…Fuori della finestra, sul balcone, un’immagine di panni stesi ad asciugare, attorcigliati in maniera inestricabile, volano così, l’uno dentro l’altro, attaccati allo stesso filo, destinati, dal vento, a quell’abbraccio.
Ci sono esistenze vuote, senza alcun abbraccio, mai una carezza, condannate a oscillazioni regolari, come un pendolo, tra sé e sé. Reazioni circolari primarie, consumate in un corto circuito perverso e privo di progressione. Sistemi chiusi, stagnanti. Mentre la vita è mutazione, movimento.
“Lentamente muore chi diventa schiavo dell’abitudine, ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi, (…) chi non parla a chi non conosce. Muore lentamente chi evita una passione, chi preferisce il nero su bianco e i puntini sulle “i” piuttosto che un insieme di emozioni, (…) quelle che fanno battere il cuore davanti all’errore e ai sentimenti. Lentamente muore chi non capovolge il tavolo, chi è infelice sul lavoro, chi non rischia la certezza per l’incertezza per inseguire un sogno, (…) chi non viaggia, chi non legge, chi non ascolta musica, chi non trova grazia in se stesso. Muore lentamente (…) chi passa i giorni a lamentarsi della propria sfortuna o della pioggia incessante. Lentamente muore chi abbandona un progetto prima di iniziarlo, chi non fa domande sugli argomenti che non conosce, chi non risponde quando gli chiedono qualcosa che conosce. (…)” (Martha Medeiros, attribuita erronemante a P.Neruda).
“Narciso come narcosi” (McLuhan, cap.IV), vale a dire il torpore di chi si innamora di se stesso, ovvero delle protesi tecnologiche (e simboliche) quali estensioni artificiali del proprio corpo, così da sfumare la distanza rispetto alle cose.
Proprio nell’era dei nuovi media, sogniamo di volare via da una dimensione materiale, quasi ad avere “come pelle l’intera umanità” (ivi, p.57). Ci sono incontri virtuali, stanze e autostrade, “non luoghi” di circuiti elettronici dove consumare identità improbabili, cybersex. Niente a che vedere con il sapore di un bacio.
“Narciso come narcosi”, quasi un ritorno ad una fase di indifferenziazione simbiotica infantile. Un animale che divora la propria carne, o un vegetale che affonda le radici su se stesso, credendo così di non morire. Reazioni circolari primarie, consumate in un corto circuito perverso e senza amore. Sistemi chiusi, stagnanti. Mentre la vita è davvero movimento, mutazione. La vita è fiume. Panta rei.
Una mano disegna se stessa. La vita è autopoiesi, e ricorsività, distinzione ontologica fondamentale rispetto alla “non vita”, senza confronti, senza maggiori o minori gradazioni. “Non c’è sopravvivenza del più adatto, c’è sopravvivenza dell’adatto, senza più ” (Piazzi, p.52). Cosicché ciascuna forma di vita, proprio in quanto tale, è adatta, fino all’ultimo istante in cui si manifesta. “In questo modo anche un bambino disabile o Down può vivere come un qualsiasi altro bambino. Non esistono in natura, infatti, vite sfortunate” (Stauder, p.186).
In effetti, nelle fenomenologie di vita umane (e naturali) si rivelano pesanti disparità, non solo, come ovvio, sul piano delle costruzioni sociali, ma anche ad un livello biologico, di affermazione e di sopravvivenza. Ci sono vite sfortunate, indipendentemente dal simbolico e dagli imperativi sistemici. Animali esclusi dal branco, lasciati soli, per via di segni esteriori, o comportamenti divergenti. Impercettibili particolari genetici, e contingenze di vita.
Piccoli mondi minori, i “buoni figli” (G.Cottolengo), senza alcun abbraccio, mai una carezza, se non di circostanza, vibrazioni sottintese, tra sé e sé. Improbabile, per il senso comune, incontrarli per strada e innamorarsi. Per loro, riconoscimenti in senso metafisico, depositari privilegiati di un dono divino, o di una laica dignità umana. E’ così difficile essere amati senza mediazioni o condizionamenti, senza alcun interesse, per come si è, per il solo fatto di esistere.
Conciliare la distanza fra eros e agape.
La vita è autopoiesi, normatività autoreferenziale, ma anche pluralità di percorsi e strategie di adattamento, relazione e confronto. Incontro, rischioso come un volo nel vuoto, come il suono profondo della risacca, lontanissimo, dall’alto del Monte Conero. Forme viventi che ne massacrano e fagocitano altre, vegetali che affondano le proprie radici su altre piante, o le soffocano, per non morire. Così come è descritto il giardino nello Zibaldone di Leopardi.
Dietro la porta, uscendo di casa, ad aspettare c’è il mio assassino, o un amore, per sempre. Negli incontri, la stessa innocenza, e la stessa crudeltà, della natura.
L’incontro modella le forme di corpi e menti, costringe comunque ad una crescita. Di genetico possediamo i primi schemi neonatali (suzione, prensione, fonazione, rooting reflex ecc.). Poi “ereditari, innati, risultano essere sia la tendenza all’equilibrio sia la plasticità degli schemi che garantiscono il mantenimento o la ricostituzione di tale equilibrio; ma tali schemi, (o più generalmente le strutture mentali che risultano dalla loro combinazione) si vengono trasformando proprio in conseguenza dell’impatto con una certa realtà che “resiste” al bambino, si sottrae in parte ai suoi tentativi di elaborarla con i mezzi che già possiede” (Petter). Tutto questo dunque è storia, processi mentali che si evolvono, esposti a situazioni “problemiche”, negli ambienti e nella contingenza degli incontri, da uno stadio all’altro, fino al pensiero ipotetico-deduttivo, completa astrazione.
Sotto un profilo sociologico, costruzioni collettive di universi simbolici.
La mano disegna se stessa attraverso un’altra mano, che a sua volta ne delinea i contorni, i chiaroscuri (M.C.Escher). Non autopoiesi pura, ma attraverso una mediazione, così come la dialettica societaria.
L’uomo si esterna, trasforma, fabbrica oggetti e tecnologie, costruisce sistemi istituzionali; i quali a loro volta si staccano, acquistano autonomia, entità aliene che poi tornano a ricadere proprio su colui che le ha prodotte, ne formano gli schemi mentali, attraverso i processi di socializzazione, obbligandolo quasi a ritenere che siano quelle, e solo quelle, le strutture della realtà. La mano disegnata vive di vita propria, fino a poter sfuggire al controllo, e diviene altro.
L’ “altro” è fondamento per la costruzione dell’uomo. Non siamo isole libere e originarie, “la mente nasce nel processo sociale soltanto quando tale processo entra a far parte, nel suo insieme, dell’esperienza di ognuno dei vari individui che sono coinvolti in esso. Quando ciò avviene l’individuo diventa cosciente di sé e acquista una mente” (Mead, p.151), in quanto “assume gli atteggiamenti degli altri nei suoi riguardi e viene finalmente cristallizzando questi atteggiamenti particolari in un unico atteggiamento o punto di vista che può essere definito come quello dell’ “altro generalizzato” ” (ivi, p.110).
L’ ”altro”, dentro di noi, soggetti inconsapevoli. Passeggero clandestino, in cerca di oggetti da ricoprire di amore, o da distruggere. E l’ “altro”, là fuori, oltre i confini tracciati dalle culture, a sottolineare un senso di identità forte, o più semplicemente per paura. Mentre la diversità è parte della nostra stessa essenza, zona d’ombra non coltivata nelle filogenesi particolari (e nelle ontogenesi di ciascuno).
Siamo tutti come in una stanza, “ una stanza degli specchi , che trasmette al singolo uomo una miriade di immagini, in un groviglio di sguardi incrociantesi, attraverso i quali gli uomini dicono il loro bisogno di non essere soli, la loro esigenza di un senso, purchessia, del loro esistere” (Lombardi Satriani, p.32). Ovvero, intervista come ascolto, “partecipazione dell’umano all’umano” (Ferrarotti, p.136).
Dietro la porta, uscendo di casa, difficilmente si materializzano assassini, o grandi amori. Nelle metropolitane, affollate di mattina, migliaia di occhi diversi. Passeggeri anonimi, frettolosi, ciascuno chiuso dentro un burka impermeabile, infiniti incontri virtuali mancati. Non è possibile avere “come pelle l’intera umanità”.
Incontri limitati, di numero e di intensità, al di là dei visi o delle semplici strette di mano. Alcuni provvidenziali, altri del tutto sbagliati, o incontri giusti, ma fuori tempo, comunque mai programmabili. ”Se potessi vivere di nuovo la mia vita, nella prossima cercherei di commettere più errori. Non cercherei di essere così perfetto, mi rilasserei di più. Sarei più sciocco di quanto non lo sia già stato, di fatto prenderei ben poche cose sul serio” (attribuita a J.L.Borges).
Gli incontri spesso seguono un destino, come una sorta di profezia che si autoavvera, verso cui siamo mossi, come attratti da un richiamo inconscio. Eppure, immersi nella corrente, non è possibile sapere dove ci condurrà il discorso. Se non a posteriori.
Forse questo è il deserto, nè un assassino nè un amore. Magari sommersi da un’infinità di informazioni, sotto una pioggia sottile, senza nessuno intorno. Aspettare l’arrivo di un treno, come Godot, una piccola stazione ferroviaria quasi dismessa, di notte, d’inverno.
Le metropoli, in estate, immense distese di sale, migliaia di formiche si scambiano segnali chimici e simbolici. E’ così difficile riconoscersi.
Ci sono incontri, sempre. Spezziamo fili e li ricongiungiamo, come neuroni, disperatamente in cerca di contatti. A volte simili ad un volo, assolutamente slegati, eppure reti invisibili trattengono le nostre ali, o sostengono, nel vuoto, corpi sospesi.
Su questo ponte di vetro ci incontriamo, come maschere veneziane, difficilmente nella “nudità del volto”, comunque soli.
Così dal principio, concepiti in un desiderio, o nella noia, appena presenti dentro qualche memoria. Finalmente assenti.
Altri possibili incontri con…McLuhan, Gli strumenti del comunicare. Mass media e società moderna, il Saggiatore, Milano1967
- Piazzi, La ragazza e il Direttore, Angeli, Milano 1997
- Manattini, P.Stauder (a cura di), Il silenzio per dirlo. Crisi della comunicazione sociale e ambiente umano, Quattroventi, Urbino 2000 (in part. P.Stauder, L’uomo, le cose e la funzione simbolica. Comunicazione sociale e ambiente umano)
- Gardner, Piaget e Chomsky faccia a faccia, in Psicologia contemporanea n.43 (considerazioni di G.Petter in calce all’articolo), Giunti, Firenze 1981
- H.Mead, Mente , Sé e Società, dal punto di vista di uno psicologo comportamentista, Giunti Barbera, Firenze 1966
- L.Berger, Th.Luckmann, La realtà come costruzione sociale, il Mulino, Bologna 1969
- Ferrarotti, Introduzione alla sociologia, Editori Riuniti, Roma 1997
- Freud, Introduzione alla psicoanalisi. Prima e seconda serie di lezioni, Bollati Boringhieri, Torino 1995
- T.Hall, La dimensione nascosta, Bompiani, Milano 2001
- Bonino, A.Fonzi, G.Saglione, Tra noi e gli altri. Studio psicologico della distanza personale, Giunti Barbera, Firenze 1982
- M.Lombardi Satriani, La stanza degli specchi, Meltemi, Roma 1994
- Fabietti (a cura di), Il sapere dell’antropologia. Pensare, comprendere, descrivere l’Altro, Mursia, Milano 1993
- Mantovani, In difesa di Amina, in Psicologia contemporanea n.174, Giunti, Firenze 2003
- Fromm, Anima e società, Mondadori, Milano 1993
- Sartori, Pluralismo, multiculturalismo e estranei. Saggio sulla società multietnica, Rizzoli, Milano 2002
- Bolelli (a cura di), Frontiere. La grande onda dell’evoluzione, Castelvecchi, Roma 1999
- Remotti, Contro l’dentità, Laterza, Roma-Bari 2003
- Bauman, Voglia di comunità, Laterza, Roma-Bari 2003
- Bauman, Amore liquido, Laterza, Roma-Bari 2004
- D.Putnam, Capitale sociale e individualismo. Crisi e rinascita della cultura civica in America, il Mulino, 2004
- Alberoni, S.Veca, L’altruismo e la morale, Garzanti, Milano 1992
- Benedetto XVI, Deus Caritas est, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2005
- Mancini, Il dono del senso. Filosofia come ermeneutica, Cittadella, Assisi 1999
- Ponzio, Elogio dell’infunzionale. Critica dell’ideologia della produttività, Castelvecchi, Roma 1997
- Ponzio, Responsabilità e alterità in Emmanuel Lévinas, Jaca Book, Milano 1995
- Grilli. La mediazione simbolica nella costruzione sociale, CLUA, Ancona 2004
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