“Siamo veramente stanchi di vedere attori che ci danno false emozioni, esauriti da spettacoli pirotecnici a effetti speciali. Anche se il mondo in cui si muove è in effetti per certi versi fittizio, simulato, non troverete nulla in Truman che non sia veritiero. Non c’è copione. Non esistono gobbi. Non sarà sempre Shakespeare ma è autentico. È la sua vita”. (1)
“Per me non c’è alcuna differenza tra la vita pubblica e la vita privata. La mia vita è il Truman Show. Il Truman Show è uno stile di vita, una vita esemplare … una vita quasi sacra direi” . (2)
“È tutto reale, è tutto vero. Non c’è niente di inventato. Niente di quello che vedi nello Show è finto, è semplicemente controllato”. (3)
E così si va in scena. In ogni istante, è la vita che va in scena, attraverso le sue sequenze, fenomenologie multiformi di un flusso continuo. Ci sono modalità biologiche in senso stretto, puramente legate alla sopravvivenza e alle funzioni riproduttive, e formazioni più propriamente culturali, fatte di incontri e di conflitti, interazioni face to face o eventi mediatici. Nello scambio simbolico, un intreccio inestricabile di doni e di maschere. Ininterrotta finzione scenica. The show must go on.
The Truman Show è una fiaba cinematografica, il cui eroe, allontanato dalla propria vita, è costretto ad affrontare una serie di prove per ritrovarsi. Truman è nato e cresciuto all’interno del reality appositamente costruito intorno a lui, uno scenario artificiale dove, in mezzo a tanti attori che recitano, è l’unico inconsapevole attore di se stesso.
Con una modalità, al di là del paradosso, non così dissimile dalla condizione esistenziale di ciascuno di noi.
Paesaggi antropologici preconfezionati, quasi un mondo in miniatura, architetture e arredamenti come spot di se stessi. La stessa tautologia dell’ultimo capitalismo globale, antropofago e, in ultima istanza, autodistruttivo, ad avverare, seppure in termini difformi, la vecchia profezia marxiana. Sole e luna, solo luci di enormi riflettori, e cinquemila telecamere per una fiction senza soluzione di continuità. Il cielo, un fondale di cartapesta dai toni pastello. Anche il mare, quello che sembra il mare, è una enorme vasca, in cui i venti e le onde sono mossi da effetti computerizzati. Un contesto strettamente delimitato, privo di spazi creativi, dove la follia di un ordine prestabilito si sostituisce alla follia che è intrinseca alla vita stessa.
Cosicché può accadere di trovarsi in questo mondo di comparse, dove ciascuno recita in base a “caratteri” standardizzati. Attori che replicano se stessi, con una coazione a ripetere tipica di certe forme psicotiche, manichini anaffettivi, vuoti e inquietanti, ciascuno perfettamente funzionale alla scena. Ogni cosa al suo posto.
Così la vita, giorno dopo giorno si allontana, e “lentamente muore” ciò che di vero si annida negli spazi più profondi. E magari scopri che non è più il tempo dell’amore, te ne accorgi in un mattino di pioggia, così, da piccoli particolari, le pozze d’acqua che riflettono un colore grigio, e cancelli di metallo serrati e inaccessibili. O ascoltando il ritmo di un battito regolare, fra la normale indifferenza e le corse a testa bassa di moderni mercanti affaccendati.
La dimensione umana in fondo è una continua oscillazione tra fantasia e bisogno di sicurezza, due aspetti profondamente antitetici, che tuttavia coesistono nella nostra esperienza. Truman rappresenta la parte più vera di ciascuno, l’ io rimasto ancora indenne rispetto ai processi di socializzazione, legato ad un inesausto “gioco dei perché”. È il bambino, nella fiaba di Andersen, che finalmente scopre l’inganno del re nudo. O più semplicemente l’eros così come ce lo descrive Socrate nel Convivio di Platone, un dio fanciullo che è tensione irrisolta verso oggetti d’amore mai (o non ancora) posseduti. Ci vuole talento per essere artisti della vita, e non è sufficiente la follia, occorre anche proprio questo amore, che è ricerca continua, e sofferenza. Il piccolo Eros, perennemente inquieto, e per sempre bambino.
Ma l’infanzia può essere anche letta nella chiave opposta, cioè come metafora dell’appartenenza ad una comunità protettiva, una condizione innocente e inconsapevole. “Per quale motivo Truman non è mai riuscito a scoprire la vera natura del mondo in cui ha vissuto finora?” (4) “Noi accettiamo la realtà del mondo così come si presenta, è molto semplice” (1), quasi una citazione testuale della sociologia fenomenologica (Berger e Luckmann), sostanzialmente una riedizione in chiave moderna del mito della caverna di Platone. Ci sono esseri umani costretti a vedere soltanto ombre proiettate sulla parete, e per loro il reale è quello, così come per l’uomo medievale lo è uno scenario infestato da streghe e demoni, o per le popolazioni “primitive” una natura magica intrisa di spiriti. E per noi, abitanti di questa attuale liquidità culturale, l’irragionevolezza delle moderne mitologie commerciali. Tutte costruzioni linguistiche di un mondo che comunque è oggetto e frutto di rappresentazioni simboliche.
“Io ho dato a Truman l’opportunità di vivere una vita normale. Il mondo, il posto in cui vivi tu, quello sì che è malato. Sea-heaven è il mondo come dovrebbe essere. …. Potrebbe andarsene quando vuole, se fosse qualcosa di più di una vaga aspirazione, se fosse assolutamente determinato a scoprire la verità, noi non potremmo fermarlo. Vedi, la cosa che ti dà più fastidio, in realtà, io credo sia il fatto che Truman preferisce la sua cella”. (1)
Eppure a volte basta proprio poco, anche un piccolo particolare, apparentemente insignificante, un “sasso nello stagno” (Rodari, pp.7-12), per modificare in senso radicale la rappresentazione del mondo, come una ristrutturazione gestaltica del campo percettivo, improvvisa e simultanea.
Il finale, come in tutte le fiabe, raffigura l’incontro e lo scontro epico fra l’eroe e l’antagonista, la cui conclusione si esemplifica nell’istante in cui la mano tocca il cielo, la mano umana, capace di esplorazione e di conoscenza, e un fondale di cartapesta. L’umano e l’artificiale a contatto, non più parti indifferenziate di uno stesso simulacro, ma finalmente distinte ciascuna nella propria dimensione ontologica. L’umano, fedele alla vita, e tutto il resto soltanto un’iconografia del mondo delle cose. Una sorta di aletheia (disvelamento), che scopre finalmente la natura più profonda della dialettica sociale, sempre sospesa tra la “datità” di un sistema oggettivato e il mondo vitale (Lebenswelt) come costruzione interattiva.
Il finale costituisce anche un estremo, disperato, tentativo di far emergere la nostalgia per una situazione ormai irrimediabilmente compromessa, una condizione infantile non più proponibile (o comunque non più negli stessi termini) una volta che si è usciti dall’ “utero” dell’inconsapevolezza. Lo stesso processo, in chiave sociale, che ha visto il passaggio dalla comunità alla società moderna, drammatico e irreversibile (Bauman, 2003).
Dove andrà Truman una volta uscito dallo show? Probabilmente verso un’emancipazione, un’adultità non priva di contropartite pesanti. Sarà esposto al rischio e alla responsabilità, forse dovrà indossare altre uniformi, e nuove maschere, standardizzarsi comunque all’interno di stereotipi, luoghi comuni come punto di partenza per improntare relazioni e non sentirsi isolato. In poche parole, assoggettarsi ad altri fatti sociali, e in più sopportare tutto il peso della libertà.
“Sono il creatore.. di uno show televisivo che dà speranza, gioia ed esalta milioni di persone… Tu sei la star… Tu eri vero, per questo era così bello gurdarti … Là fuori non troverai più verità di quanta non ne esista nel mondo che ho creato per te, le stesse ipocrisie, gli stessi inganni, ma nel mio mondo tu non hai niente da temere… tu hai paura, per questo non puoi andar via… Ho seguito ogni istante della tua vita. Ho seguito quando sei nato. Ho seguito quando hai mosso i tuoi primi passi. Ho seguito il tuo primo giorno di scuola, il momento in cui hai perso il tuo primo dentino. Come fai ad andartene? Il tuo posto è qui con me “.(1)
A volte vi sono fili sottilissimi, o muraglie insormontabili, una madre che piange, una donna che aspetta, un bambino, una casa, quadri di famiglia e giardini d’infanzia, dove si è formato l’hardware ineludibile dei primi schemi mentali. Legami fin troppo dolorosi da spezzare, e altitudini da cui cadere fino a morire. Reti e pareti. Imperativi apparentemente leggeri, talmente impliciti da non risultare neanche apparenti, una naturalità sociale materializzata nei jingle usuali che risuonano fra le corsie del centro commerciale, o nella voce rassicurante di una trasmissione radiofonica. Eppure macigni, nell’istante in cui si operi una qualche violazione. Si pensi alla scena in cui l’intero cast si mobilita per cercare Truman in fuga verso il mare. O quando il regista scatena una tempesta artficiale al massimo livello, fino quasi a provocare la morte della sua “creatura”. Il regista dello show rappresenta una esatta personificazione del potere, che oscilla tra il paternalismo e la violenza, è l’icona di chi controlla senza essere visto (“Sappiamo quanto gelosamente protegga la sua privacy” (4)), un Big Brother “post-panottico”, tipico di questa società evanescente in cui le nuove élite fanno della propria extra (e sovra) – territorialità uno dei principali punti di forza rispetto ai sottomessi, condannati al vincolo del radicamento locale (6).
Cosicchè difficilmente qualcuno attraverserà il mare. È richiesto un salto qualitativo emozionale enorme, un esercizio di decondizionamento in grado di spezzare i legami più prescrittivi, impiantati nelle reti neuronali. Un salto mortale, per il quale occorre tutta la consapevolezza, tutta l’ironia di cui sono capaci gli acrobati, la stessa serietà di un clown.
“…Casomai non vi rivedessi buon pomeriggio buona sera e buona notte”. (5)
Poscritto
Fantasia = tutto ciò che prima non c’era anche se irrealizzabile
Invenzione = tutto ciò che prima non c’era ma esclusivamente pratico e senza problemi estetici
Creatività = tutto ciò che prima non c’era ma realizzabile in modo essenziale e globale
La fantasia, l’invenzione, la creatività pensano, l’immaginazione vede (B.Munari, pp.8-15)
Note
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Il regista del Truman Show
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L’attrice moglie di Truman
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L’attore amico di Truman
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L’intervistatore del regista
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Truman
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Per inciso, questa riservatezza appare in contrasto con lo stile delle nuove elité mediatiche, che anzi, fondano il proprio status sulla categoria dell’apparire, e fanno della visibilità, dell’esposizione ostentata, l’elemento centrale del proprio successo (Bauman, 2001, pp.55-61, in particolare p.60: “i molti guardano i pochi”).
Bibliografia
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Munari, Fantasia, Laterza, Roma-Bari 2006
-
Rodari, La grammatica della fantasia, Einaudi, Torino 1997
-
Propp, Morfologia della fiaba, Einaudi, Torino 2000
-
C.Andersen, I vestiti nuovi dell’imperatore
-
Platone, Simposio
-
Platone, Repubblica (libro 7)
-
Bauman, Voglia di comunità, Laterza, Roma-Bari 2003
-
Bauman, Modernità liquida, Laterza, Roma-Bari 2002
-
Bauman, Dentro la globalizzazione, Laterza, Roma-Bari 2001
-
Codeluppi, Il biocapitalismo. Verso lo sfruttamento integrale di corpi, cervelli ed emozioni, Bollati Boringhieri, Torino 2008
-
Schütz, La fenomenologia del mondo sociale, Il Mulino, Bologna 1974
-
A Schütz., Don Chisciotte e il problema della realtà, Armando, Roma 1995
-
L.Berger, Th.Luckmann, La realtà come costruzione sociale, il Mulino, Bologna 1969
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H.Mead, Mente, sè e società, Giunti – Barbèra, Firenze 1966
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Goffman, La vita quotidiana come rappresentazione, il Mulino, Bologna 1969.
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Popitz, Verso una società artificiale, Editori Riuniti, Roma 1996
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Durkheim, Le forme elementari della vita religiosa, Meltemi, Roma 2005
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Durkheim, Le regole del metodo sociologico, Editori Riuniti, Roma 1996
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Weber, Economia e società, Edizioni di comunità, Milano 1961
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Crespi, Le vie della sociologia, il Mulino, Bologna 1998
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Collins, L’intelligenza sociologica. Un’introduzione alla sociologia non-ovvia, Ipermedium, S.Maria C.V. 2008
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Grilli, La mediazione simbolica nella costruzione sociale, CLUA, Ancona 2004
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Orwell, 1984, Mondadori, Milano 1984