La Sociologia riflette sul post-pandemia

di Alberto PellegrinoAlberto Pellegrino

Nel suo messaggio per la Giornata Mondiale della Pace del 1 gennaio 2021, intitolato “La cultura della cura come percorso di pace”, papa Francesco scrive che la cura non può essere solo una pratica da attivare con un pronto intervento nel momento del bisogno e la pandemia ci indurrebbe a dare alla parola “cura” un significato spiccatamente medico. Sarebbe però un’interpretazione limitata e fuorviante, perché al termine “cura” bisogna dare anche il significato di cura degli altri e del mondo in cui viviamo, dell’ambiente da salvare, di uno stile di vita basato sui rapporti umani. Il presente momento storico finisce per coinvolgere la giustizia sociale, l’ecologia, la politica, i rapporti tra le religioni, poiché siamo di fronte a un evento destinato a segnare il cammino dell’umanità, a costruire una vita sociale fondata su rapporti più fraterni “per debellare la cultura dell’indifferenza, dello scarto e dello scontro, oggi spesso prevalente”.

Si tratta di considerazioni che inducono anche la sociologia a riflettere su cambiamenti e provvedimenti riguardanti l’intera società. Sono intanto entrate in crisi determinate certezze del razionalismo assoluto ed è stato rivalutato il dubbio cartesiano. Abbiamo scoperto di essere vulnerabili e “persino” mortali, di non essere in grado di controllare totalmente la natura, la storia e gli avvenimenti della nostra vita. Sono venuti alla luce i limiti di una classe politica, la superficialità colpevole dei vari “populismi”, il pressappochismo di progetti e tentativi di mediazioni fra le classi sociali, i limiti del sistema d’informazione. Si data finalmente la giusta rilevanza ai danni causati alla sanità pubblica “sacrificata” negli ultimi decenni da tagli indiscriminati in nome dell’aziendalismo e del profitto, per favorire la diffusione della sanità privata che è andata a colmare i vuoti creati dalla limitazione dei servizi essenziali del sistema sanitario pubblico. Si è tornati a capire (quale scoperta!) l’importanza fondamentale della scuola, dell’università e della ricerca per assicurare un futuro migliore alla società.

La crisi della democrazia
Sabino Cassese nel suo ultimo libro Una volta il futuro era migliore. Lezioni per invertire la rotta (Solferino Editore, 2021) ha messo in guardia sui pericoli che sta correndo la democrazia in tutto il mondo occidentale a causa delle difficoltà nel prendere rapide decisioni, della crisi del sistema parlamentare e dei partiti, dalla scarsa partecipazione dei cittadini. E’ ormai evidente che le priorità attuali sono la sanità, la ricerca, l’educazione, ma il Rapporto Censis 2020 ha rivelato che il 58 per cento degli italiani è disposto a rinunciare alla libertà individuale a favore della salute collettiva e questa potrebbe rivelarsi una pericolosa deriva antidemocratica (si pensi ad alcune democrazie illiberali sorte in Europa). Per fronteggiare un risorgente autoritarismo sarebbe necessario un nuovo patto sociale con la creazione di una “costituzione globale”  capace di rafforzare il ruolo delle Nazioni Unite e dell’Organizzazione Mondiale della Sanità,  in grado di difendere le maggiori conquiste degli ultimi tre secoli (libertà di pensiero, i diritti civili, l’abbandono del nazionalismo, l’accettazione di principi e regole universali), di rilanciare lo stato sociale, d’introdurre nuove regole internazionali per rimediare agli errori della globalizzazione.

Qualche scrittore, ricco di fantasia e di emotività, ha cominciato a parlare in favore di un ritorno al “paradiso” consumistico, ne esalta i pregi, ritenendo che sia illogico criminalizzare lo shopping compulsivo, la prodigalità, l’accumulo inconsulto di genere voluttuari, condannare chi dissipa, rateizza, d’indebita. Si tratta di una conversione motivata dal fatto che “la natura umana esulta a contatto dei fasti del superfluo; che il lusso è persino più romantico di un tramonto o di una mareggiata. Di qui il senso di sconforto, di desolazione, a tratti pesino lo sdegno, per le saracinesche sprangate dei ristoranti, gli stadi vuoti, il panorama metafisico che ogni notte contemplo dalla finestra. Tutto mi sarei aspettato tranne che avrei finalmente compreso il genio del marketing e della pubblicità…Se c’è una cosa che la pandemia mi ha insegnato è che non c’è niente di bello nella frugalità imposta da circostanze avverse, non c’è decoro nella rinuncia, né umanità nella parsimonia” (Alessandro Piperno, Ridateci il consumismo, La lettura, 7 febbraio 2021)

Le 15 lezioni del coronavirus
In queste riflessioni sociologiche sul post-pandemia si terranno presenti le linee guida suggerite dal grande guru della sociologia Edgar Morin che, dall’alto dei suoi 99 anni, ha pubblicato il prezioso trattatello Cambiamo strada. Le 15 lezioni del coronavirus (Raffaello Corina Editore, 2020), nel quale riafferma la propria presa di coscienza ecologica che si oppone a quanti hanno separato natura e cultura, uomo e animale.

Egli si dichiara contrario allo “scatenarsi tecnico-economico globale mosso da una sete insaziabile di profitto (che) è il motore del degrado della biosfera e di quello dell’antroposfera” e ricorda che la pandemia ha provocato una catastrofe sanitaria, la quale ha paralizzato la vita economica e sociale di 177 paesi. Di fronte a una crisi politica, economica, sociale, ecologica di dimensioni planetarie si rende quindi necessaria l’invenzione di un nuovo paradigma, cioè di un principio di organizzazione del pensiero, dell’azione e della società, a cominciare da una rigenerazione della politica, da una protezione del pianeta e da un’umanizzazione della società, tenendo conto delle lezioni che vengono impartite da questo momento storico:

  1. L’esperienza della pandemia, oltre a sottolineare che una parte dell’umanità vive nell’indigenza e nella povertà mentre avrebbe il diritto a un migliore livello di vita, ci ha ricordato che “sia gli sventurati prigionieri della loro condizione servile sia i fortunati prigionieri dell’immediato, del superfluo e del futile” devono riscoprire i valori dell’amore e dell’amicizia, della comunità, della solidarietà nella consapevolezza, perché esiste un unico “destino dell’umanità di cui ciascuno di noi è una particella”.
  2. L’uomo, prima del Rapporto Meadows sul degrado della biosfera terrestre, ha creduto di poter dominare la natura; ha dimenticato la propria fragilità occultata dal mito occidentale di essere “padrone e possessore della Natura”. Nonostante questa presa di coscienza, permane “la convinzione che il progresso tecnico-economico costituisca di per sé il Progresso umano e che la libera concorrenza e la crescita economica siano le condizioni primarie del benessere sociale”. Ci si accorge poi che il potere della tecno-scienza non è sufficiente ad abolire l’infermità, il dolore e la morte e ritorna alla mente la lezione di Pascal sulla grandezza dell’uomo: “Conoscere di essere miserabile è un segno di grandezza…L’uomo è solo una canna, la più fragile della natura; ma una canna che pensa. Non occorre che l’universo intero si armi per annientarlo, un vapore, una goccia d’acqua bastano per ucciderlo. Ma, quand’anche l’universo lo schiacciasse, l’uomo sarebbe pur sempre più nobile di quel che lo uccide, perché sa di morire…mentre l’universo non ne sa nulla” (Pensieri, Einaudi, 1962, pp. 161-162).
  3. L’epidemia ha introdotto nelle nostre vita l’incertezza che accompagna le grandi avventure dell’umanità, ogni storia nazionale, ogni vita individuale, per cui abbiamo appreso che vi saranno più incertezze di prima e che dobbiamo imparare a conviverci.
  4. Abbiamo riscoperto l’irrompere nella nostra vita quotidiana della morte, che prima era un evento di confinare in un indeterminato futuro. Si è avvertito il bisogno di condividere il dolore con il resto della comunità, di partecipare a riti e a cerimonie collettive.
  5. Finora la civiltà ci ha portato a fare una vita estroversa (traporti, lavoro, ristoranti, aperitivi, appuntamenti, viaggi). Ha scatenato una pulsione all’acquisto, mentre il confinamento ha ridotto gli acquisti all’indispensabile; ha mostrato come molto del superfluo non sia in realtà necessario; si è cominciata ad avvertire una “intossicazione” consumistica.
  6. Si è scoperto che lo sviluppo della nostra civiltà ha provocato una carenza di solidarietà a causa di un individualismo sempre più egoistico e di una sempre maggiore divisione sociale. Questo fenomeno ha riportato in superfice, anche se a livello simbolico, una solidarietà nazionale che può costituire una base utile per riformare o trasformare la società.
  7. La pandemia ha funzionato da lente d’ingrandimento delle disuguaglianze sociali, in particolare delle donne; ha rivelato le tristi condizioni di vita di una parte emarginata della società; ha rivalutato l’importanza di determinati mestieri sottovalutati e poco remunerati (infermieri, personale sanitario, inservienti, operatori del settore agro-alimentare, camionisti, ecc.), che sono stati i più esposti all’infezione.
  8. E’ stata evidenziata la diversità delle situazione e la diversa gestione dell’epidemia nel mondo, dove sono state adottare misura sanitarie mondo diversificate che hanno prodotto risultati molto disuguali.
  9. La crisi della società ha distrutto determinate certezze e ha provocato contestazioni di quello che sembrava incontestabile, avviando due processi contraddittori: il primo ha stimolato la creatività per la ricerca di nuove soluzioni per una nuova politica; il secondo ha messo in moto un ritorno al passato, la ricerca di una salvezza provvidenziale. Da parte loro le lobby più potenti sono intervenute sui governi e sulle persone, attraverso i media o con pressioni dirette, per un ritorno all’ordine precedente.
  10. La pandemia ha fatto comprendere che la scienza non possiede verità assolute, ma che le teorie scientifiche sono integrate o sostituite da nuove scoperte, che il progresso scientifico si basa sulla competizione e sulla cooperazione non certo sulla concorrenza. Si comincia a comprendere che la scienza medica non può fondarsi solo sulla super-specializzazione, ma che deve esistere una stretta collaborazione tra specialisti e medicina sistemica per mettere al centro la persona del malato, che non può essere separato dal suo ambito di vita. Si avverte la necessità di rafforzare le cure preventive e l’igiene alimentare.
  11. Esiste una debolezza del sistema delle conoscenze, perché si divide il sapere in compartimenti senza connessioni; si tende a semplificare ciò che è complesso, a separare la sanità, l’ecologia, l’economia i problemi nazionali e mondiali. Si sta delineando invece il bisogno di un sistema di conoscenze e di pensiero in grado di rispondere alle sfide della complessità e dell’incertezza, capace di colmare il vuoto di pensiero politico con la ricerca di nuove politiche, ecologiche e sociali.
  12. Il deficit di pensiero e di azione si riflette negativamente sul mondo della politica e dell’economia, causando gravi danni sociali. Si pensi ai riflessi negativi sugli ospedali e sulla prevenzione dei rischi sanitari da quando sono stati applicati a questo settore i criteri di produttività, redditività e competitività. Il sistema sanitario pubblico e gli ospedali sono stati le vittime di politiche neoliberiste tendenti a privatizzare o atrofizzare la sanità pubblica; inoltre la crisi è stata alimentata da un’amministrazione statale eccessivamente burocratizzata che ha spesso costituito un ostacolo a ogni riforma. Da parte sua il dogma del neoliberismo, basato sulla libera concorrenza come soluzione di tutti i problemi sociali e sul prevalere dell’economia sulla politica, ha aggravato le disuguaglianze sociali; ha ostacolato un new deal ecologico ed economico portatore di radicali cambiamenti nel campo dell’occupazione, del consumo e dei livelli di vita.
  13. La delocalizzazione legata alla globalizzazione, da un lato, ha comportato un qualche miglioramento nel tenore di vita dei paesi definiti “sottosviluppati”; dall’altro ha causato la perdita di autonomia produttiva, per esempio, nel settore sanitario e agroalimentare dei paesi occidentali, nei quali è ormai indispensabile intervenire per ridurre l’agricoltura industrializzata a favore della produzione agricola contadina e agro-ecologica. Parallelamente s’impone una riforma della globalizzazione in modo da favorire la cooperazione politica, gli scambi culturali e la coscienza di un comune destino dell’umanità.
  14. La pandemia ha mostrato le difficoltà dell’Unione Europea nel trovare una politica comune, nel fare fronte al “sovranismo” e ai rinascenti nazionalismi, nel varare un piano di solidarietà finanziaria e sanitaria, anche se le istituzioni europei stanno cercando di reagire per trovare idonee soluzioni comunitarie.
  15. Siamo di fronte a una crisi della globalizzazione: ecologisti, scienziati e medici specialisti hanno dimostrato quali danni sta provocato la deregulation degli ecosistemi, gli attacchi alla biodiversità, l’inquinamento delle città e delle campagne, la politica di deforestazione e di incremento dell’agricoltura industriale. La globalizzazione senza regole ha comportato una carenza di solidarietà, un’eccessiva interdipendenza economica, il ritorno di scontri etnico-religiosi e nazionalistici, il riaffiorare di fenomeni di razzismo e xenofobia, il prevalere degli interessi economici su quelli politici e sociali. L’umanesimo è in crisi, ma solo l’umanesimo potrà creare una politica fondata su un universalismo concreto e non astratto; potrà far maturare la convinzione che la globalizzazione va regolamentata e controllata; potrà far nascere la consapevolezza che il destino di tutti gli esseri umani è legato alla tutela e alla rinascita ecologica del pianeta.

 

 

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