La Bioetica come disciplina – Il lungo percorso nella storia dell’etica medica

Scienze umane
Bioetica
Luisa Borgia
Bioeticista, vice Presidente del Comitato etico della Repubblica di San Marino

La Bioetica nasce come neologismo e come disciplina negli USA nel 1970, grazie ad una felice intuizione dell’oncologo Van Rensselaer Potter, in un articolo dal titolo “ The  science of survival”  .

Gli anni ’70 del secolo scorso si sono caratterizzati per la prima, per l’attenzione alle possibili conseguenze di un processo scientifico-tecnologico che, pur contenendo in sé la possibilità di migliorare le condizioni di vita, se condotto in maniera indiscriminata, avrebbe  potuto trascinare l’umanità e le differenti forme di vita sul baratro della distruzione.

Per scongiurare quello che sembrava un disastro inevitabile, Potter indicò la necessità di costruire un ponte  fra la cultura umanistica e quella scientifica: la “Bioetica”, che diventa così una scienza della sopravvivenza, in quanto si rivolge non solo all’uomo, ma a tutto l’ecosistema, per utilizzare la conoscenza scientifica non più in maniera “selvaggia”, ma tenendo presente le indicazioni morali e le leggi insite nella stessa biosfera.

La Bioetica nasce dunque come momento “critico” , quando si incrina la fiducia nella capacità di autoregolazione del progresso tecnologico e  della ricerca scientifica che, se avulse da un riferimento etico condiviso, perdono quella immunità derivante da una illimitata libertà di ricerca.

La Bioetica si colloca immediatamente in un contesto interdisciplinare, riferendosi a tematiche e valutazioni che da sempre erano state di pertinenza della deontologia e dell’etica medica.

In medicina infatti la riflessione etica è antichissima e percorre tutta la storia della scienza medica, a partire da Ippocrate, il cui “Giuramento” è espressione di una cultura che poneva il medico al di sopra della legge, unico custode del bene del paziente, il cui ethos  si fondava sul “principio di beneficienza e non maleficienza”: tale conoscenza attribuiva al medico la coscienza del bene in sé, senza alcuna considerazione dei desideri del paziente.

Da questa concezione deriva il cosiddetto “paternalismo medico”, che  ha suggellato da sempre la relazione medico-paziente, fino alla recente acquisizione del diritto di autonomia, con il quale la persona malata cerca di ristabilire un equilibrio attraverso la partecipazione consapevole alle scelte terapeutiche.

Nel giuramento di Ippocrate troviamo concentrati tutti gli elementi che sono oggetto dell’attuale discussione bioetica e che costituiscono la trama su cui da sempre si intesse  l’azione e la riflessione morale del medico: l’obbligo di non somministrare veleno, di evitare aborto procurato, di non abusare sessualmente del malato e dei suoi familiari, di rispettare il segreto professionale.

Questi obblighi, fondati sul principio del “primum non nocere”, costituiscono il cuore di un primo codice deontologico di natura pregiuridica, a suggello del quale venivano invocate le divinità, con la loro benedizione per chi lo avrebbe osservato e la maledizione per chi lo avrebbe trasgredito.

Tutti gli attuali codici deontologici, pur nella loro specificità ed attualità, rimangono fedeli a quei principi sanciti quattro secoli prima di Cristo.

Con l’avvento del Cristianesimo e la creazione degli ospedali (unica forma di assistenza pubblica per almeno diciassette secoli), nasce il concetto di assistenza come carità verso la “persona umana” del paziente, inteso nella sua unità di corpo e spirito, al cui cospetto il medico si trasforma in servitore, incarnando il buon samaritano della parabola evangelica.

A partire dal pensiero filosofico moderno, attraverso il liberalismo etico di Hume e Smith, si giunge all’affermazione del principio di autonomia all’interno  dei diritti dell’uomo e del  cittadino, come prima forma di contrapposizione e bilanciamento  all’eccessivo potere del paternalismo medico.

Infine, con il processo di Norimberga, che svelò i crimini compiuti dai medici nazisti  sui prigionieri, si istituì uno spartiacque nella storia della professione medica, dal momento che, per la prima volta, i medici salirono sul banco degli imputati con l’accusa di aver perpetrato dei crimini contro l’umanità.

L’opinione pubblica mondiale si rese conto che il medico poteva ripudiare il sacro principio del primum non nocere per asservirsi alle esigenze della politica e della ideologia, utilizzando l’essere umano non più come “fine”, ma come mezzo privo di qualsiasi dignità.

Ci si rese conto che non bastava più appellarsi alla “scienza e coscienza” individuale, che si riteneva fossero  insite in ciascun  professionista sanitario, per scongiurare gli abusi, ma che era necessario dotarsi di codici deontologici cogenti e vincolanti, sia per riacquistare la fiducia dell’opinione pubblica, sia per isolare e punire palesemente i trasgressori che avrebbero portato discredito sull’intera categoria.

Particolare importanza assume il Codice di Norimberga, il decalogo che sancisce i diritti dei soggetti coinvolti nelle sperimentazioni, fissando l’obbligo del consenso informato come elemento imprescindibile per la conduzione di uno studio clinico.

Tutto questo corpus normativo della metà del secolo scorso implicava una riflessione che doveva sfociare necessariamente in una fondazione teoretica e giustificativa: la nascita della Bioetica come disciplina sistematica fu così il naturale epilogo di un processo lungo quanto la storia della medicina.

Bibliografia

  1. V.R. Potter., Bioethics: the science of survival, “Perspectives in Biology and Medicine”, 1970
  2. V.R. Potter., Bioethics: bridge to the future, Prentice Hall, Englewood Cliffs (NJ) 1971
  3. A.Pessina, Bioetica, L’uomo sperimentale, Bruno Mondadori, Milano 1999

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