Il sogno pedagogico

di Daniela Battaglia (Pedagogista)

Rileggendo la Costituzione Italiana, all’articolo 34 troviamo: La scuola è aperta a tutti. (…) I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi. Diritto assolutamente primario che travalica le nazioni   sfociando in un diritto mondiale o, per dirla con Edgard Morin,  in una prospettiva  planetaria e forse  addirittura interplanetaria perché la trasmissione del sapere, l’amore per la conoscenza, la curiosità della ricerca non hanno patria se non l’Universo stesso.

Ma torniamo all’interno dei nostri confini nazionali.

In questo particolare momento storico della scuola e dell’università italiane si parla molto di far andare avanti  i meritevoli e di bocciature come garanzia di qualità e di ritorno allo studio.

Libro aperto

Figura 59 – Libro aperto

Tutti d’accordo sui meritevoli, per carità, se non ci fosse una domanda semplice, quasi banale che sembrerebbe però che molti si siano dimenticati di porsi prima di proseguire nella riflessione: i meritevoli chi sono?

Sono davvero quelli che hanno voglia studiare o sono quelli che hanno avuto la fortuna di vivere in un ambiente culturalmente appropriato e stimolante? Ricordate il Pierino del dottore dei ragazzi della scuola di Barbiana? [i]

Lui andava a scuola con un anno di anticipo, padroneggiava la lingua italiana, percorreva il suo iter scolastico con successo, in altre parole apparteneva a quella categoria che non fa fatica ad essere come la scuola chiede perché  da sempre condivide gli stessi linguaggi.

“Voi dite che Pierino del dottore scrive bene. Per forza, parla come voi. Appartiene alla ditta. Invece la lingua che parla e scrive Gianni è quella del suo babbo”. [ii]

Il bambino o il ragazzo della famiglia che parla solo dialetto e il cui codice linguistico è molto ristretto o il giovane studente che parla un’altra lingua, che vive priorità di vita diverse in un ambiente socio-familiare differente da quello di riferimento nella nostra cultura, è meno meritevole?

Se ritorniamo tra le pagine di Lettera a una professoressa non ci assale il dubbio del perdurare della selezione sociale?

A più di quarant’anni di distanza è così anacronistico ciò che viene affermato?

“Cara signora,

lei di me non ricorderà nemmeno il nome. Ne ha bocciati tanti.

Io invece ho ripensato spesso a lei, ai suoi colleghi, a quell’istituzione che chiamate scuola, ai ragazzi che «respingete».

Ci respingete nei campi e nelle fabbriche e ci dimenticate”. [iii]

Questi ragazzi bocciati sono davvero e soltanto ragazzi svogliati?

Non si tratta forse di un escamotage per assolverci tutti noi adulti dall’accusa di non essere capaci di avvicinarli alla conoscenza?

Di aver fallito nel trasmettere la curiosita‘ per la ricerca, la passione per lo studio?

Il successo di grandi maestri come don Milani, Mario Lodi, come i maestri di strada, per rimanere in italia, non ci fa sorgere qualche dubbio sulle modalita’ con cui tentiamo di avvicinare i giovani al sapere?

E perché, troppo spesso presi dalla realizzazione di quelle tanto esaltate prove oggettive (ma esistono davvero prove che si possano definire oggettive?), non pensiamo mai a come si sentano i poco meritevoli o non ci chiediamo come si potrebbe fare per trasformarli in meritevoli?

I ragazzi di don Milani, Eugenio Scardaccione (collezionista di bocciature prima di diventare preside plurilaureato e pluriabilitato nonchè autore di un piacevole libretto su questo tema Tu bocci. Io sboccio [iv]) e probabilmente tutti noi – chi più chi meno – almeno in qualche occasione ci siamo sentiti non accolti, rifiutati, a volte condannati senza appello da un voto, da una parola, da un giudizio ma soprattutto da un insegnante o, peggio ancora, dagli insegnanti tutti, dalla scuola.

Proviamo allora ad andare oltre l’affermazione superficiale è giusto che vadano avanti i meritevoli.

Eugenio Scardaccione nel libretto che ho appena citato racconta il suo percorso di studente non meritevole, le sue frustrazioni, la sua sofferenza e per fortuna nel suo caso, come in una fiaba, il lieto fine: il primo diploma, le lauree, le abilitazioni e infine la professione nella scuola, il dirigente scolastico in quella scuola che gli aveva consigliato la zappa piuttosto che lo studio.

Daniel Pennac nel suo Diario di scuola [v] ci racconta altrettante sofferenze e frustrazioni vissute in prima persona da studente per poi diventare insegnante il cui lavoro quotidiano è guidato dall’amore. Anche qui un lieto fine, un’utopia che si trasforma in realtà, un brutto anatroccolo che diventa cigno.

Ma purtroppo, spesso, i brutti anatroccoli rimangono tali e loro stessi finiscono per vedersi tali accettando rassegnati e convinti che sia giusto che vadano avanti i Pierini del dottore.

Sono nella scuola da sempre, prima come studente poi come docente; da bambina, quando le mie coetanee affermavano che avrebbero fatto le ballerine, le cantanti, le attrici, io ho sempre detto che avrei fatto l’insegnante.

Ho insegnanti nella mia famiglia e ho sposato il figlio di un’insegnante, oggi insegnante egli stesso.

E la scuola mi ha insegnato molto.

Non parlo di istruzione, di nozioni, di  conoscenze, quelle ho la presunzione di credere di averle in gran parte raggiunte da sola o forse le ho raggiunte “nonostante” la scuola, quella stessa scuola che se non ti vede tra gli eccellenti non ti dà grandi spinte ad eccellere.

Ma la scuola mi ha insegnato ugualmente molto, mi ha insegnato a capire come non volevo che fosse, con la sua mestizia, la sua disattenzione alla persona, la sua parzialità di giudizio, la sua elevazione a giudice infallibile… quella scuola fonte di ansie, di tensioni, di insoddisfazioni, quella scuola che non ha tempo per provare a capirti perché è indietro con il programma.

I have a dream diceva Martin Luther King ed io, che appartengo a coloro che amano sognare, coltivo da sempre un sogno pedagogico: che ognuno possa sentirsi meritevole. 

Da diverso tempo ormai mi occupo di agio scolastico e di prevenzione del disagio all’interno dell’Istituto Comprensivo “Grazie-Tavernelle” di Ancona e da più tempo ancora sono alla perenne ricerca delle strategie più idonee a favorire lo stare bene a scuola perché solo dal benessere psicologico può nascere nei giovani l’amore per la conoscenza.

“L’uomo è per sua natura un essere intellettuale, – affermava la Montessori – e ha bisogno del cibo mentale ancor più che del cibo fisico. Diversamente dagli altri animali, deve costruirsi il suo comportamento dalla vita e dalle sue esperienze; e se lo si pone nel giusto cammino, tutto andrà bene“. [vi]

E ancora:”Non occorrono né minacce né promesse, ma favorevoli condizioni di vita”. [vii]

Allora, rileggendo la Costituzione, diamo la giusta lettura al termine meritevoli e impegnamoci nel creare ambienti di apprendimento favorevoli perché tutti meritiamo di avvicinarci alla conoscenza.

[i] Scuola di Barbiana, Lettera a una professoressa, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze,1967.

 

[ii] Ivi, p.19.

 

[iii] Ivi, p.9.

 

[iv] Eugenio Scardaccione, Tu bocci. Io sboccio, Edizioni La Meridiana, Molfetta (BA), 2003

 

[v] Daniel Pennac, Diario di scuola, Feltrinelli Editore, Milano, 2008.

 

[vi] Maria Montessori, Educazione per un mondo nuovo, Garzanti Editore, Milano, 1991.

 

[vii] Ivi, p.131.

[1] Scuola di Barbiana, Lettera a una professoressa, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze,1967.

 

[1] Ivi, p.19.

 

[1] Ivi, p.9.

 

[1] Eugenio Scardaccione, Tu bocci. Io sboccio, Edizioni La Meridiana, Molfetta (BA), 2003

 

[1] Daniel Pennac, Diario di scuola, Feltrinelli Editore, Milano, 2008.

 

[1] Maria Montessori, Educazione per un mondo nuovo, Garzanti Editore, Milano, 1991.

 

[1] Ivi, p.131.

 

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