I Parabolani, gli infermieri “ninja” di Alessandria d’Egitto


 
Giordano Cotichelli
Corso di Laurea in Infermieristica
Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università Politecnica delle Marche

 

Nella lunga transizione fra Epoca Classica e Medioevo, si realizza il passaggio fra le istituzioni romane e quelle dell’Impero Bizantino; non senza traumi e violenze. Ad Alessandria d’Egitto, agli albori del V secolo, ne rimane vittima Ipazia, una delle prime donne scienziato della storia. La filosofa cade sotto l’azione omicida dei Parabolani: monaci guerrieri ed infermieri. Figure del passato che aggiungono un ulteriore contributo nella definizione di un quadro storiografico di riferimento delle professioni sanitarie.

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Figura 1 – I resti del Serapeo oggi ad Alessandria (foto Cotichelli)

All’inizio del V secolo si consuma in Alessandria d’Egitto una lotta di potere che vede opporsi il vescovo Cirillo al prefetto Oreste [1]. Da tempo la città portuale, sede della famosa biblioteca e della prestigiosa scuola di Medicina, è attraversata dalla violenza politica; ed il predecessore stesso di Cirillo, Teofilo, è stato reso responsabile della distruzione del Serapeo (Tempio di Serapide) (Fig. 1). Cirillo, in cerca di legittimità e consensi, parla di un vero e proprio scontro di civiltà, o meglio di religioni: cristianesimo contro paganesimo. Il vescovo può farsi forte sia del sostegno della legge, che prevede l’agire del clero soggetto solo al giudizio del foro ecclesiastico, e sia della forza di una vera e propria milizia che, all’occorrenza, può accorrere dai conventi vicini, in particolare da quello della città di Nitria. Una forza rappresentata dai monaci parabolani i quali, nel momento più acuto della crisi istituzionale, si renderanno colpevoli, fra i vari episodi di violenza, anche del linciaggio di Ipazia (Fig. 2), una delle prime donne scienziato della storia: astronoma, filosofa neoplatonica e matematica. Ipazia sarà vittima di un clima di intolleranza e martire del pensiero scientifico. Un episodio tragico all’interno di un orizzonte altrettanto drammatico il quale potrebbe ad ogni modo restare confinato nelle tante pieghe della storia se non richiedesse di soffermarsi sulla peculiarità di questi monaci guerrieri i quali, in primo luogo, erano dediti ai servizi di cura dei malati, chiamati in causa durante le epidemie, nel trasporto dei malati [2] e nella rimozione dei cadaveri. Più fonti ne parlano come una delle tante figure progenitrici dei moderni infermieri. Fra queste, si possono ricordare il lavoro di Patricia Donahue [3] che riprende gli studi di Adelaide Nutting [4] la quale scrive che la prima menzione dei parabolani, in relazione al lavoro assistenziale possa essere fatta risalire a San Basilio, vescovo di Cesarea nel 370. I parabolani vengono ricordati quali infermieri anche da Eloy [5], nel suo dizionario storico: “Questi parabolani erano scelti da vescovi e da preti, dovevano star di continuo appresso agli ammalati per averne cura, il che corrisponde a ciò che oggi noi chiamiamo infermieri”. Testimonianze successive ne spostano indietro l’origine addirittura all’epidemia che sconvolse l’Africa e l’Egitto nel 253[6], in funzione di cura degli infermi secondo la testimonianza di Eusebio. In merito però le fonti sono poche e non accettate da tutti gli storici. Ad ogni modo, le attività di cura cui sono dediti sono ben definite da una legge del 416 ed una del 418 (raccolte poi nel Codice di Teodosio ed in quello successivo di Giustiniano)[7], in cui si specifica le funzioni di sepoltura dei morti e l’assistenza ai malati, la diretta dipendenza dall’autorità vescovile e il dover essere reclutati fra le classi più umili della società in relazione ad un numero totale che non doveva superare le 500 presenze nella città di Alessandria (cifra elevata poi a seicento nella legge del 418). Nei codici citati il termine è tradotto in parabalanis, mentre in generale in vari testi si può trovare anche il termine parabalani. Differenze che inducono a dare uno sguardo all’etimologia della parola, utile per capire meglio la storia di questi monaci-guerrieri-infermieri.

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Figura 2 – Ipazia in un disegno di inizio XX secolo

Secondo Bonavilla Aquilino[8] il termine può avere tre distinti riferimenti con cui il prefisso para (presso, accanto, inerente) si lega. In primo luogo viene suggerito il termine bolos, come servi della gleba, riferito alla durezza del lavoro cui erano chiamati a rispondere, e riferito anche al mondo cui prestavano assistenza e dal quale provenivano essi stessi. A favore di questa prima definizione c’è anche la testimonianza di Curzio Sprengel[9] che afferma come non veniva permesso l’arruolamento dei parabolani nelle classi dei curiales o degli honorati, perché questi potevano avere troppa influenza sulla popolazione. La seconda interpretazione considera il termine ballo in funzione del verbo gettare, a rappresentare l’immagine di colui che è disposto a gettare via la propria vita pur di curare gli altri. Simile significato, anche considerando il termine greco parabolos, designa colui che è audace, e riconduce alla funzione militare. L’ultima spiegazione – forse la meno plausibile – considera il sostantivo parabola legato alla narrazione del buon Samaritano di cui vengono emulate le gesta di cura ed assistenza[1]. Silvia Ronchey[1] nel suo libro su Ipazia, scrive che probabilmente il termine parabalani (da lei preferito a parabolani) deriva da parabalaneus, dal greco balaneion, ed ancora dal latino balneum, a designare colui che in età classica prestava cura agli ospiti delle terme e già allora era accostato alle funzioni di infermiere; fatto ribadito anche durante il Concilio di Calcedonia del 451. Ronchey si sofferma anche sul carattere dei parabolani, facendo riferimento a Suida (intellettuale bizantino del X secolo) che li descrive come delle vere e proprie bestie, per la rozzezza dei modi e della provenienza sociale, e la scelta di vita monastica che, fuori dalla dimensione della vita cittadina, li avvicinava – secondo l’approccio bizantino del tempo – o a degli dei o alle bestie.

Quanto scritto sin d’ora impone un momento di riflessione che deve superare la citazione fine a se stessa e cercare di utilizzare le informazioni ottenute per uno sguardo d’insieme necessaria. Riesce un po’ difficile riuscire a conciliare la funzioni di veri e propri guerrieri con quelle della vita monastica o comunque con lo status di chierico che era loro riconosciuto, e con le funzioni assistenziali del ruolo di un infermiere, a meno che questi diversi aspetti non rappresentassero caratteristiche interne alla “corporazione” dei parabolani. Provenienti dalle classi sociali più povere riuscivano ad assurgere ad una vita migliore attraverso l’acquisizione dello status di chierico ed in seguito trovare sviluppi interni dedicandosi all’arte delle armi, dell’assistenza, o dell’ascesi religiosa vera e propria. Dove iniziava l’una e finiva l’altra, oppure se erano compresenti in una stessa situazione di vita lavorativa, o ancora se rappresentavano una sorta di stratificazione interna, questo è difficile da affermare in assenza di ulteriori fonti. Dei parabolani nei fatti si sa ben poco. La loro immagine è legata soprattutto alle vicende alessandrine, ed in particolare all’assassinio di Ipazia, trovando poi collocamento in qualche codice che ne definisce natura e numerosità, ma nulla più. Non ci sono personaggi di rilievo, testimonianze della loro presenza in altri luoghi e la loro esistenza sostanzialmente si esaurisce alle porte dell’invasione araba dell’Egitto. E’ plausibile pensare che possono rappresentare un primo tentativo di strutturare un vero corpo militare a presidio di un dato territorio – e come si è visto – al servizio delle locali strutture di potere, nell’abbinamento ad una presenza diffusa nella società legata alle funzioni di cura lungo una fidelizzazione vera e propria data dalla cultura religiosa che li pervadeva.

Nella sostanza i parabolani possono essere considerati dei remoti “progenitori” di quelli che poi saranno gli Ordini militari religiosi che si svilupperanno a partire dal Basso Medioevo, ed ancor più di quelli legati al mondo della cura, dai più noti Ospitalieri ai Lazariti, ai Cruciferi, presenti in buona parte del bacino del Mediterraneo, e dell’Europa stessa. La figura dei parabolani parla di una storia lontana, riporta alla luce episodi e personaggi di rilievo, ma soprattutto mette in risalto come il mondo delle arti dedite all’assistenza, lentamente nel tempo si strutturi in contesti e ruoli istituzionali, in parte anche codificati e riconosciuti. Il tempo preso in considerazione è quello relativo al mondo dell’Impero Bizantino, che veicolerà il passaggio dalla civiltà classica a quella moderna attraverso il Medioevo, esaurendo la sua missione, nelle cesure della storia in quei decenni stretti fra la caduta di Costantinopoli (1453) e la scoperta dell’America (1492). I parabolani sotto l’egida del clero del tempo, all’interno dei conventi, anche se della sola città di Alessandria (non si hanno riscontri della loro presenza in altre località), modulano lo sviluppo dell’assistenza infermieristica. In un quadro composito in cui sono compresenti e intercambiabili diverse funzioni e conoscenze. Ad essi si vengono ad affiancare altre figure assistenziali coeve, presenti in molte località dell’Asia Minore: dagli spoudaioi, gli zelanti e seri, ai lecticarii, i portatori di lettiga,[2] fino ai philoponoi, gli amici di coloro che soffrono[11], dei laici che facevano voti di castità – o se sposati di continenza – e si dedicavano alla cura dei sofferenti. Non avevano una formazione medica e non potevano somministrare alcun tipo di farmaco anche se provvedevano a garantire riparo, igiene, cibo, vestiario e assistenza ai malati indigenti nelle aree ampie urbane[12] [13].

Alla fine, la narrazione sugli infermieri-guerrieri di Alessandria allarga e arricchisce il quadro storiografico dell’infermieristica in cui alla narrazione elegiaca, presente alle volte, si affiancano testimonianze di rilievo che, nel bene e nel male – e in merito all’assassinio di Ipazia si è in questo secondo campo-, tracciano il profilo di una professione che ha la peculiarità di essere di per sé un buon indicatore sociale dello scorrere della storia; quella passata e quella presente.

Bibliografia

[1] Ronchey S. (2011). Ipazia. La vera storia, Rizzoli editore, Milano,

[2] Phillipsborn, A. (1950). La compagnie d’ambulanciers «parabalani» d’Alexandrie. Byzantion20, 185-190.

[3] Donahue, M. P. (1991). Nursing: storia illustrata della assistenza infermieristica, Delfino editore.

[4] Nutting, M. A., & Dock, L. L. (1907). A History of Nursing: The Evolution of Nursing Systems from the Earliest Times to the Foundation of the First English and American Training Schools for Nurses. 1907 (Vol. 2). GP Putnam’s Sons, pag. 129

[5] Eloy NFJ. (1795) Dizionario storico della Medicina che contiene l’origine, Tomo VI, Napoli con licenza de’ superiori e privilegio, composto in francese, pag. 170

[6] Alföldi, A. (1967). Studien zur Geschichte der Weltkrise des 3. Jahrhunderts nach Christus5(2), Darmstadt, Wisseschaftliche Buchgeselschaft, 1967, pag. 422 e n. 196

[7] Cod. Theod. 16, 2, 42-43; Cod. Just. 1, 3, 17-16. l testo consultato è una riproposizione nel Codice Giustianeo online all’indirizzo: http://www.thelatinlibrary.com/justinian/codex1.shtml

[8] Aquilino, B. (1821). Dizionario etimologico di tutti vocaboli usati nelle scienze: arti e mestieri che traggono origine dal greco, Napoli, Tipografia di Giacomo Pirola; pag. 243.

[9] Curzio Sprengel (1841) Storia prammatica della Medicina, Vol. 2, Tipografia della speranza Firenze 1840, pag. 105 – 106;

[10] Mehus L. (1785). Dell’origine progresso, abusi e riforma della confraternite laicali. Firenze, Gaetano Cambiagi, stamperia granducale.

[11] Prioreschi, P. (2001). Byzantine and islamic medicine (Vol. 4). Horatius press.

[12] Ferngren, G. B. (2016). Medicine and health care in early Christianity. JHU Press, 133 e 134

[13] Miller, T. S. (1985). The birth of the hospital in the Byzantine Empire. The Henry E. Sigerist supplements to the Bulletin of the history of medicine, (10), 1-288.

 

 

 

  1. Rispetto a questa accezione c’è una interpretazione che si discosta leggermente, considerando il termine parabolano relativo a quel tipo di sanitario, o ancor più di medico non proprio all’altezza del suo compito e quindi avvezzo a perdersi maggiormente in chiacchiere, ciarle o, appunto, parabole. Ne parla in merito Lorenzo Mehus nel 1785 [10].

  2. Va precisato che l’accezione del termine è diversa dal significato attuale, dato che la lettiga (o portantina) era una sorta di lettino portatile, spesso munito di un rivestimento a baldacchino come copertura. In questo è probabile che si designassero con lo stesso termine anche coloro che portavano gli infermi da un luogo all’altro.

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