La malattia di Erdheim Chester (ECD)

  • La malattia di Erdheim Chester (ECD) è una rara forma di istiocitosi a cellule non Langerhans a carattere multisistemico dall’eziologia sconosciuta caratterizzata dall’infiltrazione sistemica di istiociti CD68+ e CD1a- privi di granuli di Birbeck. La diagnosi in età adulta la contraddistingue dalle altre forme di istiocitosi non Langerhans.
  • La sua identificazione può essere molto difficile per la presentazione clinica estremamente eterogenea e variabile in relazione alla variabilità degli organi coinvolti. Il coinvolgimento osseo avviene nel 95% dei casi con tipico coinvolgimento delle diafisi e metafisi degli arti inferiori. Le manifestazioni extra ossee interessano più frequentemente il retroperitoneo a livello perirenale, il sistema nervoso centrale, il torace come localizzazione miocardica, pericardica, polmonare.
  • Per una corretta formulazione della diagnosi, anche in caso di quadri clinico radiologici altamente suggestivi per malattia di Erdheim Chester, la biopsia risulta comunque mandatoria soprattutto per valutare lo stato mutazionale del gene BRAF alla luce delle nuove terapie target. Ogni sospetta localizzazione di malattia è un potenziale target per la biopsia, e ovviamente andrebbe privilegiato il sito il cui approccio presenti il miglior rapporto rischio beneficio, cercando di ottenere campioni adeguati per esame istologico e studio mutazionale.
  • Il trattamento viene raccomandato in tutti i pazienti sintomatici; negli altri casi è possibile effettuare un attento monitoraggio piuttosto che iniziare immediatamente la cura. Grazie alla scoperta della presenza di numerose citochine proinfiammatorie sia a livello della lesione che a livello sistemico, responsabili del reclutamento e attivazione degli istiociti, sono stati sviluppati farmaci selettivi in grado di bloccare la cascata delle citochine (infliximab, un anticorpo monoclonale anti TNF-alfa, tocilizumab, un anticorpo monoclonale umanizzato contro il recettore dell’interleuchina , sirolimus, inibitore di mTOR). L’interferone alfa 2-a riveste un ruolo determinante nella terapia della ECD, essendo associato a un miglioramento significativo della sopravvivenza globale. Successivi studi hanno dimostrato la presenza della mutazione BRAFV600E in gran parte dei pazienti consentendo lo sviluppo di terapie mirate.
  • La prognosi è severa con percentuale di sopravvivenza a 3 anni inferiore al 50%. Tuttavia, dati più recenti descrivono una sopravvivenza del 68% a 5 anni in pazienti trattati con interferone. Inoltre si auspica che le nuove terapie target siano in grado di migliorare ulteriormente la prognosi.
  • Fondamentale è indirizzare il paziente a un centro di riferimento specializzato.
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