Introduzione
FOOL – IL METODO DELLA PAZZIA
Nella tragedia greca gli eroi sono di solito personaggi che si confrontano con la sventura e con il dolore e conservano la loro grandezza anche quando vengono drammaticamente sconfitti: il loro animo conosce l’esaltazione dell’eroismo e la sofferenza più lancinante. C’è un avversario irriducibile che però altera impietosamente i tratti di un individuo ed è la follia, che nel teatro classico è uno strumento di punizione divina, oppure la violenza esercitata da un dio contro una persona innocente. Sofocle presenta un eclatante caso di follia in Aiace, la cui mente è offuscata dalla dea Atena, offesa dall’eroe che le ha mancato di rispetto. L’eroe, colto da fantasie distruttive, massacra innocenti capi di bestiame, ritenendoli gli odiati capi dei greci. Alla fase di agitazione segue una fase depressiva, caratterizzata da senso di colpa e di vergogna, dalla paura della derisione pubblica, da una mania di persecuzione che lo condurrà al suicidio. In Euripide troviamo un quadro completo e articolato della sindrome maniaco-depressiva in particolare nella tragedia Eracle, dove l’eroe dalla tempra di un invincibile è anche un personaggio tormentato, un essere frastornato e intristito, ripiegato su se stesso e prigioniero dei propri sensi di colpa, tanto da prefigurare alcuni antieroi della moderna letteratura teatrale. Ancora Euripide nelle Baccanti rappresenta crudelmente il delirio che stravolge le menti: il re Penteo entra in conflitto con il dio Dioniso e l’uomo finisce tragicamente squartato dalla madre Agave e dalle seguaci del dio. La stessa madre, con la mente offuscata dalla follia, entra in Tebe agitando su una picca la testa del figlio da lei scambiato per una belva in una visione tra le più orripilanti del teatro greco.
Nel teatro moderno sono sempre stati presenti i pazzi (fools), la cui funzione drammatica è quella di rappresentare un mondo ironico che si esprime con un linguaggio che riflette una follia lucida e tagliente, una logorrea stravolta nella quale si accostano l’ordine al disordine, il sublime all’umile, la cultura alla natura, secondo questa funzione drammatica di contrasto (accentuata al massimo da Shakespeare). Il fool non ha una maschera, né un carattere definito, può nascondersi nei personaggi più diversi e distanti fra loro. Non ha segni particolari che lo rendano agevolmente riconoscibile, anche se la sua esistenza è comunque certa sul piano umano e sociale, egli rimane inafferrabile. Basti pensare ai personaggi scespiriani del Matto in “Re Lear”, di Falstaff in “Enrico IV”, di Tersite in “Troilo e Cressida” e di Calibano ne “La tempesta”. Tutti questi personaggi sono uniti da un elemento antropologico: essi hanno una sensibilità che li rende partecipi di un destino diverso dagli altri abitanti del pianeta teatrale, perché sono condannati alla solitudine del palcoscenico. La loro follia è’ una malattia incurabile che non ha cause apparenti ed è una sensazione dolorosa che si manifesta nelle forme più svariate. Il dissenso del folle, anche se nasce da eventi privati, assume spesso proporzioni più generali, che si manifestano nel bisogno di esprimere la propria verità di fronte a qualsiasi vicenda umana. Per il loro modo di essere e per la loro “natura” i folli trovano nel teatro il luogo più adatto alla sopravvivenza, perché il palcoscenico diventa una specie di “area protetta”, dove queste fragili creature possono muoversi a loro agio, soddisfare la loro vocazione tragica, ricoprire persino il ruolo dell’eroe, che può ridere in faccia ai potenti, può ficcare il naso negli angoli più maleodoranti dei loro palazzi, può dire sempre e comunque la verità, basta che faccia il folle.
Nell’opera lirica, come nel teatro, la scena della follia segna il momento nel quale uno dei protagonisti impazzisce spesso con tragiche conseguenze. Nel melodramma italiano e francese dell’Ottocento il tema della pazzia diventa un elemento scenico abbastanza comune, perché il nuovo linguaggio musicale e della tecnica vocale offe ai cantanti l’occasione per sfoggiare il proprio virtuosismo, per cui la rappresentazione del delirio e del vaneggiamento diventa l’occasione privilegiata per impegnare il cantante nei vocalizzi più arditi e funambolici, per queste scene hanno come protagonista un soprano, anche se vi sono esempi di parti per tenore o baritono. Il tema della dissociazione della personalità e della alienazione mentale, molto presente nella letteratura classica e moderna, si riversa nel melodramma secondo due modalità di rappresentazione: la follia può essere reversibile o solo una finzione; può essere già latente nel personaggio ed esplodere in un certo momento dell’opera.