La figura del mago nel teatro classico e moderno

di Alberto Pellegrino

La magia nel teatro classico

Il tema della magia ha avuto sempre un grande rilievo in ambito teatrale fin dal mondo classico, quando appare sulla scena l’imponente figura della maga Medea: “Il carattere barbaro, indomabile, straniero e selvaggio di Medea incarna in modo radicale l’eteros della donna che non si piega alle convenzioni e ai ragionamenti utilitaristici…Medea infrange il tabù della Madre mostrando che non esiste un istinto materno, che per una donna l’amore per il proprio uomo è più essenziale dell’amore per i propri figli” (Massimo Recalcati).

Nella tragedia Medea di Euripide (431 a.C.) si assiste allo scontro tra la cultura greca più evoluta e la cultura “barbarica” della Colchide, alla quale appartiene la Maga Medea, una figura che sprigiona una forza inquietante e distruttiva. Dopo avere aiutato Giasone a impadronirsi del vello d’oro, la donna ha seguito il marito a Corinto, dove il re Creonte ha offerto in sposa la giovane figlia a Giasone con la possibilità di succedergli nel governo della città. L’eroe accetta e cerca di convincere Medea di avere fatto la scelta giusta per assicurare un futuro ai loro figli ma Medea, disperata e offesa per essere stata ripudiata, medita una tremenda vendetta: si finge rassegnata e manda alla sposa, come dono nuziale, un mantello che ha intriso con un veleno ustionante, per cui la giovane muore fra dolori strazianti dopo averlo indossato. Creonte, accorso in aiuto della figlia, tocca a sua volta il mantello e rimane ustionato a morte. La vendetta di Medea però non si arresta e, per punire Giasone, uccide i loro due figli per poi allontanarsi sopra un carro trainato da due draghi alati.

Nella Medea di Seneca la protagonista appare come una maga dalla natura demoniaca e vendicativa che reagisce all’abbandono di Giasone come posseduta da una lucida follia, per cui sfoga il proprio furore contro il marito e la sua futura sposa, mentre Giasone appare come un eroe costretto a ripudiare la moglie e a sposare Creusa, figlia di Creonte, per amore dei figli. Folle di gelosia, Medea ricorre alle sue arti magiche per provocare la morte di Creonte e di Creusa, per poi uccidere i propri i figli per punire Giasone. Nel Novecento il personaggio di Medea ha suscitato l’interesse di tre autori: Franz Grillparzer (1821), Jean Anouilh (946) e Corrado Alvaro (1949) che hanno soprattutto evidenziato in Medea la condizione di una donna straniera discriminata e ripudiata.

La magia nel teatro moderno

Nel Rinascimento è Ludovico Ariosto a scrivere la commedia Il Negromante (1520), nella quale il protagonista è un personaggio che pratica le arti magiche e si prende gioco della credulità del prossimo. Il giovane Cintio, costretto dal patrigno Massimo a sposare la ricca Emilia, è già segretamente sposato con Livinia e si trova pertanto nei guai e, per uscire da questa situazione, finge di essere impotente e di non poter avere rapporti sessuali con la seconda sposa. Il padre della giovane chiama allora un famoso “negromante” capace di trovare un valido rimedio. Cintio corrompe il mago, affinché dichiari inguaribile la sua impotenza, perché causata da un sortilegio che sparirà quando il giovane si separerà dalla ricca sposa. Avvenuta la separazione, il giovane ritrova la sua potenza sessuale e il negromante acquista una grande fama che gli procura numerosi clienti, ma un suo servo e un servo di Cintio rivelano l’inganno, per cui il negromante deve fuggire per non essere linciato. La commedia ha comunque un lieto fine, perché Massimo scopre che Livinia è una sua figlia illegittima e concede il consenso alle nozze con Cintio.

Nel secolo d’oro del teatro inglese occupa un posto di rilievo La tempesta (1610/11), uno dei capolavori di  William Shakespeare, che ha come tema centrale le arti magiche la magia, mettendo a confronto la magia buona usata da Prospero e la magia cattiva praticata dalla strega Sicorace.

La vicenda è ambientata su una imprecisata isola del Mediterraneo, dove sono stati abbandonati a seguito di una congiura il duca di Milano Prospero e sua figlia Miranda. Il protagonista è un abile mago e spera di riconquistare il trono perduto attraverso incantesimi, illusioni e manipolazioni magiche, avendo al suo servizio lo spirito dell’aria Ariel, imprigionato sull’isola dalla strega Sicorace. Mentre suo fratello Antonio e il suo complice, il Re di Napoli Alonso, viaggiano in mare, il mago invoca una tempesta che distrugge la nave e getta i superstiti sull’isola. Prospero, con la sua arte magica, costringe i vari personaggi a muoversi secondo il proprio volere; riesce a svelare l’intrigo del crudele Antonio, a riscattare il suo regno e a far sposare sua figlia con il principe di Napoli Ferdinando.

Un capolavoro del teatro elisabettiano è La tragica storia del Dottor Faust, una tragedia di Christopher Marlowe (1590 c.), in cui si narra la storia di Faust, uno studioso di medicina, filosofia, giurisprudenza e teologia, che non si accontenta più del sapere accademico, per cui si dedica allo studio della magia nera, nella quale spera di trovare la verità e la libertà. A Faust, che ha praticato un incantesimo, appare Mefistofele, un demonio che il mago pensa di poter legare al suo servizio, senza sapere che questi è solo al servizio del Principe delle Tenebre Lucifero. Mefistofele dice al mago che non sono state le sue arti magiche a evocarlo, ma la sua abiura delle scritture e gli propone un patto da siglare con il sangue: Faust avrà il potere della conoscenza ma, dopo ventiquattro anni, sarà condannato per l’eternità. Accanto a Faust appaiono un angelo buono e uno malvagio a simboleggiare le due facce della natura umana. L’angelo buono cerca di consigliare l’uomo per salvargli l’anima, ma le minacce di Mefistofele e le apparizioni di Lucifero lo fanno desistere dal proposito di rompere il patto. Il mago, che non è riuscito a compiere nessuna delle grandi imprese desiderate, si rende conto di essere ormai dannato e in quell’istante Mefistofele si presenta per riscuotere la sua anima. Il tema fondamentale del dramma è il peccato che porta alla rovina il protagonista e che assume delle forme precise: l’avidità intellettuale, che lo spinge a praticare la magia; la superbia, che gli fa superare ogni limite morale e alimenta la sua vanagloria e la sua illusione di onnipotenza; la magia, utilizzata per ottenere dei poteri speciali, perché Faust non vuole essere un semplice mortale, ma un essere potente come il demonio stesso; la lotta tra bene e male che condiziona tutte le sue scelte e fa prevalere in lui la voglia di provare tutti i piaceri terreni, di soddisfare tutte le voglie carnali (compresa una relazione con Elena di Troia evocata da Mefistofele), di sperimentare i sette peccati capitali. Sul punto di morire, Faust sa di essere stato la causa della propria rovina ed è tormentato dalla paura e dai rimorsi, ma non arriva mai a un vero pentimento, per cui sarà condannato alla dannazione eterna.

Il capolavoro di Goethe

Faust  (1808) è un poema drammatico di Johann Wolfgang Goethe che s’ispira alla tradizionale figura del Faust europeo e che inizia con il patto tra Faust e Mefistofele, prosegue con il viaggio alla scoperta dei piaceri e delle bellezze del mondo, per poi concludersi con la morte e redenzione di Faust. Mefistofele vuole scommettere con Dio che riuscirà a portare alla perdizione l’integerrimo medico-teologo Faust, ma il Signore non accetta la scommessa e dà solo il consenso, affinché il diavolo possa tormentare Faust fino a indurlo a perdere la propria anima. Dio sa che Faust alla fine si salverà perché è un uomo buono, anche se in questo momento è un uomo deluso dalla vita e dalla finitezza umana, nonostante le sue conoscenze scientifiche, mediche, filosofiche e teologiche: dopo aver tanto studiato, Faust è convinto che «nulla c’è dato sapere», per cui si dedica alla magia con la speranza che essa lo aiuti a penetrare i segreti della Natura.

A causa dei suoi cupi pensieri, Faust è tentato di «volgere le spalle al dolce sole della terra» e di avvelenarsi ma, quando sta per bere il veleno, un suono di campane e dei canti religiosi gli ricordano che è il giorno di Pasqua, per cui desiste dal suicidio. Dopo aver camminato per la campagna, si accorge di essere stato seguito all’interno del suo studio da un cane nero che disturba le sue meditazioni, ringhiando in modo innaturale. Faust compie allora un incantesimo e fa apparire uno spirito infernale, che dice di chiamarsi Mefistofele. Egli propone a Faust di «sperimentare la leggerezza e la libertà della vita», ma Faust maledice il peso della vita umana col suo carico d’illusioni come l’amore, la speranza e la fede. Di fronte all’insistenza di Mefistofele, egli accetta di stringere un patto: il diavolo lo servirà con i suoi poteri magici per un lungo periodo fino a quando Faust arriverà a dire “attimo sei così bello, fermati!», allora Mefistofele potrà impadronirsi della sua anima. Il demonio fa firmare a Faust il patto col sangue e lo invita a godere della gioia di vivere senza più tormentarsi con i suoi pensieri filosofici, quindi lo porta nell’antro di una strega per fargli bere il filtro della giovinezza.

Una volta ringiovanito, Faust si avvale del patto demoniaco per sedurre Margherita, una ragazza bella e innocente di cui si è invaghito. A causa di questa relazione, Margherita rimane incinta e disonorata, senza contare che la madre muore per colpa di Faust e il fratello è ucciso in duello da Mefistofele. La giovane impazzisce e, presa dalla disperazione, affoga il figlioletto appena nato, per cui è condannata a morte ma Invoca il perdono di Dio e ottiene la salvezza eterna. Conclusa questa esperienza, Faust entra nel “gran mondo” della corte imperiale, dove sperimenta le seduzioni del potere, della ricchezza e della gloria terrena. Vive una passione amorosa con Elena di Troia, poi in preda ai rimorsi crea in riva al mare un’impresa agricola modello, dalla quale fa espellere due anziani coniugi, provocandone involontariamente la morte. Oramai stanco, angosciato e privo della vista, Faust non si abbatte e Immagina per l’umanità un futuro di libertà e di progresso. A quel punto esclama: “Attimo/sei così bello fermati! /Gli evi non potranno cancellare/l’orma dei miei giorni terreni. /Presentendo una gioia tanto grande, /io godo ora l’attimo supremo”. Mefistofele ritiene di poter pretendere l’anima di Faust, sicuro di aver vinto la scommessa, ma l’anima di Faust sale in cielo per il suo costante impegno a favore dell’umanità e per l’intercessione, presso la Vergine Maria, di Margherita che rappresenta l’incarnazione dell’Eterno Femminino.

Edoardo Sanguineti inventa con Faust. Un travestimento (1985) una delle più radicali riscritture di una grande opera: “Per questo tipo di operazione, in un momento in cui gli uomini di lettere aspirano a rifarsi autori e a tentare di inventarsi una missione teatrale, credo che la categoria giusta sia quella del travestimento, eccellente parola barocca, purché depurata da ogni esclusiva inclinazione verso l’orizzonte del burlesco e del parodico”.

Il Faust di Ferdinando Pessoa è un progetto incompiuto, ma questi frammenti sono affascinanti, perché trasmettono la tristezza introspettiva, la nostalgia e la malinconia della “saudade” presente nelle danze, nelle musiche e nel canto portoghese. E’ un Pessoa autentico che presenta un grumo di problemi emotivi irrisolti, i quali partono dall’interno dell’anima per arrivare al trascendente, dal mistero di sé al mistero dell’esistenza cosmica. Nei pochi dialoghi e nei monologhi è racchiuso il dolore, l’orrore, il furore, il delirio derivanti dall’inconoscibilità dell’esistere, un insieme che spinge il protagonista a porsi un’unica domanda destinata a restare senza risposta: “Cosa significa che ci sia l’esserci? Perché ciò che è, / è ciò che è? Com’è che il mondo è il mondo?” .

Giovanni Testori (1923-1993), nel suo dramma Sfaust (1990), rilegge questo mito come qualcosa di barbarico legato alle ragioni più profonde dello scrittore, perché mette in scena il tragico contrasto tra la vita e l’alienazione, la carnalità e la disumanizzazione tecnologica. Testori vede in Sfaust, “doctor, sacerdos, magus”, il destinatario di una promessa di onnipotenza e di onniveggenza che si avvera con il Patto demoniaco che si concretizza nel contatto diretto con il sesso femminile, facendogli riscoprire l’inevitabilità della carnalità.

Un mago contemporaneo

Nel teatro contemporaneo la magia assume una connotazione più ironica e dissacrante come dimostra la commedia di Eduardo De Filippo La grande magia (1948). Il tema della magia ha sempre affascinato questo autore, per il quale il teatro stesso è una “magia” capace di far vivere sulla scena una finzione che sembra realtà, tanto che gli spettatori sono come “stregati” e fingono di credere agli avvenimenti narrati nello spettacolo come se fossero reali. La grande magia è ambientata in un elegante albergo di una località termale e la direzione, per divertire gli ospiti, ha scritturato il mago Marvuglia, un prestigiatore che tira a campare con i suoi spettacoli, una specie d’illusionista filosofo che si spaccia per un grande mago con i suoi trucchi dozzinali. I villeggianti si divertono a fare dei pettegolezzi su Calogero Di Spelta che si rende ridicolo con la sua sfrenata gelosia per la bella moglie Marta, ma i sospetti dell’uomo non sono infondati, perché la moglie, per incontrare il suo amante e sfuggire alla sorveglianza del marito, corrompe il mago che organizza il trucco della sua sparizione durante lo spettacolo. Il mago potrà finalmente fare una “grande magia”, facendo scomparire la donna per poi farla riapparire dinanzi agli occhi stupefatti del pubblico. Marvuglia organizza la sua “magia”, ma la moglie fedifraga scompare veramente.

Il mago, che conosce la verità e non vuole essere considerato dalla polizia un complice della fuga, convince il marito disperato che la moglie è rimasta intrappolata nella scatola dello spettacolo. Calogero potrà riabbracciarla a condizione di non dubitare della sua fedeltà, altrimenti la donna sparirà definitivamente. L’apertura della scatola significherebbe l’accettazione del tradimento e della fuga, per cui Calogero, ormai sull’orlo della follia, vivrà d’ora in poi senza separarsi dalla scatola tenuta sigillata, preferendo credere nell’illusione che la bella Marta sia sempre lì dentro e gli sia sempre fedele. La donna, che dopo quattro anni è stata abbandonata dall’amante, decide di tornare dal marito e scongiura il mago di concludere l’esperimento interrotto facendola riapparire. Quando Calogero si trova di fronte Marta, la respinge come un’estranea, convinto che la vera Marta, fedele e innamorata, sia sempre chiusa nella “sua” scatola, ormai definitivamente prigioniero della sua illusione.

Bibliografia essenziale

  • Wolfgang Goethe, Faust, Einaudi, Torino, 1965
  • Christopher Marlowe, Il dottor Faust, Mondadori, Milano, 1983
  • Fiorenza Di Franco, Le commedie di Eduardo, Laterza, 1984
  • Edoardo Sanguineti, Faust. Un travestimento, Costa & Nolan, Genova, 1985
  • Fernando Pessoa, Faust, Einaudi, Torino, 1989
  • Giovanni Testori, Sfaust, Longanesi, Milano, 1990
  • Gianfranco Damino, Euripide, in Teatro. Il teatro greco e il teatro romano, De Agostini, Novara, 1992
  • Roberta Carpani, Seneca, in Teatro. Il teatro greco e il teatro romano, De Agostini, Novara, 1992
  • Anna Barzotti, Introduzione a Eduardo, Laterza, Bari, 1992
  • Harold Bloom, Shakespeare. La tempesta, RCS Libri, Milano, 2001
  • Luca Zenobi, Faust. Il mito dalla tradizione orale al post-pop, Carocci, Roma, 2013
  • Nadia Fusini, Vivere nella Tempesta, Einaudi, Torino, 2016

Film consigliati

  • Medea di Pier Paolo Pasolini (Italia, 1969)
  • Medea di Lars von Trier (Danimarca, 1988)
  • Il doctor Faustus di Richard Burton (Gran Bretagna, 1968)
  • Faust. La bellezza del diavolo di René Clair (Francia, 1950)
  • La grande magia di Eduardo De Filippo (Il teatro di Rai5, Video Rai, 2015)
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