La dimensione etimologica dell’assistenza infermieristica

Il Vocabolario siciliano etimologico, italiano e latino scritto dall’abate Michele Pasqualino del 1786 [1], in Palermo non è la prima fonte storica che si possa immaginare di prendere in considerazione per una breve ricerca sull’origine del termine infermiere, ciò nonostante offre il seguente passaggio interessante rispetto al termine infermiere: «… che ha cura degli infermi, infermiere, valetudinarii praefectus. Da infirmus …». Spiegazione che mostra contemporaneamente sia la derivazione latina del termine sia la sua traduzione in latino, da cui appare come l’infermiere potesse ricoprire ruoli apicali (praefectus) nel mondo romano, ed in particolare in quello dei valetudinaria, ospedali nati in primo luogo per l’assistenza militare e poi estesi ad usi civili. Il dato di rilievo però è quello relativo al fatto che il termine infermiere, in epoca classica, fosse tradotto da valetudinaria praefectus, parola diversa dalla radice etimologica originaria di infirmus. Nulla di strano, dato che nel mondo classico diversi erano i vocaboli usati per indicare chi svolgesse pratiche assistenziali. C’erano i frictiores, i vulnerari, gli unguentari, di cui si intuiscono facilmente i compiti. E c’erano anche i capsari [2], legionari dotati di un contenitore cilindrico (denominato appunto capsa), contenente bende e fasce, impiegati nell’assistenza dei feriti sul campo di battaglia [3]. Successivamente, al mondo romano, anche l’Impero bizantino registra, con lo sviluppo di istituzioni di cura stabili (nosocomios), già a partire dal IV secolo d.C. la presenza di personale sanitario strutturato: amministratori (xenodocoi), medici (iatroi e archiatroi), levatrici (iatrine), infermieri maschi e femmine (hypourgoi e hypourgisses), portantini (hyperetai) [4] [5].

Con l’affacciarsi del mondo medioevale si aggiungeranno altre figure quali i parabolani o le beghine e i begardi fiamminghi, diaconi e diaconesse, i rappresentanti di vari ordini cavallereschi dai più noti Ospitalieri ai Lazariti, ai Cruciferi; ed ancora i terziari, gli alessiani, le oblate, fino ai samaritani e ai semplici serventi o ai successivi monatti di manzoniana memoria definiti “infermieri degli appestati”. Ognuno di questi esplicava in maniera più o meno simile compiti di cura o di assistenza. Il Medioevo è un’epoca in cui si ha notizia anche della presenza di corporazioni infermieristiche [6] con del personale di supporto assimilabile ai moderni OSS, detti paranosokomoi [7].

Un quadro abbastanza ampio e variegato, come i termini presentati i quali però vedono affiancarsi, a partire dall’Alto Medioevo, il sostantivo che sarà destinato a restare e ad assumere il significato generale di tutti quelli rappresentati fino ad allora: infermiere appunto, derivato, come accennato dal motto latino usato per indicare colui che non è fermo nella sua persona, che è fragile, caduco, malato. Sul piano prettamente linguistico dal termine infirmus si produrrà nel tempo un processo di costruzione di altre parole, attraverso un meccanismo chiamato di affissazione il quale comporta, dato un termine base e attraverso l’aggiunta di un affisso (prefisso, suffisso o infisso che sia) la nascita di nuove parole. Va detto che il significato del termine infirmus era abbastanza ampio allora, dato che designava sia le condizioni di salute precaria sia, accompagnato di preferenza al termine pauper (povero) un’accezione più ampia che prendesse in considerazione la stessa condizione socio-economica. Da un termine che designa una condizione di bisogno verrà poi designato progressivamente il luogo in cui si presterà la cura (infirmarium, in seguito infermeria), poi la professione e la dottrina relativa, lasciando inattuata la definizione di un verbo vero e proprio, fatta eccezione di rare apparizioni in testi del XVI secolo, in cui si trova il termine infermierato, quasi un participio passato usato come sinonimo di praticantato o tirocinio assistenziale. Ciò non accadrà per un’altra parola, sempre di origine latina (nutrix), che seguirà però altri percorsi linguistici, relativa al termine nurse da cui si avrà la formazione anche del relativo verbo (Fig.1).

Fig. 1: Ricostruzione di una sala di degenza nella Sacra Infermeria dell’Ordine degli Ospitalieri presso La Valletta, Malta (Cotichelli, 2014)

La precisazione data è utile al fine di poter cogliere meglio il percorso, non sempre lineare, dell’evoluzione etimologica. Una delle prime rilevazioni del termine, strettamente correlato alla condizione di bisogno, si può ritrovare nel testo della Regola di San Benedetto da Norcia del 534, al capitolo XXXVI: De infirmis fratibus, in relazione alle necessità dei religiosi in condizione di malattia, dove, nello specifico del settimo capoverso: «Quibus fratribus infirmis sit cella super se deputata et servitor timens Deum et diligens ac sollicitus» viene specificato come i bisognosi (fratibus infirmis) debbano contare sull’esistenza di un luogo (cella) e di una figura (servitor) deputati alla loro assistenza. Due elementi che nel tempo diventeranno le parole infirmarium e infermiere. Nel 820, presso il convento di San Gallo l’infirmarium è una struttura dotata di una sala di degenza, locali di deposito e giardino all’aperto per la coltivazione delle piante medicinali [8]. L’infirmarium poteva indicare altresì il luogo deputato all’assistenza dei malati gravi (cubiculum valde infirmarum). Giuseppe La Farina nel suo libro sull’Italia e i suoi monumenti [9], cita lo statuto del Monastero di Bobbio del 833 in cui si parla della presenza di infermieri. Se questi però già vengano designati con il termine specifico non è dato sapere.

Ci si trova dunque in pieno sviluppo di quella che alcuni hanno definito come medicina monastica, e le prime testimonianze certe dell’uso di un sostantivo simile al termine infermiere si hanno attorno l’anno 1398 nei testi di lingua francese (infirmier) [10], strettamente correlato alla parola enfermier di cui si registra la comparsa attorno al 1288, affiancandosi ad un simile vocabolo spagnolo in uso di cui si trova traccia nei documenti dell’Ordine di Santiago, nel 1306, dove si parla di alcuni suoi affiliati sono scelti ad assolvere ufficio di enfermero [11]. Lentamente la parola infermiere, nelle sua varie accezioni linguistiche di derivazione dal volgare si fa strada nei secoli successivi vedendo aumentare le testimonianze scritte in merito tra il XVI e il XVIII secolo [12], assumendo così in epoca moderna la centralità lessicale che ancora conserva, in particolar modo nelle lingue neolatine, ma non solo. Se si farà strada nei secoli la parola nurse – in reazione alla cesura culturale conseguente la riforma protestante – per molto tempo, nella lingua inglese, il termine infirmier continuerà ad essere usato in maniera parallela, in particolar modo per indicare i professionisti italiani o francesi, lasciando comunque intatta la presenza di infirmary che ancora oggi designa il luogo specifico delle cure assistenziali, specie in ambito militare. L’affermazione del termine nurse si avrà maggiormente con la divulgazione dell’opera di Florence Nightingale, anche se in alcuni casi (wet nurse e nursery) continuerà ad essere legata al suo significato originale proprio della funzione di nutrimento e cura dei neonati.

A questo punto è chiaro come le due parole, infermiere e nurse, apportino due diversi modi di leggere l’assistenza: il primo parla di una prossimità che si realizza nel prendere in considerazione l’instabilità, la fragilità, del malato ponendosi al suo fianco, data l’accezione etimologica del termine assistenza (ad–sistere), sedersi accanto. L’altro mostra una lettura che vuole compensare uno stato carenziale dove l’assistenza “nutre”, fornisce risorse. Due accezioni linguistiche che mostrano aspetti complementari di una stessa dottrina, che possiamo ravvisare, per non correre in un’ottica troppo “latino-centrica”, anche nella definizione di altre lingue europee, in particolare quelle di derivazione dal ceppo slavo e quelle germaniche (esclusa, ovviamente l’inglese), come si può trarre schematicamente dalla tabella n.1.

Lo schema presentato è indicativo di come molte lingue europee abbiano la radice semantica comune della parola infermiera. Fatta eccezione per il finlandese e il lettone, le lingue considerate fanno riferimento a tre grandi gruppi linguistici: germanico, slavo e latino2 [13], in cui si possono trovare diversi modi di intendere la parola/funzione infermiera: a) sorella (sestra) nella medicina, riferita alle lingue slave; b) cura (pleje) della malattia (syge o krankheit) nelle lingue germaniche cui si accosta anche il polacco (pielęgniarka); c) il termine infermiera nella sua declinazione delle varie lingue neo-latine; d) il termine isolato – come lingua germanica – relativo alla parola nurse. Differenti espressioni e significati linguistici che connotano una stessa professione e che sottolineano ulteriormente, sul piano etimologico, il percorso di maturazione seguito nel tempo, dalla fine dell’Impero romano al Mondo cristiano medioevale, alla rottura dello stesso con la riforma protestante fino all’affermazione della visione tecno-scientifica dell’Era contemporanea. Senza dimenticare le molte accezioni gergali o letterarie (i citati monatti) che si sono susseguite nei vari territori, ricordando fugacemente i termini dialettali padovano di netesin e toscano di pappini, che rimandano direttamente a compiti precisi e funzioni assistenziali (pulire e nutrire) considerate però degradanti. Alla fine, il breve viaggio etimologico fatto può risultare come una ulteriore testimonianza del percorso evolutivo non solo dell’infermieristica, ma di come questa rappresenti un utile indicatore dei cambiamenti della società umana che ha visto lo sviluppo dell’arte assistenziale in ambiti e termini strettamente correlati alle condizioni socio-economiche dei contesti di riferimento.

Riferimenti bibliografici

  1. Pasqualino, M. (1786). Vocabolario Siciliano etimologico, Italiano e Latino, Vol. 2, Reale Stamperia, Palermo pag. 327;
  2. Celeri Bellotti G. e Destrebecq AL. (2013) Storia dell’assistenza e dell’assistenza infermieristica in Occidente. Dalla Preistoria all’età moderna, Piccin Editore, Milano, pp. 384;
  3. Sterpellone L. (2004) I grandi della Medicina. Le scoperte che hanno cambiato la qualità della vita Donzelli edizioni, Roma, p. 1 – 263, pag. 49;
  4. Cittadini A, e Braccini L. (2014) La Chirurgia a Bisanzio, Porphyra n. 21, anno XI, ISSN 2240-5240, pag. 52
  5. Bravo, C. M. (2011). Bizancio enfermo: panorámica de la medicina en los primeros siglos del imperio. Historias del Orbis Terrarum, (6), 29-45;
  6. Eco U. (2010). Il Medioevo: barbari, cristiani, musulmani (Vol. 1). Encyclomedia Publishers, p. 357;
  7. Kourkouta L, Plati, P, & Ouzounakis P. (2012). The meaning of the nursing in Byzantium. Medicine and health care, 1, 7, pag. 176 e 177;
  8. Cosmacini, Giorgio. L’arte lunga: storia della medicina dall’antichità a oggi. Vol. 212. GLF editori Laterza, 2001, p. 127;
  9. La Farina G. (1842) L’Italia con I suoi monumenti, le sue rimembranze, i suoi costumi, Luigi Bardi – Firenze; pag. 236
  10. AA.VV. (1398) Trésor des Chartres du Comté de Rethel, IV, 268, 3 d’apr. RUNK., p. 45;
  11. Sam Conedera, SJ. (2015). Ecclesiastical Knights: The Military Orders in Castile, 1150-1330. Fordham University Press;
  12. Chieppi M. (2014) Infermiere e Nurse: dall’etimologia delle parole al rupolo di una professione. Un primato conteso tra Italia e Inghilterra, Rivista Infermiere pavia, Ipasvi Pavia, pp. 19 – 25;
  13. Malherbe M. (1984) I linguaggi dell’umanità. Sugarco Edizioni, Milano, pp. 387
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