Bentrovati, felice di rivedervi

Sandro Ortolani
Direttore ADP Corso di Laurea in InfermieristicaSandro Ortolani Direttore ADP Corso di Laurea in Infermieristica Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università Politecnica della Marche

Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università Politecnica della Marche

 

Mi hanno portato in Ospedale il 4 luglio dello scorso anno e ne sono uscito l’8 settembre, oggi sono qui con Voi.

Pensi sempre che non può capitare a te.
Certe cose non possono capitare proprio a te.
Invece non è così.
Conduci una tranquilla, apparentemente tranquilla, esistenza.
Ma non ti aspetteresti mai che, improvvisamente,
tutta la tua tranquilla esistenza possa essere messa totalmente
a soqquadro da un nonnulla.
Un filamento, un ultramicroscopico filamento
che distrugge esistenza e tutto.

Un mondo intero. Distrutto da un filamento.
Mi sveglio. Ho dormito a lungo, probabilmente.
Non so neppure io quanto.
Ma mi sveglio a un certo punto.
Dove sono, non me ne rendo subito conto.
Faccio fatica a respirare. Faccio fatica a muovermi.
Anzi non mi muovo affatto.
Sono letteralmente inchiodato in un letto d’ospedale.
Quale ospedale? Chi sono queste persone strane,
coperte da tute da sembrare astronauti?
Sento le loro voci. Intravedo appena i loro sguardi.
Chi sono? E dove sono?
Mi rendo conto di essere in un ospedale.
Non posso muovermi. Respiro a fatica.
Non posso parlare. Sono pieno di tubi….
Cosa è accaduto?
Ma la macchina dove l’ho parcheggiata?

Una musica. Sento una musica. Leggera.
Un sottofondo. Penso. Ascolto. Guardo il soffitto
di una camera di rianimazione. Attorno a me
si muovono figure attente e solerti, bisbigliano
qualche parola tra loro. Mi chiamano per nome.
Il mio nome! Mi chiedono di aprire gli occhi,
di stringere una mano. “Ordini semplici”.
Così li descrivono nei trattati medici.
Il mio nome! Qualcuno mi chiama, si rivolge
a me, mi guarda. Lo guardo.
La musica lieve accompagna a volte le lunghe ore
di lunghe giornate.
Non sono più un invisibile corpo.

Eravamo in montagna quell’estate, con amici
ed amiche. Ricordo quel pomeriggio alla ricerca
della strada per un rifugio inaccessibile.
Avevamo sbagliato stradello. Le ragazze si
erano un poco innervosite. Cominciava a fare buio.
Con affanno camminavamo più in fretta possibile
per raggiungere il rifugio. Là saremmo stati
al sicuro, al caldo, al riparo. Ma sembrava non si
arrivasse mai. Era calato il silenzio tra noi.
Eravamo troppo occupati e concentrati per seguire lo stradello,
quello giusto, che ci avrebbe portati al rifugio. L’aria fresca ed
asciutta ripagava della fatica. Lo zaino pesante
ballonzolava sulla schiena.
Finalmente intravedemmo da lontano delle luci,
in mezzo al bosco. I monti intorno a noi
si stagliavano alti e netti nel cielo ancora azzurro.
Il piccolo rifugio con le sue finestrelle rosse sui mattoni grigi
si cominciava a vedere bene.
Ci fu un liberatorio scambio di battute con gli amici.
Pensai con sollievo ad un bel piatto di uova, speck e patate
che avrei mangiato e alla gelida acqua
del rubinetto che ci attendeva e sorrisi rassicurato.
Ma…”la montagna più grande resta sempre quella
dentro di noi”.

Ormai ce l’ho fatta. Ho resistito al virus, alla malattia
più terribile che mi sarebbe potuta capitare.
Tutti mi hanno aiutato: Medici, infermieri, operatori sociosanitari, fisioterapisti, logopediste….
E i miei Studenti, che timorosi si avvicinavano
Tutti sono stati bravissimi e pazienti con me.
In fondo, ero uno di loro.

Tanti hanno pregato e pianto per me.
Mentre, inconsapevole, combattevo la mia battaglia più dura,
in tanti: amici, familiari, colleghi di lavoro hanno pregato, pensato a me.
Quotidianamente. Con affetto, con tenacia e con speranza.
In fondo, sono uno di loro.

Ancora non me ne rendo pienamente conto.
Sono stato fortunato. Ho scoperto che tante persone mi vogliono bene.
Ho tanti amici e colleghi che mi stimano.
Sono meravigliato dalla commozione sui volti di chi mi viene a trovare
nel reparto dove ho iniziato la mia convalescenza. So che sarà
lunga.  Non riesco a volte a pensare al futuro.
Vivo giorno per giorno. Ci sono tanti traguardi ancora
da raggiungere. Devo imparare di nuovo a camminare, a parlare, a mangiare,
a vestirmi… a fare tutte quelle cose che sembrano banalmente scontate
ma così importanti nel quotidiano.

Grazie. È la parola più semplice da dire.
A tutti. Ma per primo a me stesso.
Ho scoperto una forza che non credevo di avere.
Un coraggio che non pensavo di possedere.
Una speranza inaudita.
Grazie. A tutti. A me stesso.
Grazie. Alla vita che ricomincia.
Da capo, una nuova vita.
Con tanti nuovi volti amici che non sapevo avrei conosciuto.
Dovrò imparare nuove parole da dire.
Dovrò avere occhi diversi per guardare al futuro.
E non è retorica.

Ortolani con gli allievi infermieri

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