di Alberto Pellegrino
A quattrocento anni dalla morte di Shakespeare ci rendiamo sempre più conto che nelle sue opere è stato trattato ogni argomento riguardante la vita umana, compreso il tema del potere e della follia, che nel teatro elisabettiano ha sempre avuto un ruolo drammaturgico importante come strumento per esprimere quel malessere che si avverte in tutte le manifestazioni artistiche tardorinascimentali e barocche. Dopo il tormentato periodo della Riforma e della Controriforma, si è diffuso in Europa un certo pessimismo antropologico, mentre il razionalismo e lo sperimentalismo, che si sono affermati in ambito scientifico, convivono con le arti magiche e con l’occultismo, per cui nel teatro si registra una diffusa presenza di fantasmi, streghe e creature soprannaturali.
Macbeth diviso tra orrore e follia
Macbeth è una tragedia che riflette questo clima culturale per l’intrusione del soprannaturale, per la tensione psicologica dei protagonisti, per il predominare della violenza e del sangue, per l’infuriare degli elementi naturali, per le cupe atmosfere notturne che incombono sulla brughiera e sugli angusti spazi di un castello, per la rapidità delle azioni che non concedono tregua allo spettatore. Siamo di fronte a un’opera dominata dal colore nero a volte squarciato dai lampi di una tempesta (“Vedete come i Cieli, quasi sconvolti dall’atto dell’uomo, minacciano il suo teatro sanguinoso…E’ a causa del predominio della notte, o per la vergogna del giorno, che l’oscurità seppellisce il viso della terra quando dovrebbe baciarla la viva luce”) o dalla fioca luce delle torce. L’altro colore dominante è il rosso del sangue, che segna il tragico cammino dei protagonisti verso la follia e la morte.
Si assiste, in un susseguirsi di orrori, all’angoscia di un uomo che corre freneticamente verso la propria condanna, alla trasformazione di un guerriero generoso e leale in uno spietato assassino e in un crudele tiranno che, sotto la spinta illusoria delle streghe, è divorato dalla febbre del potere fino al punto di distruggere se stesso e la vita della sua compagna. Al centro della tragedia si colloca pertanto la sfrenata ambizione di Macbeth, un pensiero che diventa ossessione, che fa perdere il controllo della morale e la cognizione della realtà, per diventare un baratro destinato a inghiottire un uomo proclamatosi re. Macbeth non può essere però considerato la vittima di un destino avverso, perché le profezie delle streghe costituiscono solo un incentivo alla sua volontà, dato che egli continua a esercitare il suo libero arbitrio e a trovare l’occasione favorevole per attuare un piano di conquista del potere che già esisteva nella sua mente.
Un’altra componente della personalità di Macbeth è l’immaginazione che lo rende vulnerabile, facendogli perdere il senso della realtà e facendo in modo che la sua coscienza sia oppressa da paure, sospetti e allucinazioni. Egli commette determinate azioni senza calcolare o prevedere gli effetti che queste avranno sul suo animo e sulla sua vita, per cui non riuscirà mai a essere in armonia con la sua natura psicologica, perché l’immaginazione lo rende un alienato perseguitato da una mente ormai fuori controllo che gli fa scambiare le allucinazioni per la realtà, secondo un meccanismo psicologico che provoca un continuo passaggio dalla coscienza al terrore, dalla passione alla fantasia, un meccanismo con cui non si può scendere a patti, perché diventa una condizione psicologica misteriosa e imprevedibile, che può condurre fino alla pazzia.
Macbeth diventa in questo modo la più profonda rappresentazione di quel male che è sempre latente nelle strutture di potere della società, ma che è anche nascosto dentro di noi tanto da condizionare a volte i nostri comportamenti quando ci cerca in forme eccessive il successo, la ricchezza, la scalata sociale e professionale. Macbeth, proprio perché non possiamo attribuire la responsabilità delle nostre azioni solo agli altri o alle strutture politiche ed economiche della società, diventa lo specchio della nostra coscienza individuale e collettiva. Costretto a convivere con l’ossessione della conquista del potere, finisce per negare se stesso e per uccidere dentro di sé la coscienza e l’immaginazione, per trasformarsi in un brutale tiranno che diffonde il male nella società. Macbeth è soggetto a un processo di automutilazione spirituale che lo costringe a gettarsi alle spalle la prudente ragione nella consapevolezza che, dopo avere sparso tanto sangue, non può tornare indietro ed è costretto a portare avanti un progetto che causerà innumerevoli vittime, gravi danni fisici e morali a tutta la società (“Le cose cominciate nel male, dal male traggono forza”), fino a quando si renderà conto con angoscia dell’inutilità delle sanguinose azione commesse. E’ opportuno, tuttavia, sottolineare che Macbeth non solo non prova mai dei rimorsi, ma non tenta mai di giustificare le proprie azioni e la propria malvagità nemmeno a se stesso, anche se è consapevole che dovrà fare i conti con la sua coscienza fin dalla sua prima azione criminale, quando sente udire una voce che grida “Macbeth non dormirai più, Macbeth assassina il sonno innocente, il sonno che riavvia la matassa scompigliata dell’affanno, morte della vita d’ogni giorno, bagno della dura fatica, balsamo delle anime ferite…primo nutrimento nel banchetto della vita”.
Il tragico destino di lady Macbeth
Lady Macbeth è l’altra protagonista che nella prima parte della tragedia agisce costantemente al fianco del marito in una salda unione finalizzata alla conquista del potere. La donna, che ha un carattere forte, nel momento di assassinare il re Duncan si mostra la più risoluta e feroce, liberando Macbeth dagli scrupoli della coscienza, perché gli ricorda che i suoi sogni di potere si potranno realizzare solo compiendo quel crimine che lo porterà alla conquista del regno, applicando la ragione di Stato secondo una fredda logica “machiavellica”.
Nella società di quel tempo, completamente controllata dagli uomini, le donne sono socialmente emarginate ed escluse dal sanguinoso gioco del potere, perché servono soprattutto per mettere al mondo dei figli da mandare alla guerra. Lady Macbeth ricopre, invece, un ruolo determinante per l’energia che mette nel sollecitare il marito ad agire, a tenere nascosti i propri sentimenti, a trasformare il suo coraggio di guerriero nel coraggio di uomo politico: “Il tuo volto è come un libro in cui gli uomini possono leggere cose strane. Per ingannare il mondo, assumi il suo aspetto, appari come il fiore innocente, ma sii la serpe che vi si cela sotto… La tua natura è troppo piena di latte dell’umana bontà…Tu vorresti essere grande, non sei senza ambizione, ma non vuoi che il male l’accompagni. Ciò che desideri ardentemente, lo vorresti però santamente, non vuoi barare, eppure accetteresti di vincere con l’inganno”.
Lady Macbeth è una delle figure femminili meglio tratteggiate da Shakespeare per la fermezza della sua volontà, per la capacità di tenere in scacco la coscienza del marito nei momenti di debolezza, perché non conosce la differenza tra volontà e azione e sa tenere gli occhi fissi su quella corona da conquistare senza fare distinzioni morali, né badare ai mezzi per conquistarla. Lady Macbeth appare granitica quando si appresta nel portare a temine il suo disegno criminale, pronta a sacrificare la sua stessa femminilità: “Venite, spiriti che agitate pensieri di morte, snaturate in me il sesso, riempitemi tutta, dal capo ai piedi, della più crudele ferocia! Condensate il mio sangue, chiudete in me ogni via, ogni accesso al rimorso, ché nessun pungente ritorno alla pietà naturale scuota il mio truce proposito o metta indugio fra esso e il compimento! E voi, ministri di assassinio, dovunque voi siate nelle vostre invisibili forme, al servizio della malizia umana, venite alle mie mammelle di donna e prendetevi il mio latte in cambio del vostro fiele!”
Eppure questa donna si ritrae progressivamente sullo sfondo, lasciando che Macbeth percorra da solo quel suo cammino tracciato con il sangue e tragicamente illuminato da lampi di follia. La sua mente, che sembrava invincibile nella sua sublime crudeltà, comincia a vacillare quando dall’inconscio cominciano ad affiorare improvvisi sensi di colpa provocati da una continua tensione interiore che la spinge verso la pazzia. La gioia della conquista del trono di Scozia si è come incrinata e quello che rimane e un senso di stanchezza e di debolezza; la regina si accorge che Macbeth, preso dalle sue angosce, ha perduto la pece e ha ancora bisogno del suo aiuto (“Ho la mente piena di scorpioni, cara moglie!”), per cui cerca di stargli vicino per confortarlo e rasserenarlo, soffocando le proprie ansie e la propria sostanziale solitudine. Questo stato d’animo la rende incapace di difendersi, le toglie la libertà nel decidere il proprio destino, la trasforma in una larva di donna privata di quel sonno che dà un momento di oblio e di pacificazione, in un fantasma vivente condannato a cercare di notte la luce del giorno, costretta a lavare quelle mani che vede continuamente insanguinate fino a cercare la pace nella morte.
Freud ha cercato di trovare la causa di questo crollo psichico nella sterilità della donna che ha privato il re di figli legittimi eredi alla corona: “Credo che si possa capire la trasformazione della sua crudeltà in rimorso, come reazione all’impossibilità di avere figli, a un fatto cioè che la convince della sua impotenza di fronte alle leggi della natura e al tempo stesso le ricorda che per sua colpa il delitto è stato privato della parte migliore dei frutti che poteva dare”. Questa spiegazione è apparsa nel tempo insufficiente per giustificare un così grave trauma mentale, perché quel sogno condiviso di grandezza non sembra più sufficiente a sostenere una mente caduta ormai preda di quei ricordi che emergono dalla profondità dell’inconscio per arrivare alla superfice dell’intelligenza. Il sonnambulismo, una condizione nella quale si perde ogni nesso razionale nel susseguirsi delle immagini e delle idee, diventa il sintomo di una pazzia che si manifesta nell’ossessione per il sangue, nell’insonnia, nella paura del buio, fino a cadere in uno stato ossessivo-compulsivo che finisce per spezzare la sua personalità, per cui sceglierà la morte, “concludendo con un gesto innaturale un’esistenza innaturale” (Agostino Lombardo).
Il medico di corte, convocato per curare la sua malattia, dichiara la propria impotenza: “Questa infermità va oltre la mia arte…I fatti contro natura producono turbamenti contro natura; gli animi colpevoli confidano i propri segreti al guanciale che è sordo. Questa donna ha più bisogno del prete che del medico…Sorvegliatela, allontanate da lei tutto ciò con cui potrebbe farsi del male…Mi ha empito l’animo di sbigottimenti e gli occhi di stupore. Penso, ma non oso parlare”. Lo stesso Macbeth chiede al medico d’intervenire: “Cerca di guarirla: non hai una qualche medicina per uno spirito infermo? Non puoi strappare dalla memoria un cruccio che vi si è radicato, cancellare dal cervello le angosce che vi sono state scritte? Non puoi liberare con qualche antidoto che dia dolcemente l’oblio un petto gravato da quel pericoloso ingombro che preme sul cuore?”. Deluso di fronte all’impotenza della scienza medica, il re chiede ironicamente al medico un rimedio di tipo politico: “Getta la tua scienza ai cani…Dottore, se tu potessi fare la diagnosi del mio paese, trovarne il male, guarirlo e ridargli la salute di un tempo, ti applaudirei tanto che l’eco tornerebbe ad applaudirti”.
Il crollo delle illusioni e la fine di Macbeth
Macbeth, dopo avere accolto con indifferenza la notizia del suicidio della moglie, sente di essere stato abbandonato da tutti, tradito dalle streghe che gli avevano promesso l’invulnerabilità, si rende conto del fallimento del suo progetto di potere e di onnipotenza. Comprende che la sua punizione sarà più spietata di quella della moglie, perché ormai sa di avere sbagliato, di non poter far nulla per modificare i suoi errori, per fermare il meccanismo che lo sta distruggendo e portando verso l’autodistruzione. Si prepara ad affrontare i suoi nemici sorretto solo dalle profezie delle streghe, ma anche queste si rivelano un inganno, per cui non gli resta che abbandonarsi alla morte, dando prima sfogo al suo profondo pessimismo: “Domani, e poi domani, e poi ancora domani: così, a piccoli passi, giorno dopo giorno, il tempo striscia fino all’ultima sillaba degli anni divenuti soltanto un ricordo; e tutti i nostri ieri non hanno fatto che illuminare a dei pazzi la via che conduce alla polvere della morte. Spegniti, spegniti, piccola candela! La vita è solo un’ombra che cammina, un povero commediante che si pavoneggia e si dimena per un’ora sulla scena e poi cade nell’oblio: la storia raccontata da un idiota, piena di frustrazione e di foga, e che non significa nulla”.
Per leggere la tragedia
Macbeth, traduzione di Vittorio Gassman, Mondadori, Oscar Classici, 2004
Macbeth, traduzione di Paolo Bertinetti, Einaudi, 2016
Bibliografia essenziale
- Giorgio Melchiori, Shakespeare, Laterza, 1994
- Isabella Imperiali (a cura di), Shakespeare al cinema, Bulzoni, 2000
- Harold Bloom, Shakespeare. L’invenzione dell’uomo, Rizzoli, 2001
- Andrew C. Bradley, La tragedia di Shakespeare. Storia, personaggi, analisi, Rizzoli, 2002
- Franco Ferrucci, Il teatro della fortuna. Potere e destino in Machiavelli e Shakespeare, Fazi editore, 2004
- Ekkehart Krippendorff, Shakespeare politico. Drammi storici, drammi romani, tragedie, Fazi Editore, 2005
- Stefano Manferlotti, Shakespeare, Salerno editrice, 2010
- Nadia Fusini, Di vita si muore. Lo spettacolo delle passioni nel teatro di Shakespeare, Mondadori, 2010
- Agostino Lombardo, Lettura del Macbeth, Feltrinelli, 2010
Film consigliati
- Macbeth, regia di Orson Welles, Stati Uniti, 1946, interpreti Orson Welles e Janette Nolan
- Il trono di sangue (Il castello della tela di ragno), regia di Akira Kurosawa, Giappone, 1957, interpreti Toshito Mifune e Isuzu Yamada
- Macbeth, regia di Roman Polanski, Gran Bretagna, 1971, interpreti Jon Finch e Francesca Annis
- Macbeth, regia di Justin Kursel, Gran Bretagna, 2015, interpreti Michael Fassbinder e Marion Cotillard
LA TRAMA
Macbeth e Banquo hanno sconfitto Macdonwald e Cawdor, vassalli del re di Scozia Duncan, i quali si erano ribellati al trono. Nella brughiera i due generali incontrano tre streghe, le quali dicono a Macbeth che presto sarà barone di Cawdor quindi re di Scozia, mentre Banquo non sarà re ma padre di una stirpe reale. Macbeth riceve la notizia che il re l’ha nominato barone di Cawdor e che sarà ospite nel castello di Dunsinane per rendergli onore. Macbeth, in una lettera, racconta della profezia fatta dalle streghe e Lady Macbeth giura che aiuterà il marito a conquistare il trono con qualsiasi mezzo. Dopo il ritorno di Macbeth, i due coniugi decidono di uccidere il sovrano e la donna appare più risoluta a portare a termine il loro piano, superando le indecisioni del marito. Dopo avere drogato le guardie con un sonnifero, Macbeth uccide Duncan e la scia i pugnali insanguinati nelle mani dei due soldati. Il mattino successivo il nobile Macduff scopre il cadavere del re, quindi Macbeth accusa e uccide le due guardie. Malcom, figlio del re ed erede al trono, fugge dal castello, temendo per la sua vita, per cui Macbeth è incoronato re, essendo il parente più vicino al defunto sovrano. Macbeth, divenuto re di Scozia, è tormentato dalla paura e dai sospetti, per cui decide di eliminare tutti i suoi possibili rivali. Fa assassinare anche il compagno d’arme Banquo, il cui fantasma gli compare dinanzi durante un banchetto di corte, facendo precipitare il re nel terrore e nella follia. Macbeth incontra di nuovo le streghe, le quali lo tranquillizzano, dicendogli che starà al sicuro fin quando la foresta di Birnam non si muoverà contro il castello di Dunsinane; gli dicono, inoltre, potrà essere ucciso solo da un uomo non nato da donna. Malcom instaura un regime di terrore, facendo sterminare i nobili e le loro famiglie. Macduff riesce a fuggir e a rifugiarsi presso Malcom che sta organizzando un esercito per spodestare il tiranno. Lady Macbeth è ormai in preda alla follia e, dilaniata dai rimorsi e dalle visioni dei delitti commessi, si toglie la vita. Quando l’esercito di Malcom avanza verso il castello reale, mimetizzandosi con i rami della foresta di Birnam, Macbeth comprende l’inganno delle streghe e il fallimento della sua vita, ma affronta con coraggio l’esercito nemico e ride beffardo di fronte Macduff che lo sfida a duello ma, quando questo gli dice di essere nato con il taglio cesareo, desiste dal combattere e si lascia uccidere dal suo avversario, che porterà la testa del tiranno a Malcom, il nuovo re di Scozia.