One Health

Il “Lavoro di Squadra” sulla strada della salute planetaria

Pamela Barbadoro
Dipartimento di Scienze Biomediche e Sanità Pubblica – Igiene e Sanità Pubblica
Università Politecnica delle Marche – Facoltà di Medicina e Chirurgia 

Che cosa è la “salute unica”? Esiste una salute di tutti? Oggi viviamo vite più lunghe e più prospere che mai, grazie allo sviluppo di politiche di sanità pubblica, dei progressi agricoli, industriali, tecnologici e sociali ottenuti nel XX secolo. Al contempo, riusciamo ad interpretare il mondo in maniera sempre più complessa, percependo di essere entità in rete collegate da un ambiente unico in continuo divenire. Iniziamo un percorso di viaggio che collega l’animale all’uomo, per arrivare al nostro Pianeta; parlare, di “One Health” sembra, quindi, persino riduttivo.

Che cosa ci hanno insegnato la SARS, la pandemia influenzale, l’emergenza di antibiotico-resistenza a livello globale? Siamo pronti per un nuovo evento, che potrebbe essere alle porte? Il recente caso di peste bubbonica registrato in Idaho ci ricorda come la salute umana e quella animale siano ad oggi parte di un continuum da tutelare a livello globale. I CDC riportano come circa il circa il 60 % di tutti i patogeni che colpiscono l’uomo siano di origine animale e come questa percentuale arrivi al 75% nel caso delle malattie infettive emergenti (CDC, 2018); eppure la storica esperienza italiana di integrazione del controllo della salute animale all’interno del sistema sanitario è stata per decenni singolare esempio e la distinzione stessa tra salute umana, animale e naturale sembra oggi superata.

 Uno sguardo indietro nel tempo ci ricorda, in effetti, come la medicina sia originariamente nata nella forma di una indagine sulla natura e la sua origine alla ricerca dei meccanismi di funzionamento è il mondo quale esso si disvela all’osservazione immediata, nella duplice forma della molteplicità e di una segreta – ma tuttavia ben manifesta – unità, sino ad arrivare al pensiero essenziale di >Empedocle che, riassumendo tutti gli spunti costruì la veduta dei quattro “elementi” acqua, fuoco, terra, aria. Essi gli parevano adeguatamente rappresentare le sostanze universali di cui ogni singola esperienza è manifestazione; princìpi di vita compenetrati del divino circolanti in tutti gli eventi dell’universo.

Durante il Medioevo la tendenza a separare le due medicine prevalse per poi ritornare alla osservazione di una connessione tra processi patologici degli animali e degli esseri umani a partire dal XVIII. Un esempio di questa intuizione, è rappresentato dalla opera letteraria – “De Bovilla peste” – pubblicata nel 1715 dal Lancisi, che può essere considerata la testimonianza più importante di gestione olistica nella storia delle malattie animali. Giovanni Maria Lancisi: noto medico, sanitario personale del Papa, che diede un importante contributo alla medicina veterinaria quando, nel 1713, l’epidemia di peste bovina in atto in Europa si diffuse anche in Italia e che, proprio su incarico del pontefice, stabilì salvifiche norme di polizia sanitaria veterinaria e che nella sua testimonianza, descrisse conseguenze dirette ed indirette della patologia bovina sulla popolazione umana, quali la povertà e la fame e l’impatto sul sistema produttivo in agricoltura (dove i bovini rappresentavano anche la principale forza motrice).

Ma gli eventi epidemici legati a patologie zoonotiche si sono susseguite negli anni, fino alla emergenza, di nuove patologie a potenziale pandemico (Figura 1) quali il virus Nipah trasmesso tramite la saliva e l’urina dei pipistrelli della frutta e recentemente riemerso in India, anche a causa dell’avvicinamento dei pipistrelli all’uomo, in un ambiente dove la necessità di terre coltivabili sta minacciando l’ecosistema delle foreste tropicali.

Testimonianza del delicato equilibrio tra produzione, sostenibilità ambientale e salute è anche l’affermazione dell’antibiotico-resistenza come problematica trasversale al mondo sanitario umano ed animale.

 

Figura 1. Principali patologie emergenti, classificate tra quelle che necessitano ricerca “urgente” o “seria” (Mod. da: CDDEP).

Il consumo globale di antibiotici è salito di quasi il 70% tra il 2000 e il 2010 (Van Boeckel, 2014). Nei Paesi sviluppati, sono mediamente prescritti dai 10 ai 20 cicli di terapia antibiotica in ciascun individuo prima dei 18 anni (Blaser, 2011) e continuando nel rapido calcolo di valutazione delle dimensioni del fenomeno, ogni 10 minuti, vengono utilizzate quasi due tonnellate di antibiotici in tutto il mondo, troppo spesso senza alcuna prescrizione o controllo (Morgan, 2011).  Il peso dell’AMR sulla mortalità a livello globale è ancora scarsamente quantificato; infatti, al momento, nessun registro nazionale delle cause di morte prevede la codifica di “decesso causato da infezione resistente agli antimicrobici”, con la notevole eccezione dell’Inghilterra e del Galles (National Statistics, 2013). Tuttavia, stime dello European Centre for Disease Control (ECDC) si spingono a valutare come ogni anno in Europa 25.000 persone muoiano a causa di infezioni da germi resistenti con un impegno finanziario vicino a 1,5 miliardi di euro e come, nel mondo, ammontino a circa 700.000 i decessi dovuti alle infezioni resistenti. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), prevede che, agli attuali tassi di incremento delle antibiotico-resistenze, da qui al 2050 i “superbug” saranno responsabili di almeno 10 milioni di decessi annui diventando la prima causa di morte al mondo.

Figura 2. Schematizzazione del concetto di “One Health” (Fonte: Elanco Animal Health)

Ottenere un’immagine globale dell’antimicrobico-resistenza e delle patologie di interfaccia uomo-animale ambiente è difficile a causa della mancanza di dati e di metodologie di sorveglianza standardizzate. I recenti rapporti dell’OMS sull’antimicrobico-resistenza hanno evidenziato importanti lacune in questo settore e richiedono una collaborazione più stretta tra le reti di sorveglianza a livello nazionale e internazionale (WHO, 2015; WHO, 2018).  I Paesi che hanno adottato strategie contro l’antimicrobico-resistenza hanno previsto tutti l’istituzione di sistemi nazionali di sorveglianza nelle loro politiche. Tuttavia, nonostante la richiesta dell’OMS di applicare la sorveglianza a tutti i settori utilizzando un approccio One Health, attualmente solo pochi paesi correlano dati umani, animali, alimentari e ambientali nei loro rapporti (Figura 2). A tale riguardo, Danimarca, Svezia e Norvegia hanno aperto la strada, dimostrando come l’assunzione di responsabilità congiunta da parte delle autorità sanitarie, agricole e ambientali possa portare a solidi sistemi di sorveglianza. Recentemente, molti altri paesi hanno seguito l’esempio annunciando l’intenzione di adottare un approccio di One Health. A questi principi è ispirato, ad esempio, anche il Piano nazionale di contrasto dell’antimicrobico-resistenza (Pncar) 2017-2020, messo a punto dal governo italiano e pubblicato lo scorso novembre. Quattro le azioni strategiche indicate nel piano per ridurre il tasso di infezioni da microrganismi resistenti agli antibiotici associate all’assistenza sanitaria ospedaliera e comunitaria, tra cui, al primo posto, la sorveglianza, prevenzione e controllo delle infezioni da microrganismi resistenti, nell’ambito sanitario umano e veterinario.

Ma il legame tra salute umana ed animale torna a riemergere come un epifenomeno di un quadro più complesso, che abbraccia un concetto di salute ancora più grande, fino al coinvolgimento di componenti climatiche ed ambientali, produttive, economiche e sociali.

L’analisi di fattori socio-economici, ambientali, culturali, di contesto e connessi allo stile di vita sarà imprescindibile per la definizione del rischio; alcune delle domande da esplorare potrebbero includere: in che modo l’urbanizzazione e l’esposizione a norme “internazionali” influenzano gli atteggiamenti e i modelli di consumo di diversi tipi di alimenti? Di quali alimenti abbiamo bisogno per il nostro sostentamento? Come renderlo sostenibile per l’ambiente? Come tutelare il ruolo e le risorse idriche? In che modo le politiche nazionali in materia di istruzione e la loro attuazione a livello locale influenzano le aspettative della comunità e della famiglia, la socializzazione dei bambini e la relazione tra i membri della famiglia e gli animali domestici e selvatici? Come sono cambiate le abitudini di vita delle popolazioni in seguito alle modificazioni ambientali? Esistono delle aree nelle attività quotidiane che sono impattate dal contesto ambientale? Studi qualitativi o etnografici più approfonditi possono aiutare a stimolare la valutazione delle influenze sociali e culturali nel determinismo di specifici tipi di interazione dell’uomo con gli animali e l’ambiente (Woldehanna, 2015).

Salute unica, intervento di squadra

Interventi di sanità pubblica dovrebbero, quindi, presupporre la collaborazione degli stakeholders interessati alla salute umana, animale, ambientale e delle comunità. La contaminazione di saperi tra scienze mediche e veterinarie, ingegneristiche ed ambientali, lo sviluppo di centri di eccellenza per la formazione multiculturale/multidisciplinare, lo sviluppo di iniziative di comunicazione congiunta rappresentano utili strumenti di empowerment delle comunità.

Tuttavia, la maggior parte dei determinanti di salute, sociali ed ambientali, quali la sicurezza idrica, la biodiversità, i cambiamenti climatici, l’accesso equo alle risorse, la giustizia sociale, la riduzione dell’inquinamento e la pianificazione dell’uso del territorio ed urbanistica, sono stati ad oggi inclusi raramente in programmi di tutela in un approccio olistico alla salute.

Le politiche di contrasto alle problematiche emergenti all’interfaccia uomo-animale-ambiente sono state, in effetti, criticate per essere troppo strettamente focalizzate sugli aspetti di sanità pubblica che riguardano gli esseri umani senza tenere adeguatamente in conto di fattori non umani che contribuiscono in modo significativo all’emergenza e alla minaccia stessa (Leach, 2013) A tale riguardo, una visione olistica della One Health ha acquisito importanza in contesti di policy internazionale (World Bank , 2012; CDC, 2013; WHO, 2014), tuttavia, sembrerebbe mancare, secondo alcuni Autori, un quadro etico fondato su un concetto più ampio di giustizia, che apprezzi pienamente il valore morale della biodiversità e della salute ambientale oltre al loro mero valore strumentale per la salute umana (Capps, 2015). Nonostante l’adozione diffusa di attenzione ad aspetti di One Health, gli approcci esistenti rimangono altamente antropocentrici, esiste il bisogno di valutare con maggiore attenzione e di discutere i paradigmi convenzionali di pianificazione per riorientare le risposte attorno a valori comunitari più ampi, come la salute ambientale e prendere in considerazione la salute umana e animale (Degeling, 2015; Goldberg, 2015; Degeling, 2016). A tale riguardo, le riforme politiche necessitano di una visione etica che potrebbe includere elementi di giustizia per affrontare le disparità di salute legate all’ambiente (Whitmee, 2015; Capps, 2015).

Oggi viviamo vite più lunghe e più prospere che mai, grazie allo sviluppo di politiche sanità pubblica, dei progressi agricoli, industriali e tecnologici ottenuti nel XX secolo. L’aspettativa di vita a livello globale è aumentata di oltre 20 anni nell’ultimo mezzo secolo, passando da 47 anni, nel 1950-1955, a 69 anni nel 2005-2010 (Danzen, 2014). I tassi di mortalità nei bambini sotto i cinque anni sono diminuiti da 214 ogni 1.000 nati vivi nel 2005 a 59 su 1.000 nati vivi nel 2010 (United Nations Secretariat, 2013). Per continuare a migliorare la salute e il benessere umani, dobbiamo ampliare la nostra visione del progresso per tenere conto del ruolo fondamentale dei sistemi naturali della Terra, che ci forniscono sostentamento, rifugio ed energia, non solo in maniera strumentale ma considerando aspetti di armonia ed etica della natura. Lo sviluppo del genere umano ha avuto bisogno di modificare l’ambiente attraverso l’uso e l’abuso di risorse naturali, ma ora sappiamo anche che questi cambiamenti hanno impatti profondamente negativi sulla nostra salute e sul nostro benessere.

Parlare quindi di One Health sembra quindi, persino riduttivo; qual è l’”unica salute”? Esiste una salute di tutti? Nel rapporto finale della Commissione voluta dalla Fondazione Rockefeller e dal Lancet (Whitmee, 2015), è stato introdotto un nuovo paradigma di riferimento, quello della Planetary Health (Figura 3): “il raggiungimento del più alto standard di salute, benessere ed equità in tutto il mondo attraverso una chiara attenzione ai sistemi umani, politici, economici e sociali – tale da modellare il futuro dell’umanità ed i sistemi naturali della Terra atti a definire limiti ambientali sicuri entro i quali l’umanità possa prosperare. In parole povere, la salute planetaria è la salute della civiltà umana e lo stato dei sistemi naturali da cui essa dipende “.

Figura 3. Esemplificazione del legame tra ambiente, produzione e salute. (Fonte: The Rockefeller Foundation-Lancet Commission on Planetary Health).

 “We have lived our lives by the assumption that what was good for us would be good for the world. We have been wrong. We must change our lives so that it will be possible to live by the contrary assumption, what is good for the world will be good for us. And that requires that we make the effort to know the world and learn what is good for it.”

Wendell Berry
from The Long-Legged House (1969)
ripresa da Horton e Lo, 2015

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