Un caso di epilessia intorno al 200 d.C.

Gianfranco Paci
Professore di Storia romana, Università degli Studi di Macerata

Per certo l’epilessia ha occupato un posto importante nella storia delle medicina antica se non altro perché ad esserne colpiti furono personaggi importanti, come Alessandro Magno e Casare. Dagli antichi era chiamata la “malattia sacra” (hierà nósos), perché era convinzione che gli spasmi dell’epilettico fossero provocati da una divinità: che fossero cioè l’effetto di una sorta di possessione. Di qui il ricorso, per curarla, a magia e incantesimi. Tuttavia non tutti la pensavano così. In proposito ci è per esempio pervenuto, sotto il nome del grande Ippocrate (460-380 a.C.), un trattatello dal titolo La malattia sacra, che non fu però scritto, a quanto si ritiene, dal padre della medicina. Afferma qui l’anonimo autore: «Questa malattia non mi sembra più divina di tutte le altre ma, come tutte le altre, ha una sua causa naturale». Per cui – prosegue – il medico, indagando queste cause, potrà dunque trovare una terapia adeguata, mentre la «magia e tutte le altre ciarlatanerie» servono solo ad arricchire chi le pratica. Il santone, «se il malato per puro caso guarisce, se ne prenderà il merito, se invece muore dirà che la colpa è degli dei». Si afferma poi, in questo trattato, come l’epilessia si produca nella fase intrauterina e si colleghi ad un malfunzionamento del cervello.
Ma al corretto inquadramento della malattia la medicina antica non fu in grado di dar seguito con trattamenti di cura conseguenti ed adeguati. Così il ricorso alle cattive pratiche, lamentate dall’anonimo autore, fu tutt’altro che estirpato.
Negli anni 80 del secolo scorso lo scavo di una tomba in una piccola necropoli romana individuata poco a nord di Riva del Garda portò al recupero di alcuni oggetti di corredo che suggerivano una data della sepoltura – pertinente ad giovane sui trent’anni – agli inizi del III sec. d.C. Tra gli oggetti figurava un astuccio d’argento all’interno del quale era avvoltolata una lamella, pure d’argento, alta cm 5,2 e larga 2,6, in cui era inciso un testo, pervenuto completo, di 29 righe (Figg. 1-2). Il testo, redatto in un greco popolare e molto evoluto rispetto a quello dei testi classici, può essere così tradotto:

 

C:\Users\utente\AppData\Local\Microsoft\Windows\INetCache\Content.Outlook\ZAQ2BMNX\Paci Fig_01.jpg

C:\Users\utente\Desktop\Documenti Giovanni\CARTELLA LDF 2018\LdF Febbraio\Paci, Fig_02.jpg

Figura 1. Museo civico di Riva del Garda – Lamella d’argento iscritta, pertinente ad un amuleto contro l’epilessia rinvenuto nell’Alto Garda; da Archeologia classica

Figura 2. Museo civico di Riva del Garda – Amuleto contro l’epilessia dalla zona di Riva del Garda: fac-simile del testo inciso sulla lamella d’argento; da Archeologia classica

“Santo progenitore, eialdaxao blazammachorixa eka Iao sychpheoth perpheto iachtho gnedaseops chtemmech, me supplice, Terzo, quello che Sira ha generato, questo qui, o sacri custodi, a partire dal giorno di oggi, da questa precisa ora, in ogni momento, da ogni pericolo, paura, demonio, fantasma, spettro e da ogni malattia che è di impedimento e da ogni spirito pernicioso proteggete me Terzo, quello che Sira ha generato. (Siano lontane da me) la malattia sacra, l’ira degli dèi, degli uomini, dei démoni, (la cattiva sensazione) di sostanze odorose, la pura follia, l’apparizione (di démoni), le vertigini”.

Si tratta di un amuleto contro l’epilessia, come fa precisamente intendere la menzione della “malattia sacra” (hierà nósos) (ll. 23-24). Le parole strane e senza senso che compaiono all’inizio del testo s’inquadrano nel novero delle tante parole analoghe che troviamo nei testi magici antichi: esse vengono interpretate o come parole magiche o come nomi di spiriti che sono chiamati ad intervenire, a volte in modo benefico, altre per fare del male, a seconda dei casi. Nel nostro testo si tratta con probabilmente non di parole magiche ma piuttosto di spiriti e di spiriti benigni, dal momento subito dopo nel testo di parla di “sacri costodi”. Insieme agli spiriti benigni dagli strani nomi è poi menzionato Iao (nome che ci ricorda anche il dio degli Ebrei): Iao è il grande dio della magia, che troviamo in tantissimi documenti.
Ad essere affetto dalla malattia è “Terzo, quello che Sira ha generato”: la ripetizione del nome che ricorre due volte nel testo, sempre seguito da quello della madre scopre tutta la preoccupazione, quasi ossessiva, che gli dèi benigni non sbaglino persona nel portare il loro soccorso. D’altra parte anche la formula “il tale, che la tale ha generato”, frequentissima nei documenti magici, risponde precisamente al medesimo scopo, perché in ossequio all’adagio mater certa, pater incertus, sarà la precisa identità della madre a garantire la sicura identificazione del soggetto sui cui intervenire. Un’altra preoccupazione che traspare dal documento è data dal fatto che non si conosce la causa ovvero l’agente che ha provocato la malattia. Questo induce a preparare un amuleto ad ampio spettro, che possa aver effetto contro tutte le forse nemiche, di qualsiasi natura esse siano: “gli spiriti maligni…, l’ira degli dèi, degli uomini, dei démoni”.

Molto interessante è poi la descrizione delle forme in cui si manifesta la crisi epilettica; essa fa capo a due elenchi di termini, uno dopo ciascuna delle due menzioni del nome del giovane che ne è colpito. La crisi vera e propria è preceduta da prodromi costituiti da sensazioni odorose che possono essere spiacevoli o piacevoli, o che danno luogo a stati di ansia, paura, terrore. In alcuni casi poi i prodromi si manifestano anche con allucinazioni visive (specificate nel testo con tre diversi termini che indicano stadi diversi di questo tipo di crisi: phàntasma, phàsma, phantasìa). Infine abbiamo la menzione delle vertigini, che possono portare alla “pura follia”. L’ultimo termine trova un preciso riscontro nella descrizione del male, nella forma più acuta, che troviamo in un trattato medico: “Talora questa malattia, tirando e torcendo gli occhi e le membra, produce dolori e talora induce la mente alla follia” (Areteo di Cappadacia, De causi et signis acutorum morborum, I, 5, 3-4). Si capisce, insomma, che Terzo soffriva di una forma sicuramente grave del male e che la madre, certamente appartenente ad una famiglia di buone condizioni economiche, non trovando benefici dalla medicina ha fatto ricorso alla magia. E qui l’amuleto di Riva del Garda ci riserva una grossa sorpresa: perché la sequenza dei nomi magici che abbiamo visto all’inizio del testo ritorna, con leggere varianti, su ben quattro papiri magici (mi riferisco qui alla celebre raccolta del Paisedanz). Ciò significa che, a differenza dai tanti ciarlatani di bassa lega e imbonitori da fiera, quello che ha compilato il nostro amuleto era una persona colta che, nel confezionare l’amuleto contro la malattia, ha fatto ricorso a rotoli di testi magici in suo possesso da cui ha tratto i formulari utili allo scopo. Un professionista, insomma, nel suo campo. A questo riguardo gli stessi papiri magici ci descrivono nei particolari il tirocinio, molto duro – un vero e proprio percorso iniziatico, fatto di prove estreme a cui sottoporre il proprio fisico – che bisognava fare per diventare maghi. Si capisce dunque che l’ignoto artefice del nostro amuleto doveva essere un mago di questo tipo e che inoltre egli doveva essere, con tutta probabilità, un egiziano. La presenza di siffatti personaggi in questa zona dell’Italia settentrionale non solo non deve sorprenderci ma è anche facilmente spiegabile. Assistiamo, nell’età imperiale romana, ad una grande diffusione dei culti di dèi egizi (Iside Osiride, ed altre divinità minori al seguito) che faceva capo a specifici santuari (Isei e Serapei) nei quali sacerdoti di provenienza egizia presiedevano ai riti. Che in questi santuari approdassero anche personaggi formati nell’arte medica, nonché nella pratica della magia, è fuori di dubbio. Un grosso centro di culti egizi è documentato per esempio a Malcesine, una località non molto distante da Riva del Garda; ma l’archeologia restituisce una notevole quantità di documenti di vario genere che attestano la conoscenza e la pratica dei culti egizi in tutto il territorio dell’alto Garda: per cui Sira, la madre di Terzo, aveva ampie possibilità di trovare la persona più adatta al esigenze del caso.
Si conoscono diversi altri amuleti contro l’epilessia, con testi normalmente assai brevi, che talvolta arrivano a noi anche incompleti. Questo di Riva del Garda, oltre ad essere perfettamente conservato, presenta un testo insolitamente lungo e ricco di dati. La presenza poi della sequenza di nomi magici che trova un preciso riscontro nei papiri magici ne fa un documento assolutamente straordinario.

Bibliografia

1. E. Cavada – G. Paci, Un amuleto contro l’epilessia dall’Alto Garda (Trentino sudoccidentale), in “Archeologia classica”, 53, 2002, pp. 221-256
2. G. Paci, La dedica isiaca da Mama d’Avio e la diffusione dei culti egizi in Trentino ed Alto Adige, in “Annali Musei Civici di Rovereto”, 5, 1989, pp. pp. 11-28.

Questa voce è stata pubblicata in Lavori originali, Scienze umane. Contrassegna il permalink.