puro, cosa che non è nella maniera più assoluta. Si prenda la prevenzione: alla lunga consente i migliori guadagni in termini di salute (sia come esiti sanitari che come costi), ma non si può tradurre in un insieme di prestazioni cui dare un valore economico. Negli anni in cui nascono le Aziende entra in vigore il sistema dei DRG[7] (Diagnosis Related Groups – raggruppamenti omogenei di diagnosi) sistema di classificazione dei ricoveri ospedalieri che si fonda sulle informazioni contenute nella Scheda di Dimissione Ospedaliera (SDO). Anche questa è stata una sorta di rivoluzione che a volte ha provocato distorsioni del tipo “quanto più valore ha la tua produzione in rapporto ai costi che sostieni tanto più la tua attività ha significato per la Azienda” col che attività ad alto valore sanitario aggiunto, ma scarsa remuneratività, come quelle legate all’emergenza-urgenza, rischiavano di non ricevere adeguata attenzione. Ma questo lo vedremo alla prossima puntata.

Per concludere una citazione dall’amato Donabedian che riguarda qualità, ma anche (e soprattutto) il lavoro in sanità

Ultimately, the secret of quality is love. … il you have love, you can then work backword to monitor and improve the system”.

Non servono traduzioni.

  1. Jean-Jacques Guilbert – Guida pedagogica per il personale sanitario – Edizioni Dal Sud, 2002 (Curatori: G. PalascianoA. Lotti)
  2. Giovanni Renga† Consigliere Emerito SIPeM – L’apporto della Fondazione Smith Kline alla pedagogia medica italiana. TUTOR, Vol. 16, N. 1, 2016: 18-24
  3. G.Realdi ; N Carulli , F.Sasso , M D Cappellini, E Mannarino, V Marigliano e G Palasciano con la collaborazione di F Dammacco e G.Danieli Il Percorso Formativo di Medicina Interna nel Corso di Laurea in Medicina e Chirurgia – Sintesi del Documento a cura della Commissione Mista COLMED 09/SIMI per la Formazione in Medicina Interna – (COLMED 09/SIMI PAG 23 – In Commissioni COLMED09 – SIMI Documenti – L’Innovazione in Medicina interna
  4. F. Perraro. La qualità dell’assistenza sanitaria in Italia. In: Lo champagne annega la Salmonella del Tifo. Eventi e personaggi della Sanità e non solo. Pag 1-28. Edizioni Medico Scientifiche 2007
  5. F. Di Stanislao, G. Renga (coordinatori) et. al. : Manuale Accreditamento del Dipartimento e dei Servizi di Prevenzione. Torino, ottobre 1995 (Ricerca MURST 40%)
  6. F. Di Stanislao, G. Renga (coordinatori) et. al.: Manuale Accreditamento del Dipartimento e dei Servizi di Prevenzione (3° edizione). Ancona-Torino, giugno 1998 (Ricerca MURST 40%)
  7. Decreto Ministeriale 15 aprile 1994 recante “Determinazioni dei criteri generali per la fissazione delle tariffe delle prestazioni di assistenza specialistica, riabilitativa ed ospedaliera”.

 

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