L’incontro (parte prima)

Ci sono incontri, sempre. Spezziamo fili e li ricongiungiamo, come neuroni,
continuamente in cerca di contatti. A volte simili ad un volo, assolutamente slegati,
eppure reti invisibili trattengono le nostre ali, o sostengono, nel vuoto, cuori sospesi.
Su questo ponte di vetro ci incontriamo come maschere veneziane, difficilmente nella
“nudità del volto”, comunque soli. Così dal principio, concepiti in un desiderio, o nella noia, appena presenti dentro qualche memoria. Finalmente assenti.
L’incontro è ineludibile, così come “non si può non comunicare”, “ogni comunicazione ha un aspetto di contenuto e un aspetto di relazione” (Watzlawick, pp. 40-46).

Ma le parole sono strumenti poco affidabili, attraversano protesi di ogni
genere, filtri (umani e ambientali) e circuiti elettronici, arrivano a destinazione come
nel gioco del telefono senza fili. “Le parole s’ingorgano, s’inceppano, si nascondono,
si mascherano. Passano da chi parla a chi ascolta attraverso complicati canali che
possono alterarne il senso o rovesciarlo. Talvolta si arrestano sulla soglia del senso o
precipitano al di là. E spesso i fatti e i comportamenti a esse legati non aiutano a
renderle più chiare” (Valdrè,1995, p.5).

A volte le protesi sono talmente pesanti da far perdere ogni tratto umano, diluito nei
canali che veicolano soltanto semplici informazioni, un si o un no, “vero o falso”,
l’orario dei treni o i numeri della combinazione vincente.
Manichini anaffettivi che comunicano il nulla, eppure sottintendono un sussulto
leggero. Parole vuote di senso, e dietro, la vita. Brividi di luce che si incontrano, una
scintilla filtra attraverso qualche fessura, una lacrima, o una goccia di sangue, di tanto
in tanto, ne rivelano la presenza. Nella giostra degli incontri tutto è possibile, davanti alle sliding doors (porte scorrevoli), prima che si richiudano, infiniti percorsi virtuali, da far perdere la testa. A partire da un punto, si aprono ventagli circolari di infinite rette divergenti, ciascuna con infiniti punti, e per ognuno di essi ancora un ventaglio di direzioni, e così via. Fa sorridere il gioco dei “se” e dei congiuntivi trapassati. “Quante vite avrei voluto, quante vite avrei vissuto. Quante alternative per chi vive in una vita sola, quante prospettive per potersi innamorare ancora di altre vite, con altre vite; perchè c'è sempre un'altra vita possibile nella vita” (E.Ruggeri).

E a volte “sarebbe bastata una carezza” (L.Dalla).
Ma ciascuna biografia è infine un unico percorso lineare, un susseguirsi di stati di
coscienza, come stanze chiuse, da cui uscire solo per finire dentro altre pareti,
anch’esse senza finestre. La fiera delle possibilità , a posteriori, solo un esercizio di
pensiero ipotetico-deduttivo.
Ci sono incontri, e luoghi diversi, e tempi e modi imprevedibili, dietro la porta,
uscendo di casa, oppure giorno per giorno, goccia dopo goccia, fino ad innamorarsi, per sempre. Incontri alla stazione, sui treni o nei giardini di marzo, consumati di baci
e di carezze, reazioni circolari che non si stancano di ripetere se stesse, tautologie
infinite.

Incontri nelle voci dell’agorà, pieni di visi, o nel silenzio di una stanza. L’incontro
con il Cristo, sulla strada di Damasco, come un fulmine, o nelle routine più usuali,
oppure mai. Incontri mancati, per errore, o per questione di un attimo, come Cesare
(Pavese) “perduto nella pioggia” che aspetta per ore la sua ballerina (F.De Gregori).
Puoi incontrare il Gatto e la Volpe, oppure un buon amico a cui affidare la moglie, le
chiavi dell’appartamento e il codice del bancomat.

Dietro la porta, uscendo di casa, ad aspettare c’è il mio assassino, o un amore, per
sempre.
L’amore dura tre anni (Beigbeder), a volte anche molto meno, oppure tutta la vita, è
solo un fatto di definizioni linguistiche e di progetti esistenziali. L’amore “liquido”
(Bauman),invece, solo il tempo necessario a coltivare l’illusione di non essere soli,
comunque non oltre lo spazio (e il tempo) psicologico di libero movimento che oggi
ciascuno rivendica alla propria autoattualizzazione. Basta un clic per interrompere i
circuiti elettronici di un computer o di un cellulare, un clic per porre fine a una
relazione. Fa sorridere, nelle chat lines o nelle messaggerie, il gioco simbolico del
“come se” e dei congiuntivi passati.

Fuori della finestra, sul balcone, un’immagine di panni stesi ad asciugare, attorcigliati
in maniera inestricabile, volano così, l’uno dentro l’altro, attaccati allo stesso filo,
condannati, dal vento, a quell’abbraccio.

Alcuni possibili incontri con…
A.Ponzio, Responsabilità e alterità in Emmanuel Lévinas, Jaca Book, Milano 1995
P.Watzlawick, J.H.Beavin, D.D.Jackson, Pragmatica della comunicazione umana,
Astrolabio, Roma 1971
F.Ferrarotti, La televisione. I cinquant’anni che hanno cambiato gli usi e costumi
degli italiani, Newton Compton, Roma 2005 (in part. cap.14, Cosa vuol dire
comunicare)
J.Habermas, Teoria dell’agire comunicativo (2 voll.), il Mulino, Bologna 1997
L.Valdrè, Il linguaggio dell’eros. La parola come segnale erotico, Rusconi, Milano
1991
L.Valdrè, Medicina muta. La malattia tra oggettività e sentimento, Rusconi, Milano
1995
F.Alberoni, L’amicizia, Garzanti, Milano 1985
F.Alberoni, Innamoramento e amore, Garzanti, Milano 1979
F. Beigbeder , L’amore dura tre anni, Feltrinelli, Milano 2003

Z.Bauman, Amore liquido, Laterza, Roma-Bari 2004

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